La Calabria è terra di problemi e bellezze. Ma c’è una Calabria che assume ancora oggi dimensioni e suggestioni regali. Un poggio principesco sullo sfondo ed eccoci a Santa Severina, area crotonese, sontuoso borgo dal fascino nobile.
Da qui sono passati anche Carlo Levi e Rocco Scotellaro, insieme. Il paese s’abbarbica prominente e solitario nella valle calabra del fiume Neto.
Santa Severina rientra tra le tappe ineludibili di un viaggio calabrese, di un itinerario attraverso le aree interne e profonde di una delle regioni italiane ancora meno esplorate dal turismo di massa.
Castello imperioso, giacché la remota Siberene (il vecchio nome di Santa Severina) ha tutto quel che serve ad un’antica capitale. Del resto, solo in Italia si possono trovare piccoli centri fortificati che, una volta, assurgevano a ruoli di dominanza politica. Arcaiche maestà.
Oggi assisti al decadimento, alla loro strana immagine stagliata sin lassù: un qualcosa che però non è declino o involuzione. Tutt’al contrario! L’estetica regale rimane intatta, inalterata la suadente grazia delle mura. Santa Severina, la grande “nave di pietra”, come la chiamano visitatori ed entusiasti cittadini, era una capitale.
Lo sapevano i bizantini, elevando la città già enotrica, eretta strategicamente tra la Sila e il mare, a loro capitale di metropolia, imponente avamposto ecclesiastico-amministrativo.
Addirittura la leccese Gallipoli dipende da Santa Severina: tanto per rendere l’idea, 490 km di distanza.
Assieme alla potenza che fu, tre fattori qui s’alleano, suggellando uno scrigno di mai appassito splendore: natura, storia e architettura. Costruito su quella che doveva essere l’originaria acropoli, il castello lo si ricorda normanno ma in realtà molti indizi rimandano a un arce bizantino, rocca di protezione.
L’impatto scenografico racconta in effigie il senso dell’autorevolezza di questa comunità.
Tornando alle opere, imperdibile gemma il battistero, tra i monumenti più belli e datati del paese (almeno VIII secolo), superlativo gioiello calabrese, citato più volte anche da Benedetto Croce.
All’interno, attirano lo sguardo le otto colonne, discretamente austere: sette in granito scuro, una bianca. Il battistero squaderna la cultura greca di Santa Severina, impone una sorta di grecità “necessaria”, segno di un vitale ritorno alle origini mediterranee, quelle del pensiero che tutto ha generato.
Santa Severina è anche il paese dei musei. Noto quello diocesano, ma anche quelli di archeologia medievale, armature, costumi antichi, arte contemporanea (tutti al castello, quest’ultimo con nomi internazionali).
Infine, come potrebbe Santa Severina non deliziarci anche di sapori?
Sapori intrecciati ai saperi: ecco il “Laboratorio del Carafa”, pastificio che rimanda alla tradizione secondo cui Andrea Carafa, nel ‘500 conte di Santa Severina, avrebbe creato un’accademia per promuovere i prodotti locali.
Salto d’obbligo, poi, alla Locanda del Re: gusto (l’olio qui è prelibato) e simpatia. Senza dimenticare gli agrumi, anch’essi tesori del territorio. Lasci allora Santa Severina con “nutriente” consapevolezza. La “nave di pietra” è voce che parla. Dice storia, arte, fede, umane capacità. Un lodevole cammino lungo i tempi, concretamente improntato alla salvaguardia della bellezza.