Sempre più spesso ci si imbatte, leggendo post o assistendo a dibattiti politici oppure partecipandovi direttamente, nel termine “demagogia”.
Ma cosa significa esattamente la parola? Connota aprioristicamente in maniera negativa un politico? Qui, più che mai, gli antichi ci vengono in soccorso. Il termine ha una storia lunga e controversa. Nasce nell’antica Grecia con diversi intenti, non per forza demolitori. La parola è composta dal sostantivo démos (“popolo”) e dal verbo agein (“condurre, guidare”).
Se dovessimo, quindi, tradurlo letteralmente, indicherebbe la “guida del popolo”, traduzione che non presenta alcun elemento negativo. Differentemente dall’uso contemporaneo, il termine, accolto per la prima volta in una commedia di Aristofane (“I Cavalieri”, 424 a.C.), nell’antichità indicava sia un’azione lodevole sia una turpe e vergognosa. Quanto alla prima connotazione, Cimone, Temistocle e Pericle, per citare alcuni esempi, erano definiti “demagoghi”, cioè vere e proprie “guide del popolo” ateniese, insomma esempi da emulare.
Dall’altro lato, Cleone, democratico radicale dell’antica Atene, era etichettato da Aristofane, appunto, “demagogo” nel senso spregiativo del termine: guidava il popolo per procurarsi favore e per raggiungere i suoi scopi più meschini. Oggi si è affermata questa seconda accezione, decisamente negativa, che infanga il politico e ne smaschera fini reali ed orientamenti. Lo stesso Aristotele, che pure non risparmia un giudizio, anche positivo, del termine, ritiene che la demagogia sia quell’arte attraverso la quale i politici dominano le masse e la legge.
Proprio quest’ultima tipologia di “arte” è alla base, se si volesse fare un confronto tra epoche diverse, della moderna demagogia. Si è consumata da poco l’accesa tenzone politica, in Italia, che ha visto trionfare il Movimento Cinque Stelle e la Lega di Salvini. Per loro si è più volte parlato e scritto di tendenza alla “demagogia”.
Si pensi al leader leghista. Come il greco Cleone smuoveva le masse, adulando sia i più ricchi sia, soprattutto, il popolo, per raggiungere i suoi scopi (l’assedio di Mitilene, per esempio), così Salvini ha più volte fatto perno sulla necessità di porre un freno al movimento migratorio, agitando il malcontento delle masse.
Ma la domanda, persino icastica, è: come può, un politico leghista, aver riscosso un gran numero di voti al Sud, in quelle regioni così vituperate, in precedenza, dallo stesso Salvini?
Una domanda lecita che prevede una risposta piuttosto scontata: il politico leghista ha messo in pratica, negativamente, quel demagogein che, all’alba dei tempi, era prerogativa di uomini politici di “sani costumi”, come Temistocle, ed ha fatto presa sul cosiddetto “popolino”, arrogandosi la prerogativa dell’anti-immigrazione e del lavoro “garantito” e tant’altro (se si pensa agli Stati Uniti, anche Trump ha strafatto con la demagogia, riuscendo, in extremis, ad accattivarsi quegli stati che sino all’ultimo istante sembravano dare fiducia alla Clinton).
Un paragone antico/moderno vedrebbe Salvini, secondo noi, affiancato davvero a Cleone, in compagnia di demagoghi e sicofanti. Non a torto, Giambattista Vico affermava che la storia suole ripetersi con movenze, modi e metodi diversi e, ancora non a torto, il prof. Luciano Canfora, alla mia affermazione, durante un dibattito, “sembra di essere tornati ad un secondo Cleone”, ha risposto “forse anche peggio!”.
Da intenti trasparenti, onesti e virtuosi, la demagogia è finita, nel nostro lessico, col designare, insieme ad altre “parole cattive”, pessime condotte politiche di personaggi dalla dubbia onestà intellettuale. Per concludere, citando di nuovo Canfora: “Demagogia è l’azione di aspiranti despoti che strumentalizzano la massa popolare, soprattutto la meno consapevole”. Ed è davvero qui il problema. Pensiamoci.