Ci sono date e date. Festeggiare o fare memoria, o semplicemente ricordare i 25 anni o i 50 o altro, dalla nascita o dalla morte o da qualche evento particolare, non è mai una “occasione” da perdere. Tanto più quando si è di fronte a personaggi che hanno avuto il coraggio di “mettersi in gioco” o di “servire” comunità; persone che hanno fatto la storia o che si sono poste come modello, come punti di riferimento.
Non siamo, in questa circostanza, solo in presenza di qualcuno o di qualcosa da ricordare, ma di qualcuno che da “spazio” è diventato “memoria viva” nel tempo, testimone. Con lo scorrere del tempo che attenua ogni forma delle cose, è il pensiero, infatti, che primeggia e si accresce, diventando cultura, fonte di ricerca continua e di riflessione.
Monsignor Enrico Nicodemo, fu Padre, fu Pastore, fu Vescovo. L’Arcidiocesi di Bari, divenuta successivamente di Bari-Bitonto, lo ha tutt’ora a modello di riferimento perché rinato, rigenerato nelle scelte di una reincarnazione di visione, di servizio che si aggiorna e si arricchisce in Cristo di luce sempre nuova. Le solidissime radici di Nicodemo, penetrate e cresciute nell’essenza del vangelo, sono state aperte, illuminate da una ricerca di fede e di amore nuova, più ampia, per portare Cristo all’uomo di oggi e di domani.
Una operazione alla quale nel e dal Concilio Ecumenico Vaticano II scaturisce l’ansia di una chiesa che si spoglia delle sovrastrutture garantiste, quando non anche vessatorie, del potere che il tempo può aver consolidato, travolgendo missione, valore, visione. Una collegialità di riflessione globale che si adatta a culture diverse perché Cristo è uno ieri, oggi, sempre. A giusta ragione don Antonio Ruccia nel suo volumetto parla di Nicodemo – a cui, peraltro, questo stesso giornale ha dedicato un’ampia pagina nei mesi scorsi – (clicca qui) in occasione del cinquantesimo anniversario della scomparsa, facendo primeggiare Il coraggio del cambiamento. Una riflessione semplice, essenziale, frutto di memoria diffusa, recuperata per ricordare il “mancato” anniversario dei cinquant’anni dalla sua morte. Una riflessione priva, tuttavia, di quegli approfondimenti che il tempo aiuta a far risplendere per una figura carica di così grande umanità, paternità, personalmente sperimentata, e che ancora oggi tanti “suoi” sacerdoti raccontano con gioia.
I documenti di mons. Nicodemo, le sue elaborazioni pastorali sono la preziosa miniera non da “restituire” ma da espandere nella loro conoscenza soprattutto in direzione delle nuove generazioni che non lo hanno conosciuto. Con la sua improvvisa scomparsa, seguita alla malattia, quel processo che con grande fervore vedeva la chiesa di Bari coinvolta e protagonista, improvvisamente si arrestò. Il co-artefice del cambiamento era venuto a mancare. Mancó proprio chi, in sede conciliare, aveva concorso a volerlo, a ridisegnare il volto di un Popolo di Dio che riprendeva la sua centralità. Mancó chi ne aveva maturato le ragioni profonde per introdurlo. Mancò chi, con sant’Agostino affermava: “Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano”.
Tutto a soli otto anni dalla conclusione del Concilio, ad attuazione appena avviata, avendo ricoperto, mons. Nicodemo, dal 1966 la carica di vicepresidente unico della Conferenza Episcopale Italiana e di presidente della Conferenza Episcopale Pugliese. Si deduce in maniera diffusa, come in tanti non hanno mai avuto volontà o l’autorevolezza necessaria per introdurlo, il Concilio, e per seguirlo, anzi. A Firenze Papa Francesco sferzò la Chiesa Italiana con grande fermezza pastorale (10 novembre 2015).
È duro dover cambiare, specie per chi in quel profondo travaglio conciliare non è stato dentro nè durante nè dopo la sua celebrazione e, men che meno, nella sua lentissima attuazione. Perché cambiare? “Abbiamo fatto sempre così!”. Certezze esclusivamente ancorate alla tradizione, prive di futuro. Ci siamo ancorati alle nostre sicurezze, non alla fede. È l’obiettivo, la frase-obiettivo che abbiamo messo forse al primo posto in questo sinodo dei vescovi.
È vero, il cambiamento non viene mai accettato facilmente perché crea paura. E questa è parte integrante dell’essere umano. Il cambiamento ha bisogno di pastori e laici coraggiosi pronti ad andare al largo. Si sa e si difende, invece, ogni posizione acquisita. Ogni comfort zone è più rassicurante dell’avventura insita in ogni cambiamento, ma registra la paralisi. Ricordare, riflettere su Nicodemo oggi ci può far meditare sul cambiamento che abbiamo realizzato, sul tempo che abbiamo usato per eventualmente ri-avviarlo.
La spirale regressiva scaturisce da una crisi di fede, sfocia in una crisi di comunicazione e produce la crisi dell’identità cattolica che insterilisce l’istituzione ecclesiastica. Dimostrazione analitica – sostenuta con germanica acribia da indagini di terreno, interviste, sondaggi – del doloroso allarme lanciato dal cardinale Carlo Maria Martini nel suo testamento spirituale: “La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni”.
Due secoli di ritardo sul mondo non si recuperano d’un colpo (da Limes 5/04/2013). Se questo dovesse essere vero significa che tutti noi, vescovi e fedeli, dal Concilio ad oggi, non siamo stati soggetti attivi per il cambiamento. Ancora, così il card. Martini nel suo testamento spirituale: “La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio”. Per questo le ricorrenze, gli eventi non vanno sottovalutati ma celebrati: per rispondere a queste domande e sottoporci, vescovi e laici, a severa verifica. Da questo cinquantesimo anniversario dalla morte di mons. Nicodemo scegliamo non di “rimetterci sulle tracce di un uomo…” ma di non sprecare più tempo, di camminare insieme per cambiare con l’insegnamento e la coraggiosa testimonianza di un Padre, un Pastore, un Vescovo illuminato sul cammino che la Chiesa universale definì nel Concilio Ecumenico Vaticano II.
Nelle foto alcune immagini tratte dal volumetto di don Antonio Ruccia, “Il coraggio del cambiamento”, scritto nel cinquantesimo anniversario della scomparsa di mons. Enrico Nicodemo