Diciamocelo! Parlare di mestruazioni è sempre imbarazzante: una sorta di vergognoso tabù. Ancora, già. Una prova di questo sono le colorite espressioni, usate in ogni dove e da che mondo è mondo, per rendere eufemisticamente questo processo biologico tutto femminile e tutto naturale: “sono indisposta”, “ho le mie cose”, “il mio periodo”, fino ad arrivare a “il fenomeno delle fragole”, per non parlare di quel divertentissimo modo di dire ungherese: “arrivano i russi”. Mah!
Per quale motivo si è così reticenti e imbarazzati quando si parla di ciclo mestruale? Non è un discorso che si limita agli uomini ma che, in realtà, riguarda soprattutto le donne. Qui, anzi, è tutta la radice del problema. E benché le cose stiano lentamente (molto lentamente) cambiando, guardarsi indietro è essenziale, poiché chiarisce tante cose sul presente. Sin dall’origine dei tempi, infatti, l’umanità ha avuto opinioni discordanti sul sangue mestruale: se da una parte gli si è voluto attribuire addirittura un potere taumaturgico e religioso, dall’altro è stato considerato impuro, una vergogna, qualcosa da nascondere.
Per questo nella letteratura non mestruano le eroine, ma le prostitute, e se viene nominato, questo “ostracizzato” ciclo mestruale, è solamente per mezzo di metafore o silenziosamente accennato nelle fiabe, una per tutte Cappuccetto Rosso: una bambina che è divenuta donna e che, perciò, deve comportarsi come tale ed eseguire le mansioni proprie di chi è divenuta adulta e ha perso l’innocenza.
Così come pochissime sono le rappresentazioni nella storia dell’arte, citate nel contributo di Manuela de Leonardis, storica dell’arte e giornalista, che ha curato il libro Il sangue delle donne, tracce di rosso sul panno bianco, progetto importante e innovativo che raccoglie le opere di sessantotto artiste, provenienti da tutto il mondo, che rappresentano le mestruazioni con la propria sensibilità e femminilità. Il tutto è riprodotto sui panni di lino utilizzati un tempo durante il ciclo mestruale, per segnare un fil rouge tra passato e presente.
Il libro, presentato nei giorni scorsi a Bari presso la Mediateca Regionale Pugliese, raccoglie dunque gli esiti artistici e culturali di un lavoro davvero stupefacente e coraggioso: opere che si avvalgono della potenza che ha l’arte di scardinare i preconcetti, con più efficacia di una manciata di parole ben studiate o di qualunque gesto violento. L’immagine, l’immagine che parla, comunicando. Ad essere raffigurate sono le tappe fondamentali di ogni donna, scandite dall’arrivo del ciclo mestruale fino alla menopausa.
Alla presentazione è intervenuta Giusy Petruzzelli, vicedirettrice e docente associato all’Accademia delle Belle Arti di Bari. Ad affiancarla, Annalisa Zito, direttrice della Fondazione Pasquale Battista, associazione che ha collaborato alla raccolta delle opere dal 2015 al 2018, un progetto che conta di crescere sempre più attraverso nuovi artisti e nuovi contributi degli esperti in ogni ambito, da quello medico a quello antropologico e letterario.
Il libro, infatti, oltre a riportare opere di artiste note a livello internazionale, è arricchito dai contributi di storici dell’arte, giornalisti, di una ginecologa, di uno psichiatra, di scrittori e di studiosi di letteratura che hanno approfondito un tema che non manca certo di offrire molteplici spunti di riflessione.
Lo scopo del volume è far riscoprire la naturalezza e addirittura la nobiltà del sangue femminile, così censurato e tenuto nascosto, contrariamente a quello maschile, simbolo, invece, di eroismo, coraggio e sacrificio. A ben vedere, questo non è che un pretesto per riscoprire la femminilità stessa e tutto ciò che anche di drammatico le ruota attorno, come nell’opera di Silvia Levenson, Una ogni tre giorni. Oppure un’eredità che accumuna madri e figlie, come in Sangue del mio sangue di Lea Contestabile o in Three Generation Blood Line di Sasha Huber.
Nel libro e nei lavori artistici, allora, diverse interpretazioni, tanti quanti i rapporti che ogni donna ha con la propria specifica femminilità. E allora perché il sangue mestruale deve essere un increscioso tabù? Non è, forse, anche questo un modo, un mezzo, così naturale, di cui la storia si è servita per mettere in ombra le donne? Una dimensione critica vicina a derive femministe ideologiche? Non è questo lo scopo del libro.
La pubblicazione appare davvero un importante contributo, in termini non esclusivamente artistici, che si accompagna ad altri eventi di rilievo, come la pubblicazione, nel 2017, del libro di Élise Thiébaut, Questo è il mio sangue. Manifesto contro il tabù delle mestruazioni, oppure la vittoria, come miglior corto documentario agli Oscar del 2019, de Il Ciclo del Progresso, a firma di Rayka Zehtabchi, che tratta la produzione di assorbenti usa e getta in India, dove, ancora oggi, si usa il pannetto di lino.
Sono tutti passi importanti, questi, verso una perfetta valutazione della stessa femminilità, nella sua pura pienezza e totalità. Una femminilità a torto non di rado nascosta, proprio come le “odiosissime” mestruazioni.