La sera di Natale vado a messa nella Parrocchia dell’Immacolata a Gioia del Colle. Il vento forte aumenta la percezione del freddo, già così intenso. I fedeli, stretti nel cappotto nel tentativo di preservare il tepore afferrato a casa, si affrettano all’ingresso.
Sono tutte senza riscaldamento queste nostre chiese. La strana illuminazione, poi, di questa “chiesetta” – come ancora si continua a chiamarla, nonostante la nuova chiesa, a tratti goticheggiante, realizzata oltre settant’anni fa – a luce fredda, bianca, contribuisce ad acuire la sensazione di freddo che mi porto dall’esterno e che si rafforza coll’ulteriore freddo che mi attende al banco in cui scelgo di sedermi.
In chiesa, dal lato destro, spicca una maxifoto di due occhioni che emergono da un grande pannello bianco retroilluminato. E’ tutto quello che riesco a vedere dal mio posto, guardando nello spazio, in parallelo con il presbiterio, dove abitualmente viene allestito il presepe.
Due occhi grandi che ti fissano intensamente. A sostegno dell’omelia don Francesco Micunco, parroco dell’Immacolata, ne fa un brevissimo cenno citando l’espressione Guarda Me, posta davanti a quegli occhioni.
Terminata la messa, con tanti altri parrocchiani, vado ad augurare Buon Natale al parroco e osservo il presepe. La foto scattata, credo non abbia bisogno di spiegazioni: un bambino con un semplice, leggerissimo vestitino bianco, poggiato in una mangiatoia, circodato da tanta paglia. È solo, senza Maria e Giuseppe, i genitori, senza bue e asinello. Fra tanta paglia, solo un pastorello in arrivo.
Tutto è avvolto nel freddo. Freddo su freddo. Ma quel freddo è portatore di un grande messaggio, scritto a caratteri cubitali su un sacco, poggiato a pochi metri dalla culla, sulla paglia: “Guarda Me”. Che invito! Ma come Ti viene? Una bella richiesta! Una vera “provocazione”. “A freddo”, direi, diretta, rivolta proprio a me, a te. E poi, guardarTi significa “condividerTi’. Al freddo poi.
Conoscendo la “fine” ingloriosa che Ti abbiamo fatto fare, in croce come un malfattore, c’è poco da guardarTi. Qui culla e croce si sovrappongono. Silenzio e stupore. Ti guardo e mi parli. Venuto al mondo per salvarci, per condividere la nostra eperienza. Che scelta!
Silenzioso, faccio ritorno a casa più infreddolito che mai. Il freddo è diventato ancora più freddo e tagliente e il vento, in campo aperto, mi affetta il volto. Intanto medito. Quell’invito è davvero potente. Due parole nette: guardare e me. Rivolto proprio a me!
Abitualmente, vediamo tante cose. Vediamo senza guardare. E ci capita spessissimo: vediamo con superficialità, quasi involontariamente. A ben pensarci, spesso non ricordiamo nulla di tutto quello che vediamo. Siamo convinti, addirittura, di non aver visto. Guardare, invece, è mettere a fuoco, rendere chiaro, ben visibile, stampare negli occhi e nel cuore ciò che dopo aver visto, vuoi guardarlo ancora per tenerlo, per trattenerlo, per non perderlo.
Sono tornato a guardare attentamente quel presepe nuovo, quell’invito: Guarda Me. Ho scrutato e fissato quegli occhi: ci siamo guardati! Lui ha guardato me, io ho guardato Lui. Intanto, ripenso al vangelo, al prologo di Giovanni, commentato nell’omelia.
Noi il Signore non lo abbiamo accolto. Venne la luce vera e non l’abbiamo riconosciuta. Troppe le nostre luci sfavillanti su alberi, presepi, nelle case per le strade. Lo abbiamo visto, ma non lo abbiamo guardato; abbiamo cancellato la Luce Vera con le nostre luci abbaglianti e intermittenti.
Ce lo dice il Vangelo. Vale per ieri, vale per oggi. Chi lo ha accolto, chi lo ha riconosciuto è diventato figlio di Dio.
Sono le riflessioni e l’augurio che rivolgo agli amici sulla mia pagina facebook. Mi giunge una valanga di apprezzamenti e di ringraziamenti. Ne rendo partecipe il parroco, don Francesco, al quale esprimo il mio compiacimento.
“Come vedi, i messaggi veri, pregati – gli scrivo – possono essere ben colti e condivisi. Voglio darti una bella notizia. Mi ha fatto pervenire un giudizio estremamente lusinghiero Marco Pogliani, mio direttore delle Relazioni Esterne in Enel, mio grande maestro della Comunicazione. Ha scritto: “Bellissimo”. Non commenta quasi mai, molto raramente! Merito tuo e del tuo impegno pastorale”.
Così don Micunco: “Grazie! L’impegno è quello di una comunità, io cerco di dargli voce… Non lo dico per modestia, il presepe è frutto di una riflessione condivisa e delle competenze di ognuno”.
Accendo il telefonino e trovo, tra gli altri, gli auguri che mi ha inviato il mio amico, mons. Fortunatus Nwachukwu, nominato nel 2023 da Papa Francesco segretario del dicastero per l’Evangelizzazione, del quale proprio il papa è prefetto. Mi scrive: “Il dono dell’amore. Il dono della pace. Il dono della felicità. Che tutto questo sia tuo a Natale. Chi ha ben guardato, riflettuto, meditato, pregato, può ben augurare, offrire, farne dono: perché sia questo il mio e il tuo Natale”.
Mi è sembrata la traduzione simultanea di quell’invito che parte dal presepe della parrocchia: Guarda Me. Può raggiungere anche il mio, il tuo cuore!