Un palcoscenico nudo, due corpi nudi in movimento. Sono quelli di Orin Camus e Chloé Hernandez della Compagnia YMA, apparsi sulla scena del Traetta di Bitonto, per l’occasione spoglia e priva di ornamenti, proprio come i corpi dei due danzatori. Per il sesto weekend di formazione del Network Internazionale Danza Puglia, Ezio Schiavulli, direttore artistico dell’iniziativa, ha scelto di provare a stupire il pubblico.
Protagonista del progetto “L’Arte dello Spettatore”, si è ritrovato dinanzi a due eccellenti interpreti del panorama coreutico internazionale, che hanno deciso di “mettersi a nudo” sul palco. “In questo contesto in cui tolgo tutte le mie protezioni, i miei vestiti -ha dichiarato Chloé- mi sento fragile e spero che il pubblico possa percepirlo come un atto di fiducia nei suoi confronti”.
Una nudità che non intimidisce, non imbarazza, non “violenta” l’occhio della platea. Al contrario, regala immagini poetiche di due anime che s’intrecciano, fondendosi sul palco così come nella vita. Autori e interpreti di “Si nous prenions le temps”, lo spettacolo proposto in prima nazionale a Bitonto, i francesi Camus ed Hernandez condividono quella complicità che caratterizza l’unione dei loro corpi danzanti anche nel quotidiano. Un progetto in itinere, che si nutre delle prime impressioni del pubblico per evolversi. Un lavoro incompiuto, che già mostra perfettamente la direzione verso cui i due coreografi si stanno muovendo.
“Si nous prenions le temps” è anche un modo per puntare il dito contro una società che chiede di essere sempre al passo col tempo”, sottolinea Ezio Schiavulli. “In questa fase della loro carriera -prosegue- Orinne e Chloé hanno deciso di soffermarsi, in quanto artisti e in quanto coppia nella vita, e guardarsi l’un l’altro negli occhi per fare un bilancio. Frutto di una ricerca artistica di coppia che si basa sulla tecnica del ‘contact’, la coreografia assume i connotati di un processo di comunicazione e totale fiducia verso l’altro”.
“La danza è un linguaggio e, come avviene nella comunicazione, ognuno di noi ha delle posizioni. A volte capita anche di incontrare delle difficoltà nel comunicare. La danza, in quanto nostro linguaggio, esprime una volontà di unione ma anche di distacco”. Con queste parole, Hernandez spiega il senso del movimento, inteso come grammatica del corpo, un corpo che ha bisogno di spogliarsi di qualsiasi sovrastruttura. Così, la coppia di danzatori appare inizialmente sul palco in pantaloni e canotta, indumenti da cui finiranno per liberarsi in modo talmente naturale e delicato da non turbare l’occhio e l’animo del pubblico.
Complice un gioco di luci e ombre, a cura della light designer Sylvie Debare, che, come in una tela del Caravaggio, restituisce la nudità di quei corpi con straordinaria eleganza. “La creazione nasce dalla volontà di trovarsi nello studio senza una preparazione, di entrare senza parlare, guardarsi l’un l’altro e far nascere di lì qualcosa -racconta Cholé e prosegue- ritrovarmi davanti a questo vuoto con due corpi è stato molto difficile e ho avuto paura. Poi, pian piano, il movimento ha iniziato a prender forma”. Un movimento fluido in cui il contatto fra i due interpreti rappresenta la vera forza espressiva. Un contatto fisico che prosegue, laddove i corpi si distaccano, in un contatto visivo. Seppur privi di qualunque indumento, i danzatori si avvalgono l’uno del corpo dell’altro per coprire la propria intimità in un intreccio indissolubile che tende a farli apparire come unica creatura. Momento centrale della performance è infatti quella figura che si materializza sul palco in cui il corpo di Chloé appare avvolto dalle braccia e dalle gambe di Orin dando vita a quella che loro stessi hanno definito “la créature”.
I loro arti si intrecciano e confondono, senza lasciar più distinguere nettamente i singoli individui e concependoli come unione, non solo fisica e sensuale, ma anche mentale e spirituale. Longilinei e raffinati tanto nelle pose quanto nelle movenze, raccontano con estrema dolcezza un rapporto, umano e artistico, che si alimenta della consapevolezza che ciascuno ha dell’altro. “Lo sguardo esterno di Chloé fa crescere il mio processo di creazione”, dichiara Camus, sottolineando la complicità e la fiducia alla base del loro legame. Dunque, “Si nous prenions le temps”, stando a quanto afferma Hernandez, “potrebbe considerarsi come il trascorrere di quattro stagioni della coppia in cui si passa da uno step emozionale ad un altro”. Immagini poetiche, intrise di dolcezza e sensualità hanno trasformato, così, il palco del Traetta in una tela d’artista, in cui la luce gioca un ruolo determinante scalfendo i corpi dei danzatori, lasciandone le parti intime nell’ombra.
“La luce a volte scopre il corpo e noi decidiamo quali zone rendere visibili, creando quell’effetto poetico di vedo-non vedo. Il nostro lavoro nasce con l’idea di non essere violenti verso il pubblico ma di entrare dolcemente in comunicazione con esso”. Sono le parole di Orin. E se, come affermava Isadora Duncan, l’aspetto più nobile dell’arte risiede nel nudo, “Si nous prenions le temps” è manifesto di un tale pensiero.