Il giorno in cui il colonnello Lomaglio salvò Bitonto dai tedeschi

Dall'archivio di Primo piano, lo scampato eccidio dopo l'armistizio dell'8 settembre '43, nel ricordo di Antonio Cardone, indimenticato collaboratore del nostro giornale

Anche quel giovedì 9 settembre 1943 mio nonno materno, il dottor Domenico Martucci, per tutti “don Minguccio”, medico chirurgo vecchia maniera, era riuscito a convincere l’autista dell’ansimante pullman che faceva servizio tra Bitonto e Palombaio, ad effettuare la solita fermata straordinaria. Da tempo quella richiesta era motivo di un vivace contenzioso tra mio nonno e il proprietario dell’autolinea, il signor Paolo Scoppio di Bitonto. La fermata era di fronte alla nostra casa di Palombaio, una vecchia torre di famiglia in cui eravamo andati ad abitare da sfollati, per metterci un po’ al riparo dai massicci bombardamenti aerei degli angloamericani. La casa, che sulle vecchie mappe militari è indicata come “Casino Cardone” era (ed è) un bel fabbricato tutto in pietra, con i muri massicci, che la mantenevano fresca d’estate e abbastanza calda d’inverno. A noi ragazzi non piaceva molto, preferivamo di più trascorrere le vacanze al mare, a Santospirito.

La casa di Palombaio è un chilometro esatto fuori dell’abitato, sulla provinciale per Mariotto. L’autobus aveva là una “fermata a richiesta”. Don Paolo Scoppio pretendeva che, per utilizzarla, si pagasse il biglietto fino a Mariotto, mentre mio nonno insisteva per pagare sino a Palombaio. Per farla franca, mio nonno, che veniva spesso a trovarci, s’era fatto amico degli autisti. Questi, in cambio di un “toscano” e di qualche sportella d’uva, rimediata durante la vendemmia, si… dimenticavano gli ordini ricevuti ed effettuavano quella fermata supplementare, senza controllare il biglietto. Nonostante avesse vinto, anche quel giorno, la sua piccola battaglia personale con don Panolo, mio nonno scese nervosissimo dal pullman. Mio fratello Mimmo ed io che eravamo i suoi nipoti prediletti e che eravamo accorsi a salutarlo, ce ne accorgemmo immediatamente. Agitava come sempre il suo bastone e, contrariamente al solito, non ci dette troppa corda. Era evidentemente preoccupato per le notizie di guerra, per la situazione confusa provocata dall’armistizio, dalla fuga del re e Badoglio a Brindisi. Cominciò a parlare con Peppino Colasanto, il nostro “terrar”, (torriere) di Palombaio, suo grande amico.

Ogni pomeriggio facevano circolo sulle panchine dell’atrio. Raccontavano fatti e aneddoti gustosi, accompagnati sempre da un sacco di risate. Ma quella volta avevano poco da ridere. Mio nonno era tornato da Bitonto, con alcune notizie preoccupanti. Aveva saputo che un gruppo di bitontini del centro storico per impedire ai tedeschi in ritirata verso il nord di continuare indenni la loro fuga avevano eretto un paio di barricate sul ponte dalle parti del Carmine.

“Ma sono pazzi!”, commentava mio nonno con Peppino. Il quale lo angustiò ancor di più, riferendo che, qualche ora prima, aveva visto scendere dalla Murgia verso Bitonto un reparto di truppe scelte tedesche armate di tutto punto, a bordo di alcune autoblindo leggere. “Si sono attestati dalle parti di ‘soup a Valent’, una zona periferica di Palombaio. Molti ancora oggi la chiamano ‘la banc’: da quelle parti abitava un tizio, che anticipava qualche lira ai contadini di Palombaio in acconto sui raccolti. Queste notizie aumentarono le preoccupazioni. Appena qualche giorno prima era stato abbattuto, proprio da quelle parti un ricognitore inglese che stava evidentemente seguendo i movimenti delle truppe naziste. Nella zona, presso lo storico “Casino Modugno”, erano caduti un bel po’ di rottami di quel piccolo aereo.

La cronaca di quei giorni tremendi del settembre ’43 racconta che, per nostra fortuna, quel giorno fatidico a Bitonto si verificò un secondo vero e proprio miracolo. “Il primo lo fece la Madonna, convincendo il generale spagnolo Montemar a non toccare la ‘pupilla dei suoi occhi’, dopo la battaglia vinta con le truppe austriache nel maggio 1734; il secondo lo ha fatto il 9 settembre 1943”, dicono ancora oggi i bitontini. Infatti, andò bene per noi e protagonista fu un nostro eroico cittadino. Chi era questo colonnello Pasquale Lomaglio, che merita davvero un monumento e che la pubblica amministrazione ha per lungo tempo ignorato? Nato il 2 luglio 1894 da Francesco Lomaglio, un cantiniere, e Giovanna Ciccinati, una filatrice, s’impegno dapprima come tornitore meccanico, seguendo contemporaneamente un corso di studi presso l’Istituto tecnico e nautico di Bari, conseguendo nel 1914 il diploma di perito tecnico commerciale e ragioniere.

Il 22 maggio 1915, richiamato sotto le armi, fu destinato come soldato semplice al 139° rgt fanteria e mandato sul fronte carsico. Promosso per il suo valore sottotenente, fu destinato all’8^ compagnia del 47° rgt fanteria. Per il suo comportamento eroico, guadagnò la prima delle sue tre medaglie d’argento. Le altre due le ottenne combattendo in Etiopia nel ’36 ed in Spagna, durante la guerra civile. Nella seconda guerra mondiale fu richiamato alle armi il 15 luglio 1939 e, con il grado di maggiore, fu assegnato ai carristi del 32° rgt fanteria. Il 24 gennaio 1941 fu inviato a Tripoli, in Libia, al comando della divisione corazzata Ariete. Partecipò a diverse aspre battaglie combattute attorno a Tobruk, e proprio il comandante in campo delle forse dell’Asse, il maresciallo Rommel, la famosa “volpe del deserto”, gli appuntò sul petto una delle più alte onorificenze naziste.

Quel nove settembre 1943 aveva il grado di tenente colonnello ed era impegnato nel comando del distaccamento della nona compagnia di Bitonto. Mentre i militari tedeschi si piazzavano sul corso con i loro reparti corazzati, si precipitò in piazza, dopo aver appuntato sulla sua divisa tutte le onorificenze militari, tenendo in bella mostra sul petto quella tedesca. Affrontò con decisione il collega nazista e gli impose praticamente di “smammare”. Non disse, come la Madonna nel maggio 1734: “lascia stare Bitonto, che è la pupilla dei miei occhi”, ma con più decisione e forza garantì, offrendosi come ostaggio, che avrebbero potuto ritirarsi senza danni verso il nord.

Cosa che effettivamente avvenne. Nel frattempo, alcuni altri benemeriti convinsero (ed a quanto pare abbastanza facilmente) i barricadieri che stavano sul ponte del Carmine a tornare a casa. Bitonto si sottrasse così al doppio pericolo che incombeva sulla città: essere distrutta dai tedeschi che l’avevano occupata se i barricadieri li avessero attaccati (onestamente sarebbe stato un inutile massacro, un autentico bagno di sangue) oppure essere rasa al suolo dai bombardieri alleati a caccia dei reparti nazisti.

Pasquale Lomaglio, una volta lasciato l’esercito, si iscrisse al Movimento Sociale Italiano, divenne consigliere comunale di Bitonto e per la sua collocazione politica è stato a lungo volutamente ignorato. Tant’è vero che appena due anni fa, precisamente il 9 settembre 2001 il collega Franco Amendolagine, in un articolo pubblicato dalla “Gazzetta”, sollecitava i bitontini ad esprimere la loro gratitudine ed a ricordare il colonnello Lomaglio: “degnamente almeno quest’anno, ricorrendo il 30° anniversario della sua morte”. Amendolagine sottolineava che “sin oggi la pubblica amministrazione non si è mai ricordata di questo figlio illustre che salvò Bitonto e fu sempre vicino a chi aveva bisogno di aiuto”. In effetti, dopo quell’appello, il Comune ha dedicato una strada al colonnello Lomaglio. Meglio tardi che mai.