Ermanno Olmi, il grande regista, ha compiuto il suo passo d’addio alla dimensione terrena.
Qualche anno fa il cineasta giunse a Bitonto. Difficile dimenticare un pomeriggio così particolare: era il 24 ottobre del 2013. Olmi davanti a noi giornalisti, con l’assoluta semplicità degli uomini sapienti e vecchi (sdoganiamo questa parola: l’anziano è ormai quasi sociologico, il vecchio sa di vita), quelli da ascoltare e basta.
Avevi davanti a te il regista di film amati, quasi non ci pensavi più. E parlavi di Italia del nord e delle brume, di fede e religione. “Il bene è più della fede”: una sua frase che veniva quasi di contestare. Ma lì per lì fu facile non averne il coraggio. Esiste anche il peso del silenzio e del rispetto. Sarebbe bene confermare questi valori di ascolto di chi ne sa e ne ha vissute più di noi.
Gli parlammo allora di quel suo Buzzati, così ben donato al cinema nel film “Il segreto del bosco vecchio”, tratto dall’omonimo racconto del giornalista e scrittore veneto.
Il Buzzati più difficile da portare sullo schermo. Quello meno metropolitano-esistenziale che ci fosse. Ma Olmi amava il bosco e con Paolo Villaggio, l’interprete principale del film, nacque un’intesa ancora da scoprire compiutamente.
Il segreto del regista allora era naturale, come quello del bosco. Si nutriva di silenzio e ascolto. E di una luce che s’avanza, tra difficoltà assai e quasi disperazione pure.
Quella sera a Bitonto poche parole, in realtà. Ci fu anche un dibattito al Coviello, con l’intervento di Oscar Iarussi, critico cinematografico della Gazzetta del Mezzogiorno.
Tutta la giornata a Bitonto fu organizzata dalla fondazione Santi Medici, in occasione dei vent’anni dall’istituzione. Olmi, insomma, tra le tante grandi presenze registrate a Bitonto durante il rettorato di don Ciccio Savino.
Fu proiettato il suo discusso film “Il villaggio di cartone”, dedicato alla questione dei migranti e al ruolo di apertura e accoglienza da parte dei sacerdoti e della chiesa.
Un cinema letterario, quello di Olmi, che aveva bisogno di simboli, immagini, sguardi. In questo sarà sempre attuale il nostro grande regista. Nel raccontare le aspirazioni della provincia italiana, dei giovani alla ricerca del “posto”, non eleudendo le frustrazioni dei tanti piccoli uomini che come formiche lavorano e sudano, nella consapevolezza che sono loro, forse, a fare la storia.