Restare a casa ha un impatto diverso da persona e persona. Anche se, probabilmente, i maggiori problemi psicologici potrebbero esplodere quando il lockdown sarà terminato.
“Nelle fasi 2 e 3 la distanza sociale potrebbe trasformarsi in distanza psichica, legata al sospetto, al dubbio, all’incertezza. Si inizieranno a vedere “nemici” e pericoli dappertutto. La mente andrà in iperallarme”. Questa è il parere di Michele Pennelli, psicologo e psicoterapeuta di Bari, che si occupa di disturbi d’ansia e dell’umore; disturbi correlati allo stress, a problemi relazionali, dipendenze, disturbi dissociativi e di personalità.
“Per adesso, a causa del lockdown, i problemi psicologici restano legati all’ansia. Ci si chiede cosa potrà succedere. Più passa il tempo in emergenza -spiega Pennelli, che continua a svolgere l’attività di psicoterapeuta, collegandosi in video con i suoi assistiti- più aumenta il rischio dell’impatto psicologico. La mente è un problem solver: di fronte a una difficoltà concreta, reale, nell’immediato trova le risorse con cui rispondere. Ma aumentando il tempo delle attività bloccate, le soluzioni si faranno più difficili”. La gestione di questa prolungata quarantena cambia da caso a caso: “Nel nostro settore -chiarisce- bisogna distinguere i tipi di disagio. Gli ipocondriaci, che sono in casa, attualmente non si espongono agli agenti problematici, perciò tendono ad avere una sintomatologia minore con un comportamento di evitamento, legittimato socialmente”.
Pennelli, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, ha dovuto sospendere i progetti avviati nelle scuole, ma continua la formazione a distanza con gli insegnanti. Prosegue le terapie via skype con gli adolescenti e gli adulti che già segue in trattamento: “Con loro sto svolgendo un lavoro di mantenimento. Si tratta di ragazzi che hanno dipendenze proprio rispetto agli strumenti tecnologici che, invece, in questo periodo, stiamo chiedendo di usare per farsi aiutare o per seguire la scuola. Non sappiamo esattamente quali saranno le conseguenze su di loro”.
Gli adolescenti vivono la permanenza in casa come un compromesso con i genitori: “Per la mia esperienza posso dire che i social e gli strumenti tecnologici stanno dando il meglio e il peggio: si trascorrono molte ore davanti alla playstation con cui ormai si può socializzare”. Ad essere maggiormente colpiti dal distanziamento sociale, però sono i bambini e gli anziani. “Ho dovuto sospendere le valutazioni con i bambini -afferma lo psicoterapeuta- perchè è più complicato lavorare a distanza con loro: non avendo lunghi tempi d’attenzione durante la didattica, lo stesso strumento tecnologico può essere distrattivo. Per quanto riguarda le persone anziane, invece, va registrata la difficoltà di approccio. Per loro l’isolamento sociale può condurre persino a tragiche conseguenze”.
In questo periodo di pandemia, è fondamentale discernere nel tempo gli aspetti positivi da quelli negativi. Avere più tempo a disposizione e stare insieme può essere un aspetto positivo se limitato a un c erto periodo: “Certamente è positivo il tempo che i bambini stanno trascorrendo con le loro famiglie. Se il tempo viene investito con qualità -spiega Pennelli-cercando di mantenere delle routine, veicolando gli impegni dei ragazzi e spiegando, senza ansie eccessive, ai figli lo stato d’emergenza, si può trasmettere un senso di responsabilità. E’ opportuno attribuire piccoli compiti con cui i bambini e i ragazzi possano aiutare in casa”.
Il bambino diventa un agente con cui affrontare questa situazione, mettendo in atto resilienze in un contesto di difficoltà. Anche in questo caso, però lo psicologo fa una distinzione necessaria: “E’ sempre questione di opportunità: chi ha più risorse non solo economiche ma soprattutto affettive e può investire nella qualità del tempo da vivere con i figli è avvantaggiato. Ovviamente, nelle famiglie in cui erano preesistenti dei limiti nella cura del tempo, reso più difficoltoso dalla convivenza in case non molto grandi, il problema si amplifica e aumentano i conflitti”. “Purtroppo -continua Pennelli- in un contesto di crisi, soffre maggiormente chi sta peggio dal punto di vista economico e psicologico.”
Il lavoro psicologico, d’ascolto, non si può fermare, anche con le necessarie modifiche. Già da qualche anno ci si serve di videochiamate per la terapia a distanza come conferma lo psicologo barese; ma l’emergenza obbliga ad impostare diversamente il lavoro: “Non sto prendendo in carico nuovi casi, ma non manca l’opportunità di ascoltare persone e bisogni nella logica del contenimento del disagio. Al di là del setting psicologico, la routine instaurata con il paziente facilita. Certamente un limite della distanza è dato dalla difficoltà di non poter strutturare gli esercizi esperenziali”.
All’orizzonte si prevedono delle modifiche a cui sono chiamati gli addetti al lavoro: “La strutturazione della terapia in sé è la vera sfida, cercare di costruire un ambiente sicuro in un periodo di distanza sociale”. A proposito di prospettive il dott. Pennelli torna sul discorso del post lockdown, lanciando spunti di riflessione: “Come già detto i maggiori problemi psicologici arriveranno nella fase 2 e 3 o fino a quando non riusciremo ad avere il vaccino. Potrebbero presentarsi disturbi ossessivi nei meccanismi di controllo”. Ed è proprio sul senso delle limitazioni da rispettare e quindi, sulla responsabilità di ogni cittadino, che lo psicologo intravede delle preoccupazioni: “Il virus non si vede e genera un mancato senso di controllo nelle persone. Quando verrà dato il permesso di poter uscire, con tutte le dovute limitazioni, verrà messa alla prova la responsabilità degli individui”.
Il tema delle mascherine simboleggia questa sfida: “Una società individualistica come quella occidentale dovrebbe rafforzare il senso collettivo di responsabilità. Risulta, invece, difficile far passare il concetto dell’uso della mascherina, basato principalmente sul vantaggio personale e meno sull’utilità comune di diminuire il rischio del contagio. Si interpreta questo come un limite delle libertà individuali, senza considerare che molte persone hanno problemi ad utilizzare la mascherina semplicemente perché avvertono una mancanza d’aria”. Forse la sfida principale che ci pone davanti il coronavirus è proprio quella di mettere al centro l’idea della responsabilità collettiva.