Se si dovesse chiedere a una persona qualsiasi, mentre si è impegnati in una passeggiata tra le strade di una città qualunque (magari con una forte tradizione lirica e musicale), chi sono i più grandi e famosi compositori di musica classica di ogni epoca, la risposta sarebbe certamente Mozart e Beethoven. Forse li nominerebbe insieme ad altri valenti artisti; ma su quei due nomi non avrebbe dubbi.
La questione più incredibile è che questi due mostri sacri, in verità, avevano ben poco in comune. Mozart era noto per essere un grande improvvisatore, in grado di mettere giù una partitura dopo l’altra senza cancellature, seconde versioni, verifiche ulteriori. O almeno è passato alla storia per questo suo tratto distintivo. Beethoven, invece, rimaneggiava continuamente le proprie opere; ne faceva molteplici versioni, finché non era certissimo che quella definitiva fosse un assoluto capolavoro.
Così ha fatto con il suo Fidelio, opera in due atti su libretto di Joseph Sonnleithner e Georg Friedrich Treitschke, rappresentata per la prima volta il 20 novembre 1805 al Theater an der Wien. Di questo suo unico lavoro teatrale Beethoven ha fatto tre versioni, di cui prima e terza sono da considerarsi ufficiali. La prima versione fu portata a Vienna ma aveva un altro titolo, Leonore oder die eheliche Liebe (Leonora ossia l’amor coniugale), il nome della protagonista che nel corso dell’opera veste i panni di Fidelio per salvare suo marito, rinchiuso in prigione per aver rivelato le malefatte del suo futuro carceriere nonché governatore di Siviglia. Questa prima versione, in tre atti, non incontrò il favore del pubblico. Così Beethoven fu costretto a rimaneggiarla e a darle la forma che ha tutt’oggi.
Il pubblico barese che ha assistito al Fidelio, mentre sedeva sulle comode poltrone del Petruzzelli, si è goduto l’ultima versione, quella definitiva. E l’ouverture che ha udito e con cui è iniziata l’opera corrisponde, in realtà, proprio alla prima versione, quella viennese. Beethoven era fiero del suo Fidelio; lo considerava il suo capolavoro. Musicalmente è un’opera straordinaria, con una rappresentazione della figura femminile incredibile, che per certi versi fa “impallidire” l’intero repertorio di Verdi. Eppure, la sua storia può competere davvero poco con quelle del suo alter ego Mozart e con i libretti delle sue opere. Ma si tratta di un’altra storia, che non mi tocca affrontare oggi, anche perché manco di obiettività.
Il Fidelio ha una potenza drammatica che non è stata sottovalutata dal suo regista Joan Anton Rechi. Questi, infatti, ha deciso di ambientare la scena durante la dittatura di Francisco Franco. L’intera storia, quindi, si svolge a Madrid, all’interno di un carcere duro. Una delle scene più famose dell’opera è il canto dei carcerati quando, in un momento apparentemente futile della trama (uno di quegli espedienti che di fatto non aggiungono nulla alla narrazione), vediamo l’intero corpo di prigionieri uscire alla luce del sole e cantare la bellezza della vita e della libertà. Sottolineando quanto sia difficile la loro condizione, confinati in prigioni sotterranee, in catene, pieni di malattie, senza poter vedere i propri cari per l’intera durata della pena. Un momento particolarmente intenso, che doveva muovere a compassione chi assisteva all’opera e che non ha mancato neppure stavolta di una forte impronta drammatica.
La scenografia – costituita nel primo atto da una testa gigantesca che ruota sul palco e da un insieme di cerchi nel secondo atto, a simboleggiare i sotterranei – conferisce ulteriore spessore drammatico alle vicende. Non è una storia che finisce male, ma che insegna il valore del sacrificio e della speranza, perché prima o poi anche chi soffre avrà la possibilità di un riscatto. Nessun personaggio positivo è esente dal dolore, ma riesce a trarre una forza straordinaria dalla sofferenza.
Leonore (intrepretata da Helena Juntunen) è il motore di tutta l’opera: rappresenta non solo la forza dell’amore coniugale, ma è anche un’icona del sacrificio, del coraggio. Nessun personaggio – al di fuori del suo – ha una vera crescita nel corso della storia. Gli altri interpreti rimangono più o meno gli stessi, finché Leonore non li rende migliori salvando suo marito e frapponendosi tra lui e l’assassino. Non solo si finge un uomo, ma nel momento più drammatico, quando il governatore sta per uccidere suo marito, offre il suo petto al carceriere, rivelando a tutti la sua identità, con un potente effetto drammatico. Che stupì il pubblico all’epoca e continua a sorprendere noi posteri.
E’ la prima volta che Fidelio calca il palco del Petruzzelli e difficilmente il pubblico barese potrà assistere ad una versione più bella e toccante, con una scenografia straordinaria, un cast incredibile, una regia innovativa che ha dato risalto al libretto, pur ambientando l’opera in un’epoca diversa.
Non ha mai perso la sua grande forza drammatica, ma sarebbe stato bello se il pubblico dell’epoca avesse apprezzato quella primissima versione che Beethoven portò in scena. Una versione ben più ricca di particolari, stratificata e con molti più risvolti. Nel Fidelio cui assistiamo oggi, purtroppo, molte faccende non vengono più riprese (per esempio, l’amore di Marzelline per Fidelio, con cui si apre l’opera) e questo rende uno spettacolo straordinario assai meno potente e suggestivo. Che dire? Purtroppo, il pubblico non ha sempre ragione. Ma, almeno, quello barese ha potuto ascoltare quanto siano belle e potenti le musiche di uno dei più grandi compositori di ogni tempo.
Le foto sono di Clarissa Lapolla