Fratto_X è un ideogramma: insegue la leggera freschezza vibrante del tratto e il colore saturo dell’immagine tirdimensionale. Una distesa di pelle calda organizza figure antropomorfe, sommerse dalla carne e dalla carnalità, vittime disponibili alla persuasione di massa. È così che Flavia Mastrella, realizzatrice dell’habitat di uno degli spettacoli più conosciuti e iconici del duo con Antonio Rezza, racconta la “forma” che sul palcoscenico tiene tutto insieme, creando un sostrato bituminoso che amalgama i movimenti dei due performer – lo stesso Rezza con Ivan Bellavista – trasformando i gesti di due “dissociati” in qualcosa che acquista un senso drammaturgico, finanche filosofico, “pseudo-religioso” e “pseudo-spirituale”.
Lo spettacolo Fratto_X (clicca qui) finito di mettere a punto nel 2012 e da allora collaudato centinaia di volte in scena, ha inaugurato con successo l’ottava stagione della rassegna teatrale PrimaVera al Garibaldi, curata dall’attore Fabrizio Gifuni con Natalia Di Iorio e inserita nel cartellone di Comune di Lucera e Teatro Pubblico Pugliese “Estate | Muse | Stelle |”.
Come già anni prima era stato portato brillantemente in scena con Bahamuth (2006), che inizia con un uomo che ha ormai perso la possibilità dello spostamento autonomo e in qualche modo si fa despota, impone agli altri di essere scortato sulla scena, dirigendo il movimento, anche in Fratto_X torna spesso questo concetto per cui l’autore, nella fase di gestazione dell’opera, attraverso il proprio controllo su di essa, la frena, la limita. E quindi ciò che avviene in scena è un progressivo abbandonarsi al meccanismo comico-scenico-teatrale di cui il performer è il primo attivatore.
Come avviene per tutti gli spettacoli di Rezza, anche a Lucera, nel bellissimo anfiteatro augusteo, il pubblico ha risposto alle varie sollecitazioni ridendo fragorosamente, agitandosi con il corpo, dimenandosi sulle sedie. Ovviamente la risata è una risata che è indotta, manipolata, frenata, dal ritmo dello spettacolo, ma in qualche modo è anche uno strumento che mette sullo stesso livello lo spettatore con chi sta sul palco. Non a livello tecnico, ma energetico, cinetico. Questo smottamento del pubblico interagisce con ciò che il performer fa in scena e lo alimenta.
Ovviamente il pubblico, come afferma Rezza nel corso dello spettacolo, è “l’anello debole” della catena. Accende il cellulare per controllare le notifiche e i messaggi e viene immediatamente annichilito dal performer, che lo “insulta” dal palco. Risponde alle domande retoriche che vengono mosse in scena e subito zittito: “Ti sopravvaluti, lo spettacolo non è interattivo”. Una relazione, quella con il pubblico, che però è conflittuale quasi solo per ragioni appunto teatrali, di meccanismo, dicevamo prima. Rezza-Mastrella non sono mai stati underground, né si sono mai sentiti underground. Si sono sempre mantenuti grazie al pubblico e non avrebbero potuto esibire la spavalderia che oggi hanno se non avessero avuto il sostentamento di chi li va a vedere, non prendendo – per decisione consapevole – un soldo dallo stato. Senza il pubblico, quindi, non sarebbero mai stati produttori di loro stessi attraverso il cinema, il teatro, le mostre.
Rezza ha criticato per anni, da un punto di vista tecnico, il teatro di narrazione, a cui adesso però finisce per riconoscere una propria dignità, soprattutto rispetto alla moda dei “reading” e delle “letture a teatro”, che sono davvero “la metastasi della nostra espressione”, per usare una sua definizione. Il palco, per come lo intendono Rezza-Mastrella, può essere sudore, sangue, contusione, dolore. Il teatro nasce per persone che si muovono, per la messa in scena, non per le letture da fermi. E in Fratto_X, ancora più che in altri spettacoli, si percepisce la manipolazione, elevata a fondamento di un corretto stile di vita. Per l’ennesima volta si cambia forma attraverso la violenza espressiva. E mai come in questo caso l’odio verso la mistificazione del teatro, del cinema, della letteratura, diventa implacabile. Lo stesso habitat in cui Antonio Rezza si muove non è scenografia, perché la scenografia presuppone sempre una drammaturgia alla quale potersi asservire. L’habitat invece è qualcosa che vibra nello spazio e che, soprattutto, è dipendente alle sollecitazioni dell’umano.
Il movimento determina una cinetica diversa per ogni spettacolo. Se Bahamuth, citato in precedenza, sembra possedere una trazione verticale, in questo caso si predilige la corsa, il pendolare frenetico sulla scena, conferendo un ritmo e anche una percezione fisica diversa rispetto a quella che si può ottenere con i salti da fermo e in progressione. In Fratto_X si gioca invece moltissimo con le altezze, con il basso e con l’alto: l’ansia che cresce insieme al bambino, la Sacra Sindone di un metro e settantotto contro quella di un metro e dieci scarsi. E così le diverse altezze sonore e vocali, in uno spettacolo in cui i “personaggi” in scena rispondono con la stessa voce di chi fa le domande.
Alla fine, l’unica convinzione che si matura, lasciando il teatro augusteo di Lucera, è che non possiamo più accettare che un’opera – di qualsiasi tipo – possa essere meno importante delle parole di chi la fa. La nostra cultura predica invece purtroppo l’opposto: gli autori sono più importanti delle opere che fanno. Questo significa che quello che fanno non vale nulla. Rezza-Mastrella, autori che per loro stessa ammissione sono “inferiori” alle cose che mettono in scena, ci confermano che non deve essere per forza così.
Le foto di scena sono di Giulio Mazzi.