La frase gira sul web da quindici anni, anche se il boom di citazioni è cominciato nel 2012, quando è entrata nelle numerose raccolte di aforismi disponibili online. Da allora è stata riprodotta in centinaia di blog personali, e ha fatto il suo ingresso nell’editoria tradizionale: la prima citazione su carta è della psicoterapeuta Gianna Schelotto, nel suo S.O.S. cuori infranti. Guarire il mal d’amore (Mondadori, 2013); poi il teologo Gianfranco Ravasi l’ha scelta come argomento di riflessione per una nota del suo Breviario dei nostri giorni (Mondadori, 2018), e Antonio Polito l’ha messa in esergo al suo Le regole del cammino. In viaggio verso il tempo che ci attende (Marsilio, 2020). Sempre tra virgolette, e sempre attribuita a Italo Calvino (nel primo caso, il Calvino del romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore, negli altri due, del saggio Lezioni americane): “Prendete la vita con leggerezza, che [o perché] leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. L’aforisma era attraente, e la paternità di quel letterario “planare sulle cose dall’alto”, come un messaggero divino sul caotico mondo degli uomini, appariva in generale convincente. Con qualche eccezione.
Dopo le segnalazioni di alcuni più attenti lettori, il filologo romano Giuseppe Regalzi pubblicava un breve saggio, Diventare Calvino, in cui la non autenticità dell’aforisma veniva puntualmente illustrata, e la sua paternità, o meglio, maternità, ricondotta ad un’insegnate di Cuneo, appassionata lettrice di Calvino. La professoressa Mattea Rolfo l’aveva infatti formulata nel suo blog personale il 20 settembre 2007, e poi ripresa in un libro affidato alla piattaforma di self-publishing Lulu.com. Per vie imperscrutabili, l’aforisma pseudo-calviniano era quindi apparso in un post dell’allora popolare Italo Calvino Blog, e da lì dilagato nel web in modo pandemico. Inutile che la figlia dello scrittore, Giovanna Calvino, più di una volta (leggi qui) avesse fatto notare che non era di suo padre, e che neppure gli somigliava: il pensiero alato della professoressa Rolfo era ormai divenuto, per pubblica acclamazione, di Italo Calvino.
Ci sono però luoghi che godono di una maggiore attenzione critica, dove ogni parola pronunciata viene passata al vaglio dei più sofisticati analisti, e il teatro Ariston di Sanremo, città adottiva di Calvino, è sicuramente uno di questi. Accade così che la sera del 5 febbraio scorso, sotto gli sguardi rapiti di 13 milioni di spettatori virtuali, Sabrina Ferilli, invitata dal conduttore del Festival a cimentarsi in un originale monologo, decida di citare Italo Calvino, ovvero Mattea Rolfo: “Ho scelto questa strada, ma non è che non sappia cosa succede [nel mondo]. L’ho scelta perché, come scrisse Italo Calvino, in tempi così pesanti bisogna saper planare sulle cose con leggerezza, senza macigni sul cuore, perché la leggerezza non è superficialità.”
Digitando su Google “Sabrina Ferilli cita Calvino” si otterranno circa 180.000 risultati, la maggior parte dei quali tesa a segnalare la falsa citazione pronunciata dalla popolare showgirl e attrice romana. Mentre la Ferilli si chiudeva in un imbarazzato silenzio, l’amica Selvaggia Lucarelli, che si era orgogliosamente attribuita il testo dell’intervento, si affrettava a cancellare alcuni maliziosi commenti dal suo profilo Instagram.
Tutto faceva pensare che, dopo essere diventata inaspettatamente Calvino, la professoressa Rolfo fosse tornata ad essere definitivamente se stessa. Ma anche nel web vige almeno in parte il postulato di Lavoisier, secondo cui «nulla si distrugge, tutto si trasforma». Ed ecco che sulla Repubblica di domenica scorsa, 20 marzo, in un articolo dal suggestivo titolo “Non parliamo solo di guerra e Covid, rimettiamo in moto la fantasia”, il raffinato giornalista e scrittore Gabriele Romagnoli inciampa nella stessa falsa citazione: “È legittimo riprendersi Italo Calvino e affermare che la leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.
L’esortazione di Romagnoli era pur sempre ragionevole, ma nell’approssimarsi del centenario della nascita dello scrittore sanremese converrebbe veramente riprendersi il saggio sulla leggerezza con cui si aprono le sue Lezioni americane: si scoprirà che, non solo Calvino non ha mai invitato a prendere la vita con leggerezza, ma che tali parole vanno esattamente contro il suo pensiero. “La mia operazione – scrive il vero Calvino – è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio”. La struttura del racconto e il linguaggio: è questo il terreno in cui prende corpo il suo elogio della leggerezza. È la “leggerezza della pensosità”, quella – ci spiega Calvino – dimostrata dal poeta filosofo Guido Cavalcanti nell’esemplare novella del Decamerone, quando, trovatosi accerchiato fisicamente e verbalmente da un gruppo di esponenti della gioventù ricca e gaudente fiorentina, sì come colui che leggerissimo era, si libera prontamente con una dimostrazione di agilità mentale e fisica, lasciando i suoi assalitori sbigottiti e muti.
“Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi al nuovo millennio – conclude Calvino – sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite”. Guido Cavalcanti, così come Italo Calvino, non era certo uno che prendeva la vita con leggerezza.
La foto, in alto, di Italo Calvino è tratta dal sito turismoletterario.com