La vita normale a Ruvo di Lisa, Katia e Ludmila

La fuga dalla guerra, il viaggio attraverso l'Europa e la generosa ospitalità nella città a nord di Bari, nel racconto di tre giovani donne ucraine in cerca di speranza

Lisa, Katia e Ludmila sono tre giovani ucraine scampate all’orrore della guerra. Le abbiamo incontrate a Ruvo qualche giorno fa mentre, all’ombra della cattedrale, erano intente a conversare in una lingua a noi oscura ma dal suono dolce e carezzevole. Costeggiamo la chiesa e imbocchiamo una viuzza che ci conduce alla coloratissima villa di piazza Dante. Tra gli schiamazzi dei bambini che rincorrono il pallone, i clacson delle auto in lontananza e il cicaleccio dei passanti, ci sistemiamo su una panchina dove, grazie a Tania, interprete di madrelingua russa, riusciamo a dialogare con le donne. Due sono sorelle e sono in compagnia della madre, che vinta dalla timidezza preferisce non raccontare il suo vissuto, sgusciando più in là dalla panchina.

Per le figlie non dev’essere facile rimodulare la routine ricca di impegni a cui erano abituate in patria. Lisa è un architetto di 34 anni che, prima del bombardamento sulla capitale, viveva e lavorava a Kiev presso un’innovativa startup del settore edilizio. La sua era una vita perfetta che le consentiva di conciliare progetti e riunioni con l’amore per suo figlio Marcel. Lo ha portato via con sé, perché un bambino non dovrebbe mai essere spettatore di tante atrocità ed efferatezze, piuttosto percepire il brio e la spensieratezza dei suoi anni.

I corsi di italiano svolti da Tania con ragazzi ucraini e alcuni coetanei ruvesi

Il giorno dei primi raid russi sulla capitale, Lisa era sveglia da una mezz’ora ma, ancora avvolta nel torpore, aveva pensato a un temporale. Realizzata la gravità della situazione ha tirato giù dal letto Marcel e ha cercato riparo in un nascondiglio, mentre dal cielo piovevano bombe e insieme morte e distruzione. Poi la fuga disperata, con la lunga discesa nel nostro paese sino a Ruvo dove ha trovato una calorosa ospitalità, perché anche il dolore riserva un barlume di speranza. Proprio qui, in questa città a nord di Bari, Lisa ha capito di non essere la sola ad aver abbandonato Kiev. Al corso di italiano ha incontrato il sorriso di Liuda, madre del piccolo Jarik, con la quale, oltre alla comune provenienza, si sono scoperte vicine di casa.

E se la tristezza condivisa può diventare un punto di forza, alleviando il peso delle preoccupazioni e la mancanza degli affetti più cari, Lisa manifesta comunque il desidero di tornare in patria quando tutto sarà finito. Non vede l’ora di correre ad abbracciare il papà, rimasto a Kiev, e i suoi amici oggi impegnati sul fronte. Ma non basta. Rivolge un pensiero speciale anche alle amiche che sparse in tutta Europa, con le quali ha solo contatti sporadici. Intanto si concentra sulla nuova realtà. Ci rivela di essere rimasta incantata dalla bellezza della cattedrale e dall’ospitalità della gente, dalla bontà della cucina ruvese e dal cappuccino, orgoglio e vanto tutto italiano. In qualità di architetto si diletta nel fotografare monumenti e paesaggi, augurandosi di portare nella sua terra una vivida testimonianza della sua permanenza in Italia in compagnia di sua sorella maggiore, Katia. Quest’ultima ha 37 anni e uno sguardo luminoso che le distende il volto quando parla dei due figli, Oscar e Zlata, provetta ballerina. Anche loro, come Marcel, sono stati sottratti ai bombardamenti sulla città in cui vivevano, Kharkiv, vicino al confine con la Russia.

Grazie all’aiuto di Giulio, imprenditore ruvese nel campo dell’arredamento, Katia e i suoi ragazzi hanno intrapreso la fuga verso l’Italia, dopo una sosta di due giorni a Leopoli, a pochi chilometri dalla Polonia. Nei momenti di panico, successivi ai bombardamenti di Kharkiv, la giovane, allertata dalla telefonata di sua sorella Lisa, non ha avuto nemmeno il tempo per raccogliere la biancheria intima. Mentre tutt’intorno si infrangevano i vetri delle finestre: immagini vivide che scorrono nella sua mente e si affastellano caotiche e cruente, come quelle di una vicina di casa ferita da una scheggia di vetro conficcatasi nello sterno.

Katia ricorda con nostalgia il lavoro di promoter di aziende italiane in Ucraina: due nel campo dell’elettricità e l’altra dei divani. È lì che ha lasciato i suoi amici: chi occupato in attività di volontariato chi in attività militari in una guerra che non conosce tregue. E non dimentica la lunga e travagliata traversata in Europa delle sue amiche che con i loro figli sono giunte in Portogallo, Germania o Polonia alla ricerca di fortuna. Malgrado alberghi in lei la disperazione per una Kharkiv ormai distrutta, Katia trova conforto nella concittadina Ludmila di 44 anni. Si sono conosciute durante gli allenamenti di triathlon e hanno continuato a coltivare l’amicizia quando il destino ha riservato ad entrambe la medesima sorte. Ludmila ha portato con sé la piccola Masha, lasciando suo marito e il figlio ventitreenne a Kharkiv in attesa di un’imminente chiamata alle armi. Anche sua madre e sua sorella sono rimaste nella città al confine con la Russia, come i nonni paterni di Masha.

Mentre mi parla della professione di psicologa svolta sino al giorno prima dei bombardamenti, il 24 marzo scorso alle prime luci dell’alba, mi soffermo sul candore della sua felpa, con al centro un enorme cuore diviso a meta tra l’azzurro e il giallo e in basso la scritta Ucraina: un inno alla sua terra da custodire ovunque e che si animerà di luce nuova quando farà ritorno a Kharviv. Una città che spera di ritrovare diversa: certo funestata dal peso di ciò che è stato ma pronta a rialzarsi e a ricominciare, cercando di dimenticare le orrende ferite subite. Al rientro si augura di poter riprendere tutti gli attrezzi del mestiere, il suo prezioso notebook dove annotava i contatti telefonici dei suoi pazienti, con i quali ha smesso temporaneamente di sentirsi.

Ma Ludmila garantisce un valido sostegno psicologico ai ragazzi che hanno vissuto la guerra. E poi ha offerto piena disponibilità al comune di Ruvo; il suo apporto da psicoterapeuta a quanti ne avessero bisogno. La rallegra pensare a questa cittadina di provincia che l’ha accolta, alla generosità dei ruvesi che ben presto si sono prodigati nella ricerca di un posto sicuro, offrendo da subito a lei e alla sua figliola un tetto e da mangiare. Tanti i progetti in cantiere di queste giovani donne, alimentati dalla voglia di tornare alle loro radici, alle città che le hanno viste nascere, maturare e poi fuggire a causa di una guerra assurda e atroce. Quasi anestetizzate al lancinante trauma della lontananza, a Lisa, Katia e Ludmila è bastato incontrarsi in un paese ospitale per riecheggiare il canto della loro terra e riassaporare il gusto della vita.

Nella foto in alto, da sin. Lisa, Katia, Tania (l’interprete) e Ludmila.