Dirigersi di nuovo verso qualcuno è il significato insito nel termine latino repetĕre. All’etimo di questo verbo si sono ispirati Francesco Paolo Cosola e Veronica Liuzzi, giovani e brillanti autori di una videoinstallazione, realizzata in occasione di “Memento 2019”. Nell’ambito della manifestazione che celebra la Giornata della memoria, il 27 gennaio, nonché il Giorno del ricordo, il 10 febbraio, domenica sera è stato inaugurato, a Bitonto, all’interno del Sedile di Sant’Anna, “Canto della Primavera”.
Progetto artistico firmato da Cosola e Liuzzi, che mira a creare un ambiente totalmente immersivo ed interattivo per lo spettatore e che sarà visitabile sino a stasera, per poi essere replicato dall’8 al 10 febbraio.
Varcando la soglia dell’antico edificio, ci si trova circondati da proiezioni luminose che, grazie a una serie di schermi olografici, creano uno spazio popolato da una schiera di “uomini di luce”. Figure evanescenti, vestite di bianco, che appaiono e scompaiono avanzando verso l’osservatore. “Attraverso queste immagini, abbiamo voluto raffigurare il concetto di memoria legato alla ciclicità con cui si ricorda”, spiega Francesco Paolo. “Partendo dall’origine del verbo ripetere, che significa andare nuovamente verso qualcosa, ritornare incontro a qualcuno. Per questo -prosegue- nella videoinstallazione appaiono corpi di luce che riemergono nello spazio e nel tempo, a ricordare in maniera luminosa, come in un miracolo, quella che è una sorgente lontana”.
Riemergono dal buio, da un passato che non si può e non si deve dimenticare e la cui conoscenza è indispensabile per una rinascita. Un ritorno all’essere bambino è, infatti, suggerito dall’elemento sonoro che accompagna il susseguirsi delle proiezioni. E’ la melodia dell’Inno dei prigionieri italiani di Hammerstein, un canto intonato all’interno dell’omonimo campo di concentramento. Attribuito al tenente Lorenzo Lugli, il testo rievoca l’immagine di un soldato deportato che nella gelida notte, dietro i cancelli innevati della prigione, si addormenta pensando a sua madre.
“Cercavamo qualcosa che fosse simile ad una ninna nanna e che si potesse ricollegare ai campi di detenzione -racconta Veronica Liuzzi- e siamo arrivati a questo che in realtà è un tango, scoprendo che in quei luoghi si era soliti intonarne il ritornello. Noi percepiamo il tango come musica passionale ma è anche molto nostalgica. E’ un canto che si avvicina in qualche modo ad una ninna nanna perché introduce il rapporto fra madre e figlio”. Il ritmo di quel tango malinconico scandisce, dunque, privo di parole, il susseguirsi e il ripetersi delle figure che avanzano, incontrandosi in abbracci, finchè i versi si materializzano sugli schermi e sulle pareti.
“Abbiamo preso alcune parti del testo di questo canto scegliendo di proiettarle. Ognuno capta alcune parole più di altre in base alla propria sensibilità”, sottolinea Veronica.
Dolore, amore, destino, pianto, mamma, casa. Avvolti da questi termini evocativi gli spettatori si perdono in una dimensione senza tempo in cui quei corpi candidi, rinati a nuova vita, ritornano come il soldato di Hammerstein, la cui madre sperava di riabbracciare nella primavera del ’44.