Una fortuita coincidenza, un simpatico scherzo del destino o l’incontro segreto tra due anime, in universi paralleli lontani dal mondo terreno? Chi lo sa! Certo nella vita nulla accade per caso: aneddoti, ricordi, sogni, stati d’animo, fanno parte di quel prezioso bagaglio personale che ognuno di noi porta con sé e che a volte, per sorte avversa o favorevole, si lega ad una serie di inspiegabili contingenze. Incastri perfetti e suggestioni piacevoli giocano a dadi con la vita che, nella sua complessità, non smette mai di stupirci, divertendosi a creare imprevedibili combinazioni.
Come dimostra la storia di Vincenzo Di Gioia, nato nel cuore della notte del 12 marzo 2003, giorno in cui – quarantotto anni prima – il mondo della musica dava l’ultimo saluto a Charlie Parker. Quel sottile filo rosso che lega il giovane talento ruvese al famoso sassofonista statunitense non è solo una mera circostanza anagrafica, bensì l’inizio di un silenzioso rapporto maestro-allievo coltivato sia pure senza una concreta interazione. Certo, trascorrere una manciata di minuti con lui sarebbe stata un’esperienza formativa incredibile, che avrebbe permesso al nostro giovane talento di conoscere appieno i segreti del Bebop, una grammatica fondamentale del jazz moderno! Tuttavia l’ambizioso diciottenne racconta di aver fatto tesoro dei consigli ricevuti dai suoi insegnanti per l’affinamento della tecnica musicale.
Basti pensare che, intrapreso lo studio del sassofono all’età di 12 anni, dopo soli quattro mesi si esibisce al Talos Festival come solista della Apulia’s Banda Ruvo del maestro Giuseppe Caldarola, peraltro suo docente di musica nel periodo della scuola media, quando si approcciava con timidezza allo studio del flauto dolce. A tredici anni diviene membro fisso nel ruolo di primo sax alto nella Jazz studio Orchestra del maestro Paolo Lepore, collaborando con musicisti del calibro di Chiara Civello, Fausto Leali, Simona Molinari, Gunhild Carling, Antonello Salis, Riccardo Fassi, Serena Brancale, Mathias Ruegg, Fawn Tolson, Joanna Rimmer, Eddy Olivieri. Nel 2017 viene invitato come ospite nel talk show televisivo È ora di… Te! del conduttore Vito Diomede. Successivamente forma il suo quartetto jazz avvalendosi della collaborazione di diversi musicisti: Nico Marziliano, Andrea Gargiulo, Francesco Cinquepalmi, Pasquale Gadaleta, Ilario De Marinis, Vincenzo Mazzone con cui esegue molteplici omaggi a Charlie Parker, sua unica vera fonte di ispirazione. Vincenzo ha poi studiato sassofono classico al conservatorio “Niccolò Piccinni” di Bari, armonia jazz con il pianista Barry Harris e attualmente frequenta il triennio accademico di sassofono jazz al conservatorio di Bari e il liceo scientifico di Ruvo.
Non ama programmare le cose, bensì sognare in grande: assorto e pensieroso ci rivela che il prossimo 26 giugno parteciperà in qualità di finalista al Premio Internazionale Massimo Urbani, il prestigioso concorso per solisti jazz dedicato alla memoria del sassofonista romano prematuramente scomparso. La posta in palio è davvero alta e Vincenzo lotterà, come suo solito, per scalare i vertici della classifica. Nel farlo però non dimenticherà chi da sempre, dalla ‘cabina di regia’, lo supporta. Perché se è vero che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna, lo è altrettanto per un musicista, alle cui spalle si celano con un pizzico di ritrosia e riservatezza i suoi affetti familiari e le solide amicizie. Così, prima di illustrarci tutte le peculiarità del suo nuovo disco, desidera ringraziare suo padre Antonio che lo ha motivato e incoraggiato senza mai fermarsi, condividendo con lui gioie e delusioni, il già citato maestro Giuseppe Caldarola per avergli fatto notare fin da subito che la musica sarebbe stata la sua strada e che gli avrebbe garantito la possibilità di suonare in diversi contesti nazionali ed internazionali, il suo primo insegnante di sassofono Max Zaza per avergli dato un’impostazione solida sullo strumento e i suoi successivi maestri Ausonio Calò e Roberto Ottaviano per avergli trasmesso il loro sapere, il suo amico Raffaele Magrone per averlo invitato a studiare con Barry Harris nel 2018 e 2019 cambiandogli totalmente la vita.
“Mi piacciono la musica classica e l’old school Hip-Hop, ma non credo ci siano generi paragonabili al jazz per le intensità delle emozioni che riesce a comunicare”, afferma convinto. E così ci presenta il suo ultimo prodotto discografico I got minor (The red thread of March 12th) edito dall’etichetta Dodicilune, distribuito in Italia e all’estero da Ird e nei migliori store on line da Believe (clicca qui per ascoltare un estratto). Nei nove brani del disco, impreziositi dalle fotografie di Natalia Riabchenko, Nicola Martinelli e Gianni Castellana presenti nel booklet, il diciottenne sassofonista è affiancato da Francesco Schepisi (piano), Pasquale Gadaleta (contrabbasso) e Vincenzo Mazzone (batteria). Il quartetto avrebbe dovuto partecipare a concorsi di musica jazz nazionali e internazionali, che sfortunatamente sono stati annullati a causa della pandemia. “Per non vanificare tutti gli sforzi, abbiamo provato ad abbozzare un progetto discografico che a detta dei miei colleghi musicisti e dell’ingegnere del suono era di un certo spessore e livello. Ho inviato il materiale alla casa discografica Dodicilune, da cui ho ricevuto risposta positiva dopo circa due settimane”, sottolinea il ruvese.
Ritmi e sonorità minori suggellano atmosfere nostalgiche e al contempo speranzose che rispecchiano il suo essere. Da qui il titolo I Got Minor, in analogia con il primo anatole della storia I Got Rhythm. Il sottotitolo The red thread of March 12th, invece, si riferisce alla data di morte del suo adorato Charlie Parker (12 marzo 1955) che coincide, nel giorno, con la sua data di nascita (12 marzo 2003). Una coincidenza, una sorta di unione spirituale ulteriore, oltre alla sua musica, attraverso cui ritiene di essere legato al genio di Kansas City, punto di riferimento costante. L’album infatti riassume il suo iter musicale in ambito jazzistico: la tematica attorno alla quale ruotano le composizioni si concentrano sul suo viaggio di iniziazione e di scoperta del jazz tradizionale, appunto con lo studio del fenomeno Charlie Parker e del bebop, per giungere ad esperimenti originali e diversi linguaggi interpretativi.
Il disco si apre con I Got Minor, composizione innovativa di Di Gioia, senza dubbio il brano di spicco dell’intero progetto. Nasce dall’idea di affiancare alle celebri strutture del blues e del rhythm changes quella del rhythm changes minore. Caratterizzato dalla velocità molto sostenuta, contribuisce assieme alle due take di Bebop di Dizzy Gillespie a fornire brio e adrenalina, equilibrata dalle dolci ballade Laura di David Raksin e Body and soul di Johnny Green. Back home blues e Dexterity sono le due composizioni di Charlie Parker che attestano la scuola di provenienza di Vincenzo. Si viaggia anche nel modale con So What di Miles Davis, per concludere con Bean and the Boys un contrafact del maestro Coleman Hawkins. Diciott’anni sono pochi per guardare il mondo da un’altra prospettiva, forse meno romantica e più disincantata. Questo Vincenzo lo sa, ma non ha paura di guadagnarsi la stima dei grandi a piccoli passi, silenziosamente. Lui intanto ci mette il cuore, a ricompensarlo ci penserà la vita.
Nella foto in alto, Vincenzo Di Gioia. Le foto sono tratte dalla pagina fb dell’artista