Un certamen per ribadire il valore dei classici

Alla cerimonia di premiazione, a Molfetta, del concorso dedicato alla prof.ssa Cia Vangi Drago, la lezione illuminante di Franco Montanari, autore del vocabolario GI

Ricordo come fosse ieri un certo giorno del terzo anno, quando la mia insegnante di greco, Rosalba Cassano, entrò in classe per la sua prima lezione di letteratura greca a noi studenti del liceo classico di Bitonto. Non so se i miei compagni di classe abbiano serbato il ricordo di quel giorno, di quella mattina di settembre in cui la professoressa ci parlò di tradizione orale e di miti, che circolavano da secoli e che sono finiti per far parte del bagaglio culturale collettivo. Storie incredibili di assassini, guerre e dolore, ma anche di coraggio e sacrificio.

Racconti potenti, che ancora adesso riescono a far tremare a tanti le vene e i polsi, per dirla alla maniera di Dante. Perché, poi, quelle storie ci incantavano così tanto e perché continuano a far emozionare persone anche molto diverse? Perfino chi, quelle storie, non le ha mai ascoltate a scuola o incontrate traducendo versioni e testi dal latino e dal greco. Comprano La canzone di Achille di Madeline Miller e non pensano alla correttezza della storia, alla sua aderenza con quanto racconta Omero o chi per lui, ma si lasciano semplicemente travolgere dal racconto. E così fanno con le riscritture di Odisseo, di Circe, di Agamennone, immergendosi da capo a piedi in un continuo e vorticoso pantheon di narrazioni, che sembra non aver mai fine. Per fortuna, potremmo aggiungere.

Ma cosa ci sarà mai in questi classici? Cosa avrà mai permesso a queste storie millenarie di arrivare sino a noi? E come fanno ad avere ancora qualcosa da dirci, nonostante gli anni che passano e tutti i cambiamenti, piccoli o grandi, che ci riguardano? Vero quanto diceva Oscar Wilde che l’arte non è tenuta ad insegnarci niente, ma deve pur esserci una qualche motivazione, qualche segreto, un trucco se queste storie, classificate come inutili dall’illuminato politico di turno, continuano ad indicarci la strada da seguire, anche a distanza di anni. Cosa ci sarà mai in una vicenda come quella di Antigone?

La risposta a questa serie di interrogativi, affatto metafisici, l’ha data proprio Franco Montanari, professore ordinario di Letteratura greca all’Università di Genova, nonché curatore del GI il vocabolario della lingua greca, presso la Fabbrica di San Domenico a Molfetta, nella Sala Finocchiaro. Qui si è tenuta la prima edizione del Premio Cia Vangi Drago. Prima edizione apò skenȇs. Ἀγών, certamen nazionale di traduzione da autori del teatro greco antico.

L’iniziativa è stata ideata dalla neonata Associazione culturale Per Cia Vangi Drago: Studium classici nel presente, fondata lo scorso autunno da un gruppo di amici ed ex allievi della prof.ssa Cia Vangi, docente di latino e greco nei licei di Terlizzi e Molfetta, venuta a mancare nell’estate del 2024. Sergio de Ceglia, presidente del Premio e presidente dell’Opera Pia Monte di Pietà e Confidenze, promuove e sostiene l’evento, insieme a Giuseppina Bassi, dirigente dei Licei Einstein – Da Vinci, e alle figlie della professoressa Vangi, Tiziana Angela G. Drago, la prima docente di Lingua e Letteratura Greca e la seconda italianista, entrambe all’università di Bari, con Piero Totaro, docente di Lingua e Letteratura greca anch’egli presso l’ateneo barese.

I ragazzi vincitori del certamen

Davanti ad un folto pubblico di giovani studenti e studentesse, di insegnanti del liceo e dell’università che attendevano il verdetto dell’agone, il prof. Montanari ha spiegato che una storia come quella di Antigone affronta temi che ci riguardano dall’inizio dei tempi, dall’inizio della nostra storia. Temi fondamentali come la morte, la giustizia, le leggi divine e le leggi umane. Ma i miti, questi racconti che circolavano di bocca in bocca, di generazione in generazione, fino a prendere forma scritta, non offrono mica facili soluzioni. “I classici non sono diventati tali perché hanno risolto i problemi che ci affliggono. Non ci hanno dato risposte univoche. Piuttosto, hanno sollevato quesiti, hanno posto dei problemi”, spiega Montanari.

Antigone è diventata così grande nel nostro immaginario, perché è andata contro il sistema, contro il suo re, contro la legge umana. E non è un caso che, come rileva George Steiner ne Le Antigoni, tra settecento e novecento, poeti e filosofi abbiano avviato un dialogo senza tempo con l’Antigone di Sofocle, considerando quella tragedia greca come la migliore, quella più vicina allo spirito di due secoli gremiti di rivoluzioni e di guerre, nonché della volontà di cambiare e rivoltare l’ordine precostituito. E Antigone, la figlia di Edipo, è stata eletta quale simbolo di questa inquietudine, di tale irrequietezza storica.

Il dilemma di una così grande eroina, se rispettare la legge umana o la legge divina, se fare ciò che è lecito o ciò che è giusto, è divenuto (anche se in forma diversa) il dilemma di Amleto, del Don Giovanni, del Saul. Ha attraversato i secoli, fino a mettere, ogni giorno, noi contemporanei di fronte ad una scelta inevitabile: se propendere per ciò che è giusto o per ciò che è facile. Se scegliere ciò che la coscienza comanda o in base a ciò che ci conviene. Se abiurare come Galileo o difendere un’idea come Giordano Bruno, al di là del bene e del male. 

E quei quaranta ragazzi, provenienti da tutta Italia, che il giorno precedente alla premiazione, si sono trovati di fronte all’Antigone sofoclea, al dialogo tra Emone e Creonte – tra padre e figlio, in uno scontro di opinioni e di generazioni che, come ha ricordato Piero Totaro, attraversa l’intera letteratura greca – che hanno saputo decodificare una lingua così bella e tortuosa come quella greca, lo sanno di aver avuto in sorte una grande fortuna. Quella di sentire i loro insegnanti parlare di Grecia sin dalla più tenera età, quando la mente è come una spugna, che cattura e trattiene tutto ciò che ha intorno. Quando la mente ricorda di Polifemo e del suo essere “picco selvoso tra eccelsi monti”, quando la storia di Medea e di Elettra è materia e argomento dei discorsi quotidiani. E come io ricorderò le mie professoresse, così loro i ricorderanno i loro insegnanti, che mai come in quell’età sono maestri e indicano la strada da seguire.

E proprio per ricordare una grande insegnante e una grande maestra come Cia Vangi Drago che si è fondata questa associazione e si è inaugurato il certamen, questa gara di traduzione dal greco. Per tener vivo il ricordo dei suoi tanti allievi e perché gli allievi di questi possano a loro volta rifarsi a lei e, anche in suo nome, perpetuare una memoria, quella della letteratura greca, che necessita di diventare collettiva, che va resa collettiva, che non deve restare tra pochi eletti. Perché aumentino le domande di ciascuno e perché ognuno abbia il coraggio di scegliere ciò che ritiene giusto. I classici greci e latini, dopotutto, servono ad avere una vita migliore. Perché quelle storie, la vita, l’han resa migliore a tanti. E una ragione ci dovrà pur essere.

Intanto, ecco i vincitori del primo certamen: primo classificato Daniele Giannuzzi del Liceo Cagnazzi di Altamura, secondi classificati ex aequo Carmela Sullo e Chiara Del Gesso del Liceo Imbriani di Pomigliano d’Arco, terzi classificati ex aequo Pierantonio Valentini del Liceo Socrate di Bari e Matteo Nardone del Liceo Bonghi-Rosmini di Lucera. Applausi, please!

Alcuni docenti, presenti alla premiazione, col prof. Montanari. Nella foto in alto, Daniele Giannuzzi, vincitore del certamen