Un’elegante sala convegni, all’ultimo piano di un grande edificio, gremita di gente, illuminata da mille faretti, incastonati nel soffitto come scintillanti pietre preziose. Circondato da imponenti quadri alle pareti, il pubblico attende l’arrivo di uno scrittore di successo, tenendo fra le mani la copia del suo ultimo libro, appena acquistata. “Divorare il cielo” il titolo che appare sulla copertina. Paolo Giordano l’autore, che ha fatto il suo ingresso nella sala della Banca di Credito Cooperativo degli Ulivi – Terra di Bari di Palo Del Colle.
A quest’ultima va, infatti, il merito di aver organizzato, in collaborazione con il Laboratorio Urbano Rigenera, la rassegna di incontri letterari “Sorsi di storie”. Giordano è una delle cinque celebri firme del panorama autoriale italiano ospiti dall’iniziativa che, a sua volta, si inserisce nell’ambito del progetto Good Morning my future, ideato dal medesimo istituto bancario insieme a Rigenera.
La cultura intesa come strumento di incontro, crescita e arricchimento è il concept alla base dell’idea che ha portato le due realtà palesi ad unire le proprie forze. L’incontro con il pluripremiato scrittore e il dibattito che è scaturito dalla presentazione del suo ultimo successo, non sono altro che il risultato di questa proficua collaborazione. Al timone dell’interessante dibattito, la giornalista Antonella Gaeta che ha guidato Paolo Giordano in un racconto-analisi del suo processo creativo, conducendo il pubblico dietro le quinte di “Divorare il cielo”.
Pubblicato a distanza di dieci anni dal bestseller “La solitudine dei numeri primi”, che consacrò l’allora venticinquenne Giordano a scrittore di successo, il nuovo romanzo sembra avere tutte le carte in regola per ambire alla medesima sorte di capolavoro letterario. Anche qui ad essere raccontata è l’adolescenza, attraverso una descrizione dei luoghi e dei personaggi così minuziosamente ricca di dettagli da non far dimenticare ai lettori le origini di Giordano.
Con un passato da fisico e ricercatore in ambito scientifico, che spiega l’attenzione riservata nel precedente romanzo ai “numeri primi”, lo scrittore torinese ha trovato nei libri un modo per saziare la sua fame di conoscenza. “Io sono un metodico -afferma a riguardo- ho studiato matematica e fisica per molti anni e questo è stato per me un allenamento alla meticolosità e al raggiungimento dei risultati sperati”. Se nell’esordio letterario di Giordano è facilmente individuabile il riferimento ai suoi studi, a partire proprio dal titolo dell’opera, “Divorare il cielo” prende, invece, le distanze da quel mondo.
“Questo è un libro tutto fuori dal mio territorio -spiega-. Credo sia la grande occasione per me di frequentare ambiti diversi da quello in cui mi sono specializzato” e continua: “Un grande privilegio per uno scrittore che si assume il compito di esplorare territori diversi”.
Leggendo l’ultimo romanzo, ci si imbatte, infatti, in pagine che si addentrano nel campo dell’agricoltura, altre della medicina ed altre ancora della Bibbia. Proseguendo la linea del confronto, non si può fare a meno di notare che l’adolescenza che Giordano descrive in “Divorare il cielo” è ben diversa da quella che fa da sfondo al primo romanzo. “La narrazione delle fasi della nostra vita varia a seconda del periodo in cui ci troviamo a raccontarle. “La solitudine dei numeri primi” era stato scritto da me con un piede in quell’età e, dunque tendeva a portarne fuori i lati più dolorosi perché ero più vicino a quella fase adolescenziale -sottolinea Giordano-. Con il passare del tempo rimane il bello e la gloria di quegli anni”.
Dunque, quella che emerge dalle pagine di “Divorare il cielo” è un’adolescenza più sognante, ritratta dagli occhi di un uomo ormai adulto e lontano da quei turbamenti. “Ho celebrato tutto quello che mi sarebbe piaciuto fare -rivela Giordano- ma che, forse, in quel momento non ho avuto la spregiudicatezza e la libertà di poter fare”. Se nel precedente libro i personaggi tendevano ad implodere, i protagonisti dell’ultimo romanzo l’autore li definisce “esplosivi”. Tre ragazzi, i ragazzi della masseria, che si tuffano in piscina, nudi, di nascosto, poco più che bambini, travolgono la giovanissima Teresa, che per vent’anni, ogni estate, condividerà con loro quei desideri e quella voglia di trasgressione propri della loro età.
“La scelta del titolo -spiega l’autore- ha a che fare con questa idea di giovinezza. Uno dei tre ragazzi è molto legato ai comandamenti religiosi, quindi, ad un certo punto mi sono ritrovato a riflettere su quale potesse essere il comandamento della giovinezza ed è venuto fuori questo: divorare il cielo, uno slancio che è giusto avere a quell’età, seppur pericoloso”. E quale periodo dell’anno, se non l’estate, rappresenta per gli adolescenti il momento per realizzare desideri e trasgressioni. Quello di Giordano è, infatti, un romanzo ambientato in più estati successive, trascorse in Puglia da Teresa, a casa della nonna.
“L’idea stessa del libro è nata attorno a questo clima estivo -spiega lo scrittore torinese-. Il romanzo si nutre proprio di quelle pause che ci sono fra un’estate e l’altra, metafora, secondo me, di ciò che avviene nelle relazioni quando si perde di vista l’altra persona che finisce in un cono d’ombra per poi riemergere”.
L’alternarsi fra le due stagioni rispecchia esattamente quell’intermittenza che oggi caratterizza i rapporti interpersonali. E quell’attesa della stagione estiva nell’adolescenza è particolarmente sentita. Ad ispirare Paolo Giordano nell’approfondimento di questo legame fra giovinezza ed estate sono letture come “Il giardino dei Finzi Contini” o “L’isola di Arturo” ma anche film quali “Io Ballo da sola” di Bertolucci. A spingerlo ad ambientare il romanzo in Puglia, invece, un innamoramento per questa regione di cui lo scrittore è stato “vittima” all’età di vent’anni. “Un incontro sentimentale, quasi erotico -racconta-. Ero a Lecce per una summer school, era giugno, e la luce e la prospettiva sugli ulivi mi ha folgorato. Da allora ci sono voluto tornare sempre in Puglia come si desidera tornare da un’amante”. Una fame di sapere da uomo di scienza, una capacità di emozionare che solo un poeta possiede. Il risultato? Un libro da “divorare’”di nome e di fatto.