La domenica è il giorno del sacrosanto riposo: ci si può svegliare più tardi, sorseggiare una calda tazza di caffè, sedersi comodamente in poltrona e, magari, sfogliare, senza l’assillo di dover scappar via, l’amato quotidiano. E così, è possibile incappare nella lettura di un articolo che descrive il fenomenale passato calcistico del Bitonto, rinverdito dai fasti odierni, e conoscere il nome del suo autore: il giovane Gianvito Rubino.
Molti bitontini, in realtà, questo nome l’avranno già sentito e, persino, tanti bolognesi, considerato che Gianvito vive a Bologna da un bel po’ di anni. Ma il comune lettore, che si è imbattuto nelle statistiche e nelle informazioni dettagliatissime sul pallone bitontino, fornite da questo sfegatato fan, vorrà certo sapere di chi si tratta e, magari, proverà a fare qualche ricerca, che potrebbe rivelarsi infruttuosa. Così, quando Gianvito è tornato a Bitonto per le festività natalizie, lo abbiamo incontrato per farci raccontare, per filo e per segno, da dove nasce questa sua “passionaccia” per i colori neroverdi.
Gianvito è un insaziabile e indefesso ammiratore del calcio bitontino. Una passione che risale ai suoi due anni, a quando, con il padre Mimmo, alimentato dalla stessa inesausta passione, andò a vedere allo stadio la prima partita del Bitonto. Una passione che non si è mai assopita e che l’ha portato a ricostruire le vicende della squadra, sin dai primissimi anni, facendo chiarezza su ben più di un falso storico. Un amore così grande da portarlo, il giorno dopo laurea, a Bologna, a caricare la macchina – con l’aiuto del suo fedelissimo amico, Adriano Morea – e a tornare a Bitonto in tempo per assistere alla partita contro l’Altamura, rinunciando alla festa di laurea con amici e parenti.
Dopo gli studi umanistici, al liceo classico “Carmine Syos”, Gianvito è andato a studiare giurisprudenza a Padova, per poi trasferirsi a Bologna, dove ha completato l’università. Il pomeriggio, non appena si concludeva il suo quotidiano carico di letture, metteva a segno un “progetto folle”. Aveva saputo dal padre che l’archivio storico della Gazzetta del Mezzogiorno raccoglieva tutte le cronache delle partite del Bitonto. E, allora, si metteva a sfogliare le pagine del quotidiano alla ricerca di notizie. La difficoltà maggiore consisteva nel tempo limitatissimo per visionare le pagine, a completa disposizione solo di chi aveva l’abbonamento.
Da studente fuori sede, Gianvito non si poteva permettere quest’altra spesa. E, allora, con il sistema di cattura, ritagliava in pochi secondi la pagina che gli serviva. L’operazione doveva essere compiuta il più velocemente possibile, perché una volta scaduto il tempo, per visionare la stessa pagina doveva attendere il giorno dopo. Su un quadernetto, appuntava meticolosamente ogni edizione della gazzetta, la pagina e se era riuscito a copiarla. Altrimenti, il giorno dopo avrebbe rimediato a quella mancanza, nella sua corsa contro il tempo. Per motivarsi e non cedere alla stanchezza, era solito ascoltare un sottofondo musicale adatto all’impresa: spesso la colonna sonora del Gladiatore. Questo prima dell’abbonamento e di poter sfogliare personalmente l’archivio della Gazzetta, presso la Biblioteca nazionale di Bari.
Un grande aiuto nelle sue ricerche glielo ha offerto un altro tifoso sfegatato del Bitonto, Antonio Gesualdo, che ha raccolto tutti gli articoli della squadra dagli anni 60/70 sino al 2009, giornata dopo giornata, e li ha donati a Gianvito. “L’obiettivo è sempre stato quello di far conoscere ai miei concittadini -spiega Gianvito- la storia della sua squadra e non solo, riportando tutte le informazioni sulla pagina di Wikipedia. Quando l’anno scorso i neroverdi hanno battuto il Bari, molti giornalisti hanno attinto dalla pagina che avevo scritto io due giorni prima”. Il pregio di questo lavoro è il carattere scientifico, analitico.
Girano, infatti, tante inesattezze persino sulla data di nascita del Bitonto: “Si pensa che sia nata nel 1921 -osserva Gianvito- ma in realtà già dal 1914 c’era una squadra, la Vis Nova, e il presidente era la tessera numero uno della Gazzetta, un giovanissimo Antonio Amendolagine. Intorno al 1925 è subentrata la Miguel Ventafridda Bitonto, che prende il nome da un ‘pazzo’, innamoratissimo del calcio bitontino, immigrato in Argentina, che decide di spedire ogni volta un assegno per il calcio bitontino. E non parliamo mica della Juventus. C’è perfino traccia di una sconfitta della Vis Nova Bitonto contro il Grumo, risalente a prima del 1921”.
Ma i suoi concittadini proprio non lo stanno a sentire e caparbiamente si legano a questo falso storico: “I colori del Bitonto, poi, derivano, molto probabilmente, dall’Ideale Bari, una squadra che nel 1928 si è unita alla Liberty Bari, dando l’avvio all’attuale formazione barese.” Poi, Gianvito aggiunge sornione: “ma i baresi, che sono astuti, non dicono mica 1928, ma 1908, così la squadra è più antica. E la nostra, che ha una tradizione ricchissima e una storia incredibile, ed è ben più antica?”.
“Il problema dei bitontini è che sono abituati a piangersi addosso e non pensano a valorizzare quello che hanno. Non si pongono neppure il problema dello stadio, che è un vero e proprio palcoscenico culturale e un possibile motivo di ricchezza e prestigio per la città. Non capiscono che se una città non ha adeguate strutture viene ritenuta periferia e, oltre a perdere quello che potrebbe avere, rinuncia a quello che già possiede. Ciò che è successo con l’ospedale. Bari gode della bellezza delle città della sua provincia”. E aggiunge: “si potrebbe fare molto di più. Perché oltre al prestigio, nello stadio si possono ospitare partire importanti, che attirano tifosi e, quindi, persone che restano a mangiare e a dormire a Bitonto”.
Adesso Gianvito ha un grosso progetto: vuole raccogliere e pubblicare in un volume tutte le notizie sulla squadra del cuore insieme a tante bellissime fotografie. Un lavoro molto impegnativo e ambizioso. “Magari, intanto –si augura- il Bitonto va in serie C. In fondo, ce la stavamo per fare nel lontano giugno del ‘46”.
Nella foto in alto, la bandiera del Bitonto tenuta, a sinistra, da Gianvito Rubino e, a destra, dal papà Mimmo