Siamo a Messina o, meglio, nella splendida città marittima. È qui che è ambientata la storia, ma qualunque altro luogo potrebbe ospitarla. Qualunque paese al mondo. L’importante è che ci sia il mare, che ha una straordinaria importanza in questa bellissima storia di morte e rinascita, di gioia e dolore, di fiducia e sfiducia, di odio e amore. Un amore universale.
Ed è straordinaria la somiglianza che il mare ha con la sua incredibile protagonista, una donna “fatta e finita” rappresentata con realismo e profondità nelle sue più svariate sfumature: madre, moglie, amica, figlia, sorella. E quanto le è difficile ricoprire tutti questi ruoli, senza deludere nessuno, soprattutto sé stessa.
Se fosse una persona reale, una delle donne che vediamo ogni giorno, penso che la odieremmo, perché mancheremmo di tutte quelle informazioni apprese nel corso della narrazione. È lei, infatti, a svelarsi a poco a poco, senza ritenersi speciale, senza alcuna pretesa di essere una narratrice oggettiva. Ma quello che prova e sente lo conosce a fondo, così come sa bene quali e quante siano le sue responsabilità e, al minimo accenno di fallimento, difficilmente riesce a fronteggiare tutti i sensi di colpa che, inevitabilmente, prova nel corso delle sue giornate.
Una vita dura è quella di Flora, ora che ha una figlia adolescente da crescere dopo un divorzio sofferto, una madre da proteggere dalla depressione, giunta silenziosamente nei quattro anni in cui è morto il marito. E poi c’è il bar da portare avanti e spese da fronteggiare. E Flora, in una forma diaristica, narratrice e cinepresa della sua storia, ci rivela chi sia e cosa l’abbia resa così disillusa e come la vita possa mutare da un momento all’altro, impunemente, senza permetterci di scontare il dolore già accumulato in noi, sedimentandosi, per poi spuntare nel momento di massima resa. Così, racconta tutte le volte in cui ha pianto, per dolore o per gioia, difficilmente liberando lacrime dimenticabili.
Sono le lacrime dei guerrieri, le sue, lacrime eroiche, quelle trattenute, quelle di chi piange segretamente ogni giorno; o sono le lacrime mostrate orgogliosamente, perché siano guanti di sfida a quel dolore che, nonostante tutto, non è in grado di privare questa umanissima Flora dei suoi adorabili sentimenti.
E quanto ci rivela la nostra protagonista sulla sua vita, facendoci sperare in un lieto epilogo. Specialmente quando tutto sembra destinato a non migliorare, dopo anni di sacrificio e sfiducia, il fato viene a bussare alla porta di una donna stranita e, chissà, magari qualcosa muterà nella sua vita.
Ma della trama, o curioso lettore, non saprai altro. Metà del piacere di questo libro di Catena Fiorello, “Tutte le volte che ho pianto” (Giunti Editore, 2019) sta proprio nello scoprire a poco a poco i dettagli, piccoli o grandi, e nello sperare sin dall’inizio che la vita di questa donna cambi, come la sua visione del mondo, a volte così tanto opinabile, irrazionale, dettata dalla rabbia e dal dolore, come quella di tutti.
Il libro è stato presentato alla biblioteca comunale di Bitonto su iniziativa della Libreria del Teatro, della FIDAPA e dell’associazione Symposium. La sua frizzante autrice ha tenuto tutti i suoi ascoltatori avviluppati alle pagine e li ha fatti innamorare non solo del libro, acquistato seduta stante, ma della sua stessa autrice, così diversa dalla protagonista, e nascosta, chissà come, tra le intense righe che ha scritto per noi.