Non è facile riassumere tutto quello che un parco naturale come Lama Balice – il più esteso, coi suoi 500 ettari, dell’hinterland barese – può significare, in termini di opportunità, trasformazione e progresso socio-culturale per il proprio territorio e per quello della Puglia intera.
Se è innegabile che alla sua istituzione come parco naturale regionale nel 2007 non abbia fatto seguito un’adeguata considerazione da parte del mondo politico (nonostante l’impegno della pasionaria della politica barese Maria Maugeri, recentemente scomparsa, che ne è stata anche promotrice e presidente), e che tuttora permangono criticità come la carenza di organico, la frequenza degli incendi e l’abbandono di rifiuti, è pur vero che negli ultimi due-tre anni le cose sembrano essere migliorate.
Da quando Fondazione “Con il Sud” ha finanziato, nel 2015, l’avvio del progetto Ba.S.E. (Balice Smart Environment), in particolare, il Parco Naturale Regionale Lama Balice ha cominciato a contare sul lavoro congiunto e sinergico di un gruppo qualificato di nove soggetti, che in parte già figuravano tra i principali protagonisti dell’animazione e della gestione del parco sin dalla sua nascita.
È solo grazie al contributo di realtà associative come l’Abap (Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi), presieduta da Elvira Tarsitano e capofila del progetto, e a tutte le altre realtà che si spendono in mille modi per il parco, che qualcosa continua a muoversi. Anche se le cose potrebbero cambiare con l’approvazione del Piano Territoriale del Parco, che dovrebbe avvenire a breve, come dichiarato poco più di un mese fa dal nuovo presidente Giuseppe Muolo a Repubblica Bari.
Venendo all’attualità, ultimamente c’è tutto un pullulare di attività, ciascuna con una sua precisa finalità ma sviluppata in maniera complementare rispetto alle altre, seguendo il filo rosso di tre principali linee tematiche: l’ambito scientifico-educativo, la tutela partecipata del territorio e la sostenibilità.
Un benaugurante fermento che in occasione di determinati appuntamenti, come nel caso dell’imminente Festival Urbano dello Sviluppo Sostenibile 2018 (che si svolgerà dal 22 maggio al 7 giugno su tutto il territorio nazionale) prende forma in un fitto calendario di eventi “rafforzativi” che vanno ad affiancarsi alle consuete, già numerose, iniziative. In questi diciassette giorni, infatti, mostre, visite guidate, convegni, seminari, spettacoli e workshop animeranno il Centro di Educazione Ambientale (Cea) che ha la propria sede all’interno di Villa Framarino, antica masseria del XII secolo che funge da cuore pulsante dell’intero Parco, dalla foce a Fesca, a Bitonto.
LE ATTIVITA’ DEL CENTRO DI EDUCAZIONE AMBIENTALE
È qui che si svolgono le principali attività del Cea, inteso come un exibition centre, cioè uno spazio espositivo, destinato principalmente alle generazioni più giovani, dagli alunni delle scuole materne ed elementari agli studenti di scuole medie e superiori, fino ai ricercatori universitari.
I partner del progetto Ba.S.E. ne hanno fatto il crocevia attraverso cui organizzare ed erogare la molteplicità di servizi che hanno istituito per soddisfare le esigenze dell’ampio ventaglio di fruitori di questo parco “ibrido”, in grado, in virtù della sua peculiare posizione geografica, di contaminare l’area metropolitana di Bari e Bitonto con valori come la naturalità, la sostenibilità ambientale, l’ecologia attiva e gli ecosistemi di prossimità che rappresentano le pietre miliari di tutto il discorso europeo attorno alle Smart Cities.
Parliamo di escursioni e visite guidate alla scoperta della straordinaria biodiversità della zona, laboratori e altre attività esperienziali che hanno come obiettivo l’educazione ambientale, ma anche di operazioni più tecniche e meno divulgative come il monitoraggio della sicurezza del territorio con droni, web application e georeferenziazione dal basso, gli eventi formativi per specifici ordini professionali, la progettazione e realizzazione di sistemi avanzati di agricoltura di precisione e molto altro ancora.
Tra le ultime novità c’è anche l’attivazione di una cooperativa di comunità che, sulla scia di quanto avviene in altre regioni, consentirà ai piccoli agricoltori della zona di mettersi in rete e ai cittadini di diventare produttori e fruitori di prodotti agricoli biologici, coltivati e trasformati in loco. A fine mese l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica (Aiab) e Legacoop presenteranno lo statuto per poi avviare la redazione di un disciplinare e cominciare a promuovere il marchio di qualità a filiera corta “Lama Balice”.
Un’occasione, se ben sfruttata, per ridurre il disagio giovanile, creando occupazione e facendo riscoprire ai neo-agricoltori le proprie radici contadine, riavviando magari il dialogo con generazioni, quella dei nonni in particolare, che hanno vissuto da più vicino il rapporto con la terra.
Del resto tra gli enti che animano questo Parco naturale ce n’è uno, in particolare, che ha una certa dimestichezza con l’agricoltura sociale. Si tratta della Cooperativa sociale Tracceverdi, di cui è presidente Cecilia Posca, che da anni porta avanti una politica di promozione territoriale volta a riavvicinare la collettività, e in particolar modo la comunità locale, al delicato ecosistema della lama al fine di svilupparne la tutela e un rispettoso godimento.
“Un parco da vivere”, progetto di agricoltura sociale, ad esempio, ha permesso a cento ragazzi con disabilità di vivere un lungo percorso di inclusione in cui il verde è stato il principale strumento terapeutico. Realizzando installazioni green, interventi architettonici biocompatibili e miglioramenti dell’accessibilità, i ragazzi hanno contribuito alla rigenerazione degli spazi esterni di Villa Framarino e, con il supporto di una equipe interdisciplinare di psicologi, educatori, agronomi e comunicatori sociali, hanno vissuto una grande opportunità di sviluppo sensoriale-naturale tra orti sinergici, barefooting e giardini di farfalle.
O ancora, qualche mese fa dieci giardinieri, seguiti da Tracceverdi e dall’Abap, hanno svolto attività di manutenzione del verde nell’ambito di un progetto di comunità che rispondeva alle specificità di persone destinatarie del ReD, il reddito di dignità. E in passato la stessa cosa era stata fatta con tre detenuti in via sperimentale. Il verde del parco naturale, dunque, come un grande catalizzatore di opportunità di crescita, umana, sociale, ecologica ed economica.
LA FAUNA E LA FLORA SELVATICA DI LAMA BALICE
Ma per quanto essenziale e pregevole possa essere la parte operativa, culturale, essa non avrebbe probabilmente senso senza l’enorme patrimonio naturale che è chiamata a far conoscere, valorizzare e tutelare. Lama Balice è anzitutto uno scrigno di meraviglie faunistiche e floristiche. Vi si ritrovano animali non proprio tra i più comuni, come il rospo smeraldino (inserito tra le specie di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa), il pipistrello ferro di cavallo maggiore o il colubro leopardino, tra i serpenti “più belli d’Europa”, come spiegano Pietro Giulio Pantaleo, presidente dell’associazione Cento d’arte 89, Peppino Saracino, veterano di questo territorio, e due studenti universitari membri del CAEB (Club Acquariologico Erpetologico Barese), tra gli enti rientranti nel progetto BA.S.E.
Il corso erosivo rappresenta una meta migratoria preferenziale per numerosi rapaci e non è difficile avvistare falchi e beccacce, membri di una colonia svernante di una ventina di individui. Tra le specie stabili la volpe, il riccio, il gheppio, la poiana, la lucertola, il geco, il ramarro, l’upupa (rappresentata nel logo del parco). Tra i serpenti anche il biacco e il cervone. Molto numerosa anche la compagine di farfalle, di cui si contano più di quaranta specie.
Per non parlare del ricco mosaico vegetale costituito da agrosistemi, garighe, pascoli alberati e macchia mediterranea che caratterizza la flora selvatica. Nell’alveo di questo vasto “corridoio ecologico” che è il letto dell’antico torrente Tiflis, si possono ammirare lecci, alaterni, lentischi, corbezzoli, mandorli, fichi, perastri oltre che caprifogli, biancospini e tanto altro. Solo di orchidee spontanee ce ne sarebbero ben 20 specie e chi vuole può ammirarle in tutta la loro bellezza nei campi della lama che cominciano a popolarsi dei loro mille colori già in primavera.
A scoprire, segnalare, fotografare e catalogare con amore e piglio ordinatore tutta questa vita c’è una vera e propria squadra di instancabili amici del parco naturale, che dal 2012 lo esplorano insieme a Pantaleo: Ferdinando Atlante, Donato Contaldi ed Enrico Ancora (birdwatchers), Giuseppe Cagnetta (entomologo), Vincenzo De Leo (esperto di orchidee), Sergio Chiaffarata (storico) e Marco Petruzzelli (geologo e palentologo). È anche grazie alla loro curiosità, all’abnegazione e allo spirito ecologista se sappiamo così tanto sui tesori del parco.
LA GEOLOGIA E LE ORME DI DINOSAURO
Tesori che attengono anche alla sfera della geodiversità, la gamma di caratteri geologici (rocce, minerali, fossili), geomorfologici (forme e processi), idrologici (acque) e pedologici (suolo). Anche sotto questo punto di vista, infatti, Lama Balice possiede un patrimonio notevole. A tal punto da essere censita come geosito (una architettura naturale o una singolarità del paesaggio che testimonia processi che hanno formato e modellato il nostro pianeta, si pensi ad esempio al famoso geoparco del Gran Canyon, in Arizona) dalla Regione Puglia.
Nel Parco Naturale si alternano pianori, pareti scoscese, terrazzi di erosione, incisioni, grotte e dislivelli. Vi ritroviamo testimonianze dell’alternanza fasi di immersione ed emersione, della sedimentazione dei carbonati e di fenomeni carsici. Con il sollevamento delle Murge si è originato il solco della lama, che grazie alla sua capacità erosiva si è gradualmente approfondita. I calcari formatisi sono stati estratti sin dall’antichità e ciò si può riscontrare ancora oggi nelle cave presenti nel parco, all’interno delle quali è stato possibile individuare la presenza di orme di dinosauro.
Furono proprio Chiaffarata e Petruzzelli, insieme a Pietro Giulio Pantaleo, ad individuarle nel febbraio 2012 all’interno della cava Selp, di proprietà dell’imprenditore barese Dante Mazzitelli, mentre cercavano, in realtà, come spiega lo stesso palentologo specializzato in icnologia (branca che studia le impronte dei fossili) “grotte ipogee”, di cui Chiaffarata, presidente dell’Associazione del Centro Studi Normanno-Svevi, è grande conoscitore.
Le orme furono poi trovate anche nell’altra cava presente nell’area, la Ines, anch’essa dismessa da tempo e acquistata poi all’asta dall’imprenditore bitontino Domenico Robles, che dopo la messa in sicurezza e la rinaturalizzazione vorrebbe farne un’area naturalistica da condividere con le associazioni già presenti, con masseria didattica, stagni temporanei, percorsi con specie vegetali officinali, e una sentieristica attrezzata per visitatori che vogliono vivere il parco naturale e vedere le orme. Mentre l’imprenditore ci mostra l’area due magnifici corvi imperiali, specie protetta, sorvolano le nostre teste. “Li stiamo monitorando”, spiega Pantaleo.
“Fu un ritrovamento del tutto casuale – spiega Petruzzelli, mostrandoci uno dei principali siti di ritrovamento all’interno della cava della famiglia Robles – eppure straordinario, perché va ad arricchire ancora di più le nostre conoscenze sulla storia paleontologica pugliese”. Di lì subito la denuncia di ritrovamento alla Soprintendenza ai beni archeologici e i tempi lunghissimi (giugno 2017) per arrivare a siglare la firma d’intesa tra il Presidente del Parco, il Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali dell’Università “Aldo Moro” di Bari e la Soprintendenza stessa, al fine di studiare, analizzare e preservare le orme, stimate in un numero di circa 10 mila unità (3-4 per metro quadro).
Fase che è diventata effettivamente operativa da poco, con l’avvio dei primi rilievi e la georeferenziazione cui seguirà la sperimentazione di un protocollo per la conservazione, la messa in sicurezza e il monitoraggio delle orme, il campionamento, le analisi di laboratorio, la documentazione delle fasi di lavoro e elaborazione dei dati.
IL MUSEO DEI DINOSAURI
Per dare la possibilità di conoscere l’aspetto paleontologico del Parco naturale, i membri del progetto Ba.S.E., in particolare Sigea (Società Italiana di Geologia Ambientale) e Small (Soft Metropolitan Architecture and Landscape Lab), insieme ad Abap, hanno allestito un museo dei dinosauri al secondo piano di Villa Framarino, un percorso multimediale attraverso cui i visitatori possono scoprire la storia dei giganti che hanno abitato la Terra circa 70 milioni di anni fa.
Grazie a tablet, proiettori, pannelli informativi e guide, gli ospiti possono così percorrere gli spazi espositivi in maniera attiva, immergendosi in un flusso di storie e spiegazioni storico-scientifiche che prendono vita attraverso sculture interattive di erbivori e carnivori (due enormi teste di titanosauro e spinosauro occupano buona parte di due delle cinque sale), animazioni e presentazioni digitali, teche e plastici. Una modalità di divulgazione innovativa e coinvolgente, commisurata alle diverse età dei fruitori.
A loro disposizione c’è anche un laboratorio didattico che consente di approfondire i contenuti scientifici (biologici, naturalistici e geologici) del museo, utilizzando computer, microscopi e altri strumenti. Oltre a porre l’attenzione sul tema paleontologico, il museo potrebbe diventare un vero e proprio richiamo per il grande pubblico, soprattutto per i più piccoli, curiosi di conoscere storia, evoluzione e segni dell’esistenza degli affascinanti sauropsidi. Rappresentando così un motivo in più per visitare l’intero parco naturale e re-imparare ad amare la natura, che troppo spesso offendiamo con i nostri oltraggi.