La collettiva curata da Michela Laporta, presso la Pinacoteca De Napoli di Terlizzi, ha avuto il pregio di mostrare le opere selezionate per la prima edizione del concorso internazionale di ceramica artistica e artigianale, Terrafuoco – Terlizzi porta un fiore. La rassegna, promossa dal comune del nord barese, col sindaco Michelangelo De Chirico e l’assessore Michelangelo De Palma, e organizzata dall’associazione Eclettica Cultura dell’Arte, col presidente Stefano Faccini e la direzione artistica di Pietro Di Terlizzi, in giuria con Giusy Caroppo, Fabio De Chirico, Viola Emaldi e Pietro De Scisciolo, ha consentito di apprezzare, tra le altre, le opere di Ezia Mitolo, artista particolarmente talentuosa e originale, a cui è stato assegnato il primo premio della sezione Scultura e installazione per l’opera Fiori interiori.
Come sempre, i lavori dell’artista tarantina presentano un carattere allusivo, comunicando una personalissima grammatica evocativa, che richiede ascolto, relazione, empatia. Un frangibile universo emotivo in cui sfida e necessità interiore cercano un equilibrio per sentirsi pienamente affrancati dal dominio della forma. Così, ogni piccolo, sinuoso, intrinsecamente profumatissimo fiore dell’animo, plasmato dalle sagaci e pazienti sue mani. Un raffinato e approfondito lavoro sul sé, su quella piega/piaga a volte sofferente, a volte turgida, che dentro si annida, traslando l’ambizione vacua di conoscenza assoluta, piuttosto esibendo tutte quelle microfratture insite in una consapevole accettazione di limitatezza e fragilità.
La percezione di ciò che scorre inesorabile, spesso funesto, lambisce appena e ancor meno resta e si avverte in tutte quelle increspature che rendono ancor più fascinosi i petali, che trovano rifugio lontano dall’artefatto, suggendo linfa proprio tra le annodate interiora che alimentano la luce più autentica e fertile. Prende vita, così, un dinamico microcosmo che accoglie senza selezione; respira e carezza l’ignoto, traspone in movimento spirituale e puro il turbinio che si abbatte sul corpo. E sono proprio parti di esso che metamorfizzano ogni piccolo tocco, smania, accenno. Ogni frammento di vita diviene aneddoto e traccia di ciò che si racconta nel semplice transitare tra dimensioni parallele.
I fiori di Ezia non sono solo il risultato di una raccolta, non occupano uno spazio bello, casuale e sterile. Manca il taglio. Ogni timido germoglio comunica, si protende, a volte si ritrae. E ogni tortuosa creatura possiede una grazia talmente ammaliante, come attrattiva, sfumatamente carnale e la precarietà dell’impronta nasconde tutta la forza sensuale della tangenza, dell’implicazione tattile che sussurra bramosia in sinuose alterazioni.
Queste le suggestioni che l’opera di Ezia Mitolo evoca. Ma ecco un ulteriore approfondimento sulla sua arte, attraverso le risposte ad alcuni quesiti.
Ezia, hai vinto un premio prestigioso. Cosa rappresentano per te i fiori?
Sono davvero grata per questo riconoscimento. Ho realizzato la mia installazione appositamente per il concorso, che richiedeva un’opera inedita sul tema “Terlizzi porta un fiore”. In realtà, i fiori li avevo già incontrati ed esplorati qualche anno fa in un progetto fotografico, dal titolo “La vita difficile dei fiori”. Un progetto ongoing iniziato nel 2010 ed ancora in corso, in cui fotografavo fiori urbani “in situazioni di disagio” che scorgevo camminando per strada. In questo modo ho ridonato loro, attraverso lo scatto, dignità e bellezza. Prima ancora della bellezza oggettiva dei fiori ne avverto la fragilità, la caducità: le loro brevi vite mi incutono tenerezza e malinconia. Ma i fiori sono anche forti. La loro fragilità è contrapposta nello stesso tempo alla potenza espressiva che esprimono attraverso la complessità formale: le infinite varietà dei volumi, colori e superfici li rendono maestosi anche quando sono di piccolissime dimensioni. Minuscole splendide architetture in assoluta armonia e simmetria da vivi e assoluto disordine nella metamorfosi della morte, che inizia dal momento in cui, recisi dal gambo, arrivano sui banchi dei fiorai.
Si può dire che la vita dei fiori sia in qualche modo una metafora dell’esistenza umana?
Quando osservo un fiore sento un profondo silenzio. Il fiore mi invita alla contemplazione. Nel realizzare l’installazione vincitrice del concorso, ho pensato all’immaginario generato dalla nostra psiche nel momento in cui i fiori si rivelano agli occhi, stimolando sensazioni visive, olfattive, tattili. Li ho immaginati “parlanti”, “comunicanti” con e attraverso il nostro inconscio; sono diventati “interiori”, fiori vivi come la nostra mente e palpitanti come il nostro corpo. Nel titolo, come spesso accade nel mio lavoro, ho anche cercato l’assonanza dei suoni delle parole. Ne ho realizzati una quarantina di diverse dimensioni, senza allontanarmi mai da quelle reali possibili di un fiore. Ogni scultura è una vita a sé, è presenza viva, identità piena; ad ogni fiore ho dato un nome e tutti insieme, accostandosi in una specie di scrittura/linguaggio disegnano degli andamenti, i movimenti della psiche.
Qual è la chiave attraverso cui riesci a coniugare intimità ed espressione artistica?
Penso che accada principalmente attraverso il canale dei sensi; lasciandomi andare, che non significa lasciare al caso il procedimento o progettazione nella realizzazione di un’idea, ma appunto creando un collegamento, entrando in connessione intima con la parte più profonda di me stessa attraverso un abbandono della parte razionale ed un’immersione in quella più ignota. Ciò che ne viene fuori poi spesso riesco a decifrarlo del tutto, solo in un secondo momento, lasciando intanto intonsa anche la parte più intima affiorata, perché vera. Quando “capisco tutto” è sempre dopo. E quel “capire” quando assomiglia al capire degli altri mi dimostra di aver “pescato” bene.
Puoi svelarci i segreti della lavorazione con cui realizzi i tuoi mirabili lavori in ceramica?
L’esigenza di rendere “vive” le mie sculture – ma lo stesso vale anche per i disegni – prima ancora di tutto il resto, e l’impegno affinché ciò avvenga, è il mio obiettivo prioritario di lavoro: devono “respirare”. Questa volontà si concretizza man mano modellando l’argilla e cercando ogni volta il guizzo di vita in un movimento dato, un volume aggiunto, in una tensione anche della stessa materia. Successivamente, durante le fasi di asciugatura continuo il lavoro a togliere, grattare, levigare concentrandomi sul vibrare delle superfici. All’uso degli smalti, in seconda cottura, preferisco l’engobbio e mi diverto molto a sperimentare nuove combinazioni di colori e superfici con una cottura sola: voglio tutto e subito! La fase finale dell’invetriatura, nel secondo forno, è la meno esaltante. Si tratta di una fase più tecnica ed esecutiva anche se non uso quasi mai gli smalti prestabiliti come previsto. Almeno mi diverto ad aspettare la sorpresa dell’effetto finale! Spesso completo una scultura in ceramica con interventi in cera o altri materiali. Ma in questo caso ho voluto dedicarmi solo alla ceramica. Quando lavoro sulla scultura, il mio livello di concentrazione e piacere – sì, proprio di estremo godimento – è talmente forte che dimentico persino di mangiare; non esiste nient’altro.
Quali aspetti rivestono un carattere di priorità nel tuo lavoro artistico?
Ce ne sono diversi, ma se proprio devo riassumere, due in modo particolare: lavorare sempre con il gusto assoluto di farlo, senza imposizioni di sorta, e riuscire ad incuriosire, coinvolgere emotivamente e stimolare concettualmente il fruitore a cui mi rivolgo, affinché gli resti qualcosa dentro. E per aggiungere un terzo aspetto, non avere limiti: io affronto temi legati alla nostra psiche che è sempre in trasformazione e movimento. L’umanità stessa è in perenne metamorfosi, nel bene e purtroppo anche nel male. Una continua evoluzione di cui mi interessa riproporre la logica nelle opere a cui mi dedico.
Quali sono gli approdi più recenti della tua ricerca?
Sono attratta da un lavoro di riscoperta e approfondimento dello studio dei colori, sia nella scultura che nel disegno, i miei medium più utilizzati. E poi, come cerco di fare da tempo, mi muovo in direzione di un’ulteriore sperimentazione, esaltando la contaminazione tra diversi linguaggi visivi per superare i limiti delle etichettature.
Nelle foto, i Fiori interiori di Ezia Mitolo, vincitrice del premio Terrafuoco