Il libro di Michele Pastoressa è “Una rosa tra i rovi”

Tra saga familiare e romanzo introspettivo, la nuova opera dello scrittore bitontino aggiunge un nuovo e originale tassello a una voluminosa e significativa produzione

Da sempre, e potremmo tranquillamente dare per scontato che sia dall’origine del mondo, gli uomini hanno bisogno di storie. Restavano a bocca aperta già nell’antica Grecia ad ascoltare un cantore che raccontava di quando Achille si ritirò per orgoglio nella sua tenda, provocando una strage infinita tra i suoi compagni. O di quando Odisseo rifiutò l’immortalità, pur di tornare finalmente a casa e baciare la sua petrosa Itaca. Forse perché sapeva già che avrebbe comunque goduto del più prezioso dei doni: vivere nella memoria collettiva per sempre. Che avrebbe goduto, insomma, della più bella forma di immortalità.

Lo scrittore bitontino Michele Pastoressa

E se quel mondo così ricco necessitava di storie, allora occorreva che qualcuno sapesse raccontarle. Nessuno è più felice – diceva Plinio il Giovane a Traiano in una lunghissima lettera – di colui che vive una vita degna di essere narrata e di chi scrive un’opera degna di essere letta. Lo scrittore ha spesso il doloroso compito di portare a galla sentimenti nascosti nel profondo del suo cuore, di dare visibilità a ciò che è sommerso. È quanto ha fatto Michele Pastoressa nel suo ultimo romanzo, pubblicato con PAV Edizioni di Roma. Senza agenzie letterarie, senza agganci, solo con il suo talento ha fatto sì che un romanzo bello come La rosa tra i rovi trovasse il suo posto nel difficile mondo dell’editoria.

La storia è quella di un “horror psicologico”, come l’ha definito Antonella Garofalo nella prefazione del libro. Una definizione efficace che però può trarre il lettore in inganno. Non siamo, infatti, di fronte ad un’opera paragonabile in qualche modo alle altre confezionate dallo scrittore bitontino, impastate per lo più con gli ingredienti del thriller e del noir. Si tratta, infatti, di una vera e propria sfida letteraria, una commistione di generi che consente ad un grande narratore come Pastoressa di dar fondo a tutte le sue consumate abilità espressive. Una “cassetta degli strumenti” assemblata grazie a infinite e approfondite letture e a quel gusto dell’avventura che caratterizza gran parte della sua produzione. Me ne parlò in passato nella prima intervista, quando, presentandomi prima da fan poi da giornalista, ebbi modo di conoscere uno dei miei scrittori preferiti: “I miei insegnanti sono stati importanti nella mia formazione letteraria. Vittoria Gattulli non solo ci faceva leggere obbligatoriamente dei libri, ma d’estate ci consegnava una lista con diversi autori, tra cui Giulio Verne o Emilio Salgari. E lì mi si è aperto un mondo”. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, ma le letture fatte quando muoveva i primi passi nei sentieri incantati della letteratura sono rimaste dentro di lui, pronte a trasformarsi in nuovi e generosi germogli. Nulla resta così tanto sedimentato.

Una rosa tra i rovi è ambientato a Bitonto e si ispira a una storia realmente accaduta: la vicenda umana e morale della mamma di Michele, che si fa così narratore di una serie di episodi indimenticabili e dal forte accento educativo. Lo scrittore adotta una struttura complessa: una “voce fuori campo” descrive, con attenta cura all’elemento psicologico, quattro fratelli ognuno con la propria vita e sensibilità, chiamati ad assistere alla lettura, da parte del notaio, del testamento della madre appena scomparsa. Un documento che cambierà le loro vite per sempre.

I fratelli divengono la cornice identitaria di uno “straordinario” mosaico esistenziale, i cui tasselli sono nelle parole stesse della madre, espediente letterario congeniale a favorire l’immedesimazione del lettore nella vicenda. Si tratta, difatti, di un meccanismo narrativo che Michele conosce bene e che ha potuto affinare nei tanti anni di scrittura. Luoghi reali – specialmente il centro storico e l’ex orfanotrofio vicino al Traetta – divengono teatro della storia certo complessa e drammatica eppure speciale e piena di speranza, di una bambina dietro cui si cela l’identità della madre dello scrittore. E quando si sa di trovarsi di fronte a una storia in parte autobiografica, dove dietro qualche invenzione e forzatura si nasconde la verità, è ancora più intrigante indovinare cosa possa esserci di autenticamente vero. E molto aiuta in questa impegnativa ricerca Antonella Garofalo, nipote di Michele Pastoressa, che svela qualche dettaglio, sottolineando quanto possa essere coraggioso scegliere di mettersi a nudo e svelare scorci spesso dolorosi e drammatici delle nostre vicende familiari.

Giunto tra i Romanzi selezionati alla XV edizione del premio letterario nazionale Alberoandronico, La rosa tra i rovi fa riferimento all’emergenza sanitaria, che sembra sempre più lontana, e alla tragedia dell’ILVA, senza cadere in luoghi comuni e ovvietà. Insomma, Pastoressa non delude mai. Come scriveva Charles Bukowski, in uno dei suoi libri più belli e significativi: “Tutti noi abbiamo bisogno di un’evasione. Le ore sono lunghe e bisogna riempirle in un modo o nell’altro fino alla morte. E, semplicemente, non si trovano tante soddisfazioni e tante emozioni in giro. Le cose diventano quasi subito piatte e insopportabili”. E allora lo scrittore americano suggerisce che il miglior modo per trascorrere la vita sia scrivere delle buone storie o lasciare che qualcuno, davvero bravo, ce le racconti. E in fondo, tutto ciò che si scrive e che ascoltiamo, tutto quello che leggiamo di bello, è destinato a rimare cristallizzato nei capitoli della nostra esistenza. Come proprio con il libro di Pastoressa, nel quale i vari personaggi, a mano a mano che il racconto della vita della propria genitrice si srotola davanti ai loro occhi, prendono coscienza dei propri limiti, dei propri errori, di quanto sia stata difficile la vita di chi li ha generati e di, conseguenza, di come fosse necessario e giusto addrizzare “il tiro” per abbracciare un nuovo stile di vita nel segno della coerenza, del rispetto e della solidarietà.

È difficile, immergendosi nelle pagine dell’autore, che a personaggi così reali, così vivi ma anche complessi, si possa fare il grave torto di non voler bene. Come pure appare impossibile non avvertire, leggendo le loro storie, il pregio letterario e la complessità introspettiva di atmosfere, mondi, emozioni, situazioni consegnate all’immortalità: pensiamo solo a Delitto e Castigo o a I promessi sposi. Un’ulteriore conferma del talento e dell’originalità dello scrittore bitontino, la cui opera, tra tante patacche letterarie in giro, è davvero una rosa tra i rovi.

Nell’immagine in alto, un dipinto di Milena Pastoressa, stampato sulla copertina del libro. Nelle altre foto, altre opere della pittrice con alcuni scorci del centro antico di Bitonto