E’ ricca di emozioni questa quinta giornata del Bif&st. Basti pensare che in serata, al Petruzzelli, prima della proiezione di Amusia di Marescotti Ruspoli, film tra i più attesi del festival nella sezione panorama internazionale, Elodie riceverà il Premio Silvana Mangano come attrice rivelazione per Ti mangio il cuore di Pippo Mezzapesa, considerato film dell’anno. A premiare la cantante sarà lo stesso regista, in un teatro pieno in ogni ordine e grado: il tutto esaurito risale a prima dell’inizio del festival. Alle 21, invece, toccherà ad Elodie conferire a Luigi Lo Cascio il Federico Fellini platinum award for Cinematic Excellence. La premiazione precederà la proiezione di Couleurs de l’incendie di Clovis Cornillac alla presenza, in sala, del regista e della mitica Fanny Ardant, già ospite del festival parecchie edizioni fa.
Ma torniamo a questa mattina, quando in compagnia di una miriade spettatori mi sono incamminata verso la platea. Una coppia di anziani signori mi raccontava di aver molto apprezzato Lo Cascio in Il signore delle formiche, visto quest’estate al Galleria. Dicevano che è un attore “appassionato e molto intenso”, descrizione che non ho potuto non apprezzare e condividere. In realtà è stato lo stesso Lo Cascio a definirsi così durante la master class: “Se proprio mi tocca definirmi come interprete, direi che impiego nei miei ruoli tutta la passione possibile e che cerco di non focalizzarmi troppo sul fuori e sul dentro, sull’intensità piuttosto che sulla potenza espressiva. Non mi interessa se non sono molto espressivo. Mi piace apparire malinconico o felice, a seconda di come davvero dovrei apparire, pur non sorridendo o facendo un’espressione triste e contrita. Voglio che il pubblico lo noti, lo senta anche se siamo separati dallo schermo e non siamo a teatro, dove le emozioni sono più vibranti“.
Persino nella regia del suo primo film, La città ideale, proiettato prima dell’intervista, si percepiscono esattamente queste caratteristiche, oramai note distintive dell’artista. “Questo mio primo, ad oggi, unico film da regista del 2012 non lo ha visto praticamente nessuno. Era considerato complicato dai distributori e resta, in effetti, un film che ha bisogno di uno spettatore attivo, che ha voglia di seguire la storia. Alla fine lo prese l’Istituto Luce e lo distribuì in appena diciotto copie e stette in sala pochissimo. Ma in due settimane di programmazione incassò 280.000 euro; oggi sarebbe quasi un successo” racconta Lo Cascio.
“Il personaggio di mia madre era davvero mia madre, Aida Burruano – spiega al giornalista Enrico Magrelli – un’insegnante di diritto negli istituti tecnici siciliani. Non voleva recitare ma io avevo scritto il ruolo proprio pensando a lei. Ci misi tanto a convincerla. Poi mi espresse il suo dispiacere quando aveva cercato il suo nome su Google a aveva trovato: ‘attrice’. Proprio lei che aveva dedicato tutta la sua vita all’insegnamento”. Il film ruota intorno alla famiglia e alla dimensione del quotidiano, della casa, non visti come trappole da cui sfuggire ma come fabbriche di sogni, palestre di vita, luoghi entro cui nascere e rinascere ogni volta. Come si intravede soprattutto nella scelta del cast: “Anche mio zio Luigi Maria Burruano recitava nel ruolo dell’avvocato. Con lui avrei voluto fare un secondo film che avevo intitolato ‘Come sta lo zio Gigi’ e che ruotava attorno a me che gli proponevo un ruolo da protagonista. Mi dispiaceva che lui, così bravo, non aveva avuto quello che meritava. Poi purtroppo si ammalò ed è scomparso nel 2017”, afferma Lo Cascio.
Proprio ad una telefonata dello zio, come ha ricordato Enrico Magrelli, si deve la svolta nella carriera dell’attore. “Ero appena stato estromesso da uno spettacolo teatrale – spiega, mentre viene travolto dai ricordi – dopo che il regista mi aveva detto che ero praticamente un cane, un caso disperato. Mi trovavo sul divano di casa facendo zapping con il telecomando quando squillò il telefono. Era mio zio che mi diceva di venire subito a Mondello perché Marco Tullio Giordana voleva conoscermi. Era il 14 agosto del 1999, faceva caldissimo, le strade erano intasate dalle macchine dei villeggianti. Finalmente giunsi dallo zio, ci sedemmo con Giordana, mio zio e altri, e confessai subito che, nonostante avessi già 32 anni, non sapevo praticamente nulla di cinema, con grande disperazione di zio Luigi. E invece, andò bene: feci il provino e fui preso come protagonista de ‘I cento passi’, l’inizio della mia carriera nel cinema”. Applausi scroscianti.
Lo Cascio torna poi indietro nel tempo, da quando faceva cabaret ed era ancora uno studente di medicina sino agli studi all’Accademia Nazionale Drammatica Silvio D’Amico, anni “bellissimi” come ha sottolineato più volte. “Ho avuto la fortuna di avere grandi maestri come Orazio Costa, il cui metodo molti allievi consideravano antiquato e che invece ci insegnava a guardarci tra noi. Interpretavamo a turno gli stessi ruoli, maschili e femminili, e ci facevamo reciprocamente da specchio, capivamo le diversità. Ci esercitavamo a fare qualsiasi cosa, non solo esseri umani, senza soggezione e questo mi spalancò molte porte”. Tra i suoi compagni di corso c’erano Pierfrancesco Favino, Alessio Boni, Fabrizio Gifuni. “Fabrizio era quello che frequentavo più di tutti, ero spesso a casa sua, la famiglia mi aveva pressoché adottato. Mi costringeva a vedere tutti i film di Gian Maria Volonté. Fabrizio e Pierfrancesco erano degli imitatori incredibili, divertentissimi, si impossessavano delle persone che imitavano, era impossibile farli smettere quando iniziavano. Con i dialetti erano capaci di interpretare un’intera scala di condominio di qualsiasi città” racconta l’attore.
Eppure, nonostante tutti i ricordi siano legati al cinema, Lo Cascio vorrebbe dedicarsi per un po’ di tempo al teatro, perchè, specie dopo la pandemia, ha voglia di tornare in contatto con il pubblico: “Sarò in tournée con uno spettacolo di Marco Tullio Giordana su Pasolini. Solo nell’estate del prossimo anno, ora che ho l’idea giusta, comincerò a preparare il mio secondo film da regista. Nel frattempo, se volete vedermi, potete andare a vedere ‘Delta’ anche più di una volta. Oppure potrei fare riuscire ‘La città ideale’ magari cambiandogli il titolo in ‘Inquinamento’ o ‘L’ecologista’. Tanto non lo ha visto nessuno” afferma, ridendo. Alla fine dell’incontro, legge due passi del suo ultimo libro in uscita la prossima settimana, Storielle per granchi e per scorpioni edito da Feltrinelli: spassoso, un po’ come la master class, che il pubblico del Petruzzelli difficilmente dimenticherà.