“Forse verrà un giorno in cui tutti capiranno che quel povero popolo soffre e muore oggi per noi. Dio voglia allora che non troviamo i suoi morti nello stesso luogo in cui bisognerà seppellire i nostri”. Il grande scrittore francese François Mauriac scrisse queste parole all’indomani del bombardamento di Guernica, avvenuto ottantacinque anni fa.
Il 26 aprile 1937 era un giorno di mercato nella città sacra dei baschi, simbolo della loro libertà, e un gran numero di civili vi si erano recati anche dai paesi vicini. Lo sapeva bene il generale franchista Emilio Mola, responsabile delle operazioni sul fronte nord nel primo anno della guerra civile spagnola, che nei giorni precedenti aveva lanciato un ultimatum alle forze repubblicane: “Se non vi arrendete subito raderò al suolo la Biscaglia”. Quel giorno oltre quaranta aerei tedeschi della Legione Condor, accompagnati da tre bombardieri Savoia Marchetti e 10 caccia dell’Aviazione Legionaria italiana, bombardarono la cittadina basca a ondate successive, per oltre quattro ore.
Padre Alberto Onaindia, un sacerdote che sopravvisse al bombardamento, descrisse così l’accaduto: “Durante quel tempo non passavano cinque minuti senza che il cielo si vedesse oscurato dagli aerei tedeschi. Il metodo di attacco fu sempre lo stesso. Prima mitragliavano; dopo lanciavano le bombe esplosive, e alla fine quelle incendiarie. Gli aerei volavano molto bassi, radendo il suolo, le strade e i boschi col fuoco delle mitragliatrici, e nelle cunette delle strade si ammucchiavano insieme, stesi al suolo, uomini, donne e bambini… si udivano grida di dolore da tutte le parti, e la gente terrorizzata si inginocchiava, levando le mani al cielo, come se implorasse la divina provvidenza”.
Il governo di Burgos, insediato dai generali golpisti, sostenne che erano stati “i rossi” a distruggere Guernica, che la Spagna di Franco condannava simili azioni. E inutilmente, padre Onaindia si rivolse al cardinale primate di Spagna, Isidro Gomá y Tomás, perché togliesse il suo sostegno e la sua benedizione alle forze franchiste: “Per carità, signor cardinale, per il rispetto e per l’amore del vangelo, per la profonda misericordia di Cristo, non si può commettere un crimine così orrendo, inaudito, apocalittico, dantesco”.
Ma quello che non volle sentire l’alto prelato, lo recepì appieno un artista spagnolo trasferitosi a Parigi, che su richiesta del governo repubblicano di Madrid fissò per sempre l’orrore descritto da padre Onaindia in una grande tela: forse il maggior capolavoro di Picasso, e una tragica icona del secolo breve. Otto anni più tardi, al Processo di Norimberga, Herman Göring avrebbe così giustificato il bombardamento: “Guernica è stato un terreno di prova per la nostra Luftwaffe. È stata una vicenda spiacevole, d’accordo! Ma non potevamo fare altrimenti perché non avevamo un altro posto per sperimentare i nostri aeroplani”.
Le rovine di Guernica, così come appaiono in una rara foto dell’archivio federale tedesco, assomigliano fin troppo alle rovine di Mariupol. Così come molti altri elementi di quel lontano episodio storico sono tornati tragicamente d’attualità: gli ultimatum dei generali, i massacri della popolazione civile, il capovolgimento della realtà operato dalla propaganda di regime, la volontà di sperimentare nuove armi come i missili ipersonici, il sostegno alla guerra d’aggressione da parte di un alto prelato indegno del suo ruolo. L’uomo che ha scatenato tutto ciò non sarà il nuovo Hitler, come ci assicura il filosofo Massimo Cacciari, ma questo non riduce le innegabili somiglianze.
In quanto a Emilio Mola, il generale che sollecitò l’intervento della Luftwaffe di Herman Göring, e un potenziale rivale di Francisco Franco, morì in un misterioso incidente aereo poco dopo il bombardamento di Guernica, il 3 giugno del 1937.
Nella foto in alto, “Guernica” l’opera realizzata da Picasso per ricordare la strage nazista del 1937