Musica da tutta Europa per gli Sleepwalker’s Station

Lorca, il nuovo disco della band indie folk, contiene brani in 5 lingue e 4 dialetti e vede la presenza di ben 22 musicisti

Lorca è il nuovo disco degli Sleepwalker’s Station, il sesto di una carriera ormai ventennale per questa band indie folk. La particolarità che contraddistingue subito il disco è la presenza di ben 22 musicisti dall’Emilia-Romagna, dalla Baviera, dall’Andalusia, dalla Catalogna, dalla Lombardia, dalla Svevia, dal Trentino, dalla Svizzera e dall’Islanda, che hanno determinato così tracce in 5 lingue e 4 dialetti.

La dimensione live è fortissima per gli Sleepwalker’s Station, che possono vantare più di 700 concerti, oltre alla partecipazione a festival di primo piano come quello di Glastonbury in Inghilterra, e anche al SXSW in Texas, al tedesco Open flair (Germania) e al Pure & Crafted a Berlino. Sono risultati pure vincitori del Super MEI Circus Unplugged, del MEI Superstage, sono stati premiati da Mogol con il premio CET come miglior proposta indipendente.

Gli Sleepwalker’s Station sono: Daniel del Valle (voce, chitarra, keys), Giulia Babini (slide guitar/dobro, voce), Andrea Para (percussioni), Francesco Cellini (violoncello), Hannes Oberauer (contrabbasso). Proprio il cantante Daniel e il violoncellista Fresco hanno risposto alle domande di Primo piano.

In Lorca ci sono brani in 5 lingue e 4 dialetti. Quali sono? Come è nata una simile commistione?

Daniel: le lingue di Lorca sono l’italiano, francese, tedesco, spagnolo e inglese. Mentre i dialetti sono il bavarese, trentino e andaluso. Poi sul catalano si può discutere. Questa non è però un’intervista sulla politica, ma sulla musica. E lì il linguaggio è uno per tutti.
I brani sono nati così, scritti nella lingua in cui sono stati incisi, tranne che nel caso di Winter in Berlin (versione tedesca di Berlin dell’album precedente), che originalmente era in inglese ma che è stato riscritto e riarrangiato. Prima di Lorca abbiamo inciso cinque album, tutti i quanti in inglese (ad eccezione del primo del 2001, dove si trova un brano in tedesco). Ogni tanto mi capitava di scrivere qualche brano in italiano, in spagnolo, in francese, ma questi brani poi non hanno mai trovato il loro posto negli album anglofoni.
E così nel tempo si sono accumulati una ventina di brani “non-inglesi”, una parte dei quali ora ha creato Lorca.

Fresco: ho avvertito la genesi di queste canzoni nella lingua più affine a Daniel nel momento in cui le pensava. Avrai notato che sono canzoni molto correlate anche alla “territorialità”: certe emozioni singolarmente possono nascere solo in determinati contesti. Eppure alla fine parlano di emozioni condivisibili da chiunque e a qualsiasi latitudine. Il fatto che poi siano suonate da musicisti di nazionalità diverse è ancora la riprova del potere che ha la musica: nelle reciproche differenze, trovare legami, unire.

Uno di noi, che vede la collaborazione con Luca Hernandez, parte dal celebre brano di Celentano per parlare dei nostri giorni

Daniel: A dire la verità, inizialmente non si era previsto di inserire questa “citazione”. Anche il brano portava ancora un’altro titolo (anzi vari titoli), prima di chiamarsi Uno di noi. Poi una mattina mi sono svegliato con in testa questo brano di Celentano e ho notato questo parallelo: entrambe le canzoni parlano della situazione di chi che se ne deve andare di casa, per trovare lavoro altrove. Ai tempi il ragazzo della campagna che se ne deve andare in città a trovare lavoro, e lo fa piangendo. Ora sono i giovani che se ne devono andare a Berlino, a Londra, in Svizzera, per trovare lavoro. Sono delle persone istruite in Italia, gente di cui avrebbe bisogno questo paese per avanzare, gente con le idee e con la motivazione per riformare il Paese.

Per quanto riguarda la collaborazione di Luca, gli avevo proposto di cantare in un brano e lui aveva accettato, non sapendo che non solo avrebbe dovuto cantare in italiano (lui canta esclusivamente in inglese) ma in più in chiave rap (lui è un cantante folk/rock). In studio ci siamo divertiti veramente tanto. “Luca! No! Dev’essere più yo yo yo!” E direi che se la è cavata molto bene. La scelta del rap è stata quasi una scelta naturale. Questo testo in chiave folk non avrebbe lo stesso effetto. Doveva essere più aggressivo. Non ci capita troppo spesso di cambiare genere in ma in caso di dubbio decido sempre in favore del brano, non per chi lo suona o canta. Una canzone è bella quando è credibile perché solo così riesce a trasmettere. Gli Sleepwalker’s Station sono un po’ italiani, un po’ tedeschi, un po’ spagnoli, ma siamo anche un po’ bavaresi, un po’ romagnoli, trentini, un po’ catalani e di cuore anche un po’ andalusi e gitani. E allo stesso momento siamo europei. Siamo un po’ dentro l’Italia e un po’ fuori dall’Italia ed è questo che vediamo e raccontiamo nelle nostre canzoni.

Fresco: Daniel è la personificazione del “migrante”. Forse pochi al mondo come lui viaggiano per vivere del proprio lavoro. Sicché la realtà di chi è costretto a “cercare altrove” la conosce molto bene. Da questo punto di vista, la canzone potrai intenderla come “politica”: in fondo è una fotografia nemmeno troppo elaborata, un’istantanea insomma, di quel che ci sta succedendo intorno e di quel pensiero facile che ci vuol far trovare sempre nel “diverso da noi” la causa dei nostri malesseri.
La collaborazione con Luca Hernandez nasce da una lunga amicizia, e a proposito della migrazione anche tra generi musicali, basti sapere che tanti anni fa suonai con lui e il suo “fratellone” Mauro Sampedro una loro canzone davvero acou-stoner!

Il disco trae ispirazione dal Poeta en Nueva York di Federico Garcia Lorca

Il Poeta andaluso parte per la “Grande Mela” e osserva le differenze culturali e le cose che ha in comune con la gente che incontra nel Nuovo Mondo. Nei nostri tempi di globalizzazione queste differenze culturali sono più sottili ma ci sono. A casa sua uno ha paura delle cose che sono diverse​, delle cose che non conosce, mentre in viaggio uno cerca le cose che sono diverse, s’incuriosisce e fa attenzione ai minimi dettagli.
Cosí Wandering people parla dello spostamento dei popoli che c’è sempre stato nel mondo da quando esiste l’essere umano, e forse anche prima.
Sevilla e De Molinos y Gigantes sono omaggi a questa bellissima città, all’Andalusia e al flamenco. Rue du Bourg parla della vita in una via a Digione in Borgogna. Winter in Berlin, be’, si capisce. Las Flores del Mal parla delle cose belle nelle cose brutte, delle esperienze positive nelle esperienze negative, mentre Assunta parla della nonna, o delle nonne che hanno vissuto la guerra, della loro cucina e delle particolarità di quella generazione che ci ha insegnato tanto.

Fresco: ho dovuto farmelo tradurre più e più volte da Daniel, ancora adesso non riesco a ripeterne una singola parola, ma personalmente adoro Unterwegs: una di quelle canzoni che puoi canticchiare senza sapere esattamente cosa dice il testo, che avranno sempre una melodia bellissima e un mood pertinente.

Negli anni, gli Sleepwalker’s Station hanno collezionato più di 700 concerti dal vivo

Daniel: non facendo musica di massa, il live è quasi l’unica fonte di guadagno. A parte quello un musicista vuole suonare – anzi, come direbbe Andrea il percussionista, “deve” suonare (se no impazzisce) – la nostra musica vive, i brani crescono, cambiano. Non sono statici, per cui è sempre stato un problema per noi “fissarli”, dargli una struttura definitiva​. Sull’album siamo costretti a farlo ma lasciamo comunque molto spazio ad ogni strumento.
Ogni concerto è diverso, perché cambia il pubblico, cambia l’atmosfera e spesso anche la formazione della band – solo, duo, trio, quartetto… E le canzoni cambiano al cambiare di ognuno di questi parametri.

Fresco: sì, a ben vedere, ogni nostro disco non è nemmeno una fotografia delle nostre canzoni, quanto più un dipinto. È la “rappresentazione” di ciò che si vede o si sente in un preciso momento, quindi nel tempo lo stesso soggetto apparirà differente. In Lorca l’atmosfera è davvero molto live e ogni arrangiamento suona decisamente non rigido e immutabile, ma getta le basi per qualcosa di fluido.

Nel 2018 ricorre anche il ventennale dalla nascita degli Sleepwalker’s Station. Rifareste tutto uguale?

Daniel: sì, 20 anni. Sembra incredibile, avevamo 16anni. Non rifarei tutto uguale, mi sarei buttato sulla musica molto prima, ma avevo paura, paura di perdere la voglia di suonare, paura delle opinioni altrui, della famiglia, degli amici: “perché non si può fare il musicista come lavoro”. Ma da quando ho deciso di prendere questo cammino nel 2011 non cambierei assolutamente niente. Siamo stati premiati da Mogol, abbiamo suonato a Glastonbury in Inghilterra e al SXSW in Texas – due dei festival più importanti per la musica indipendente – e siamo riusciti a incidere un album in 5 lingue e 4 dialetti assieme a 22 musicisti bravissimi. Io sono contento così e curioso di vedere dove ci porterà il nostro cammino.