La cura “spaziale” dell’osteoporosi viene dalla Puglia

Grazie agli studi dell'istologa Maria Grano della Scuola di Medicina di Bari, si potranno verificare gli effetti dell'irisina sulle ossa in assenza di gravità

È un esperimento tutto “made in Bari” quello che ha coinvolto l’equipe di ricercatori guidata dalla biologa Maria Grano, ordinaria di Istologia presso la Scuola di Medicina dell’ateneo barese. Protagonista l’Irisina, l’ormone identificato qualche anno fa dai ricercatori della Harvard Medical School, diventato famoso perché dotato di proprietà termogeniche (bruciagrassi) e capace dunque di favorire il dimagrimento.

La prof.ssa Maria Grano

Proprio grazie al lavoro di Maria Grano e di un team di ricercatori dell’Uniba si era scoperto che la sostanza poteva avere ulteriori proprietà anche contro l’indebolimento di ossa e muscoli e quindi ricoprire un ruolo rilevante contro l’osteoporosi, malattia che comporta alto rischio di fratture e figura quindi inderettamente, almeno nei casi che riguardano soggetti anziani, tra le principali cause di mortalità. Fratture che negli ultimi 20 anni sono risultate in aumento, portando ad un conseguente aumento dei costi diretti e indiretti ad esse associate.

Ora un decisivo passo avanti potrebbe arrivare dallo spazio. Irisina e linee cellulari ossee saranno infatti a bordo della capsula Dragon, che decollerà il 2 aprile dal Kennedy Space Center della Nasa a Cape Canaveral, in Florida, e resteranno in orbita per 21 giorni.

Questo arco di tempo sarà finalizzato a studiare gli effetti dell’assenza di gravità sulle ossa umane. È la stessa professoressa Grano a spiegare che lo spazio si comporta come una “macchina del tempo” che accelera i processi di invecchiamento, rendendo più vecchie le cellule in pochissimi giorni. I risultati potrebbero fornire preziose indicazioni per rendere presto possibile l’applicazione sulla Terra di un nuovo farmaco anti-osteoporosi e anti-sarcopenia. Stando alle ricerche finora condotte, difatti, a dosaggi più alti di Irisina, prodotta fisiologicamente dal muscolo durante l’esercizio fisico, corrisponde una minore fragilità dell’apparato muscolo-scheletrico.

L’esperimento di biomedicina spaziale avrà inoltre un ulteriore effetto: non saranno solo gli affetti da osteoporosi a beneficiare dei nuovi studi sull’Irisina, ma un vantaggio sostanziale sarà concesso anche agli astronauti che, a causa dell’assenza di gravità, sono i primi a riportare danni al sistema muscolo-scheletrico. È stato confermato, infatti, che dopo un mese di permanenza nello spazio, gli astronauti vanno incontro ad una perdita di massa ossea pari alla quella cui vanno incontro in un anno le donne in post-menopausa. Dopo il test spaziale si passerà poi a quelli di tossicità, in vista della sperimentazione sull’uomo.

Se tutto dovesse andare come previsto si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione nell’ambito della medicina, un beneficio immenso per la popolazione mondiale, soprattutto per la terza età. Ed riempie d’orgoglio che sia ancora una volta l’ateneo pugliese a detenere il primato sulla ricerca clinica, potendo vantare menti eccelse e portando avanti progetti di importanza internazionale.