La festa, come gli antropologi già sanno, “vive” di una dimensione collettiva. Negli ultimi decenni, però, in special modo quando è di natura religiosa e rituale, causa l’abbandono generalmente diffuso del senso del sacro (valga come lettura, ormai storica, il famoso “Eclissi del sacro nella civiltà industriale” di Sabino Acquaviva, 1961), la festa appare confinata più in una dimensione privata. Come pure succede che la ricorrenza sia completamente elusa oppure riconosciuta solo nella sua dimensione laica o secolarizzata, quando non strettamente commerciale. E’ il caso del Natale.
Negli ultimissimi tempi, in realtà, magari anche per altri positivi principi (la promozione del territorio, in primis), il fenomeno dei cosiddetti “presepi viventi”, ad esempio, sta raccogliendo sempre più consensi attorno a sé. Le comunità, anche piccole, si ritrovano attorno al valore dell’antica operosità di paese e, così, si verificano piccoli ma importanti casi di attivismo da parte della quasi totalità dei cittadini. Casi diventati di scuola per l’Italia e il sud in particolare. Diciamo che di solito l’area appenninica è avvantaggiata anche da una particolare conformazione geologica che aiuta molto, al fine anche di una corretta ricostruzione scenografica.
È il caso, in Puglia, del famoso presepe di Alberona, nel subappenino dauno. Bitonto dice la sua, in questo ambito, con Palombaio e Mariotto. In particolare, quest’ultimo viene presentato come presepe vivente “all’epoca di San Francesco”. Un presepe storico, filologico, attento alla corrispondenza “ambientale” della ricostruzione. Un presepe come ai tempi del grande santo d’Assisi, ovviamente, rappresenta già di suo una scelta cronologicamente anacronistica rispetto agli effettivi tempi dello svolgersi della vicenda evangelica. Ma ha dalla sua la precisa opzione francescana stessa. È noto infatti quanto, a livello tradizionale e popolare, come proprio a Francesco sia attribuito l’atto fondativo del presepe di Greccio.
Il presepe di Mariotto è stato il risultato dalla sinergia di diverse associazioni: ognuno ha concorso al progetto con le proprie capacità e col proprio entusiasmo: l’associazione Mariotto Libera con la parrocchia Maria SS. Addolorata, “Torre Normanna”, sodalizio di Terlizzi; “Impuratus”, Bitonto; “Giullari di Spade”, Pescara (notissimi e bravissimi). Come si vede, si è anche andati ben oltre l’angusto limite territoriale, con il contributo di associazioni impegnate da anni nella ricostruzione storica di eventi. Rilevante il ruolo di raccordo tra le diverse istanze svolto dai soci di Mariotto Libera.
Il presepe, allestito nello spazio retrostante la chiesa di Mariotto, è stato meta di visitatori giunti da ogni centro della città metropolitana. Assai gradite anche le performance dei rievocatori, degli attori recitanti e dei numerosi figuranti, in tutto cinquanta. L’evento ha ricevuto il patrocinio del Comune di Bitonto (assessorato al marketing) e del Gal “Fior d’Olivi”. Quel che, anche come osservatori, ci preme rimarcare è la sintesi, assolutamente ben congegnata, delle diverse sensibilità di chi ha messo a punto il presepe: tutti con una particolare “missione”, ben allineata con l’intento principale, ossia legare il fatto religioso e comunitario alla riscoperta dei valori più nobili ed autentici del territorio. Come si accennava all’inizio. Momenti e ritualità che, calati in un contesto di periferia, assumono valore aggiunto.
In più, usando la storia correttamente, come il medioevo in questo caso. È stato declamato (benissimo) il celeberrimo Cantico delle Creature di san Francesco, l’Ave Maria in latino e greco (ancora, dunque, un’attenzione alla filologia del racconto). Ottimi anche gli spettacoli di ambientazione storica, grazie all’esperienza di gruppi collaudati, come i citati “Torre Normanna” e “Impuratus” (molto apprezzata la figura dell’arciere). Non è mancata la rappresentazione dei mestieri (o di alcune attitudini o pratiche) medievali: lanaiolo, cardatrice, mercante di stoffe, sarto, ricamatrice, tessitrice, usbergaio, cacciatore, cuciniere, erborista, cerusico, speziale, allevatori, lavandaie, massaie, legnaioli, ortolani, popolane, falconieri, osti, musici, giullari. E poi i religiosi: suore, monaci benedettini, francescani.
Ben curati gli allestimenti: accampamento militare, ospedale, area per il tiro con l’arco, zona dei giochi storici, botteghe enogastronomiche. E gli spettacoli? Musica medievale dal vivo, sputafuochi, giocolieri, performance teatrali. Gli abiti sono stati realizzati nel rispetto alle caratteristiche dei tessuti usati nel XIII secolo. Assai curioso e vistoso l’abito della Madonna, in originale contrasto con la povera capanna. Un presepe, a parte questo particolare, prettamente “francescano”, che ha recuperato il senso del messaggio di un santo tra i più amati della storia, il cui positivo portato di umanità raggiunge anche i non credenti.
Così come francescano, per le ragioni di cui si è detto, il concetto di presepe già è, come anche papa Francesco ha recentemente ricordato (“Admirabile signum”, lettera proprio su questa antica e pia pratica). Da citare, infine, l’allaccio alla grande tradizione medievale in sé, figlia di un periodo a torto ostracizzato a livello ideologico, per via di un malinteso pregiudizio di natura illuminista. Un Natale che, per gli organizzatori, anche attraverso questo particolare presepe, si è voluto come più “intimo, occasione di raccoglimento semplice, preghiera, venerazione, quasi una reliquia già in sé di una festa più raccolta e meno mondana”. Mariotto come “una nuova Porziuncola” per un Natale di fede. Di pura fede.