Lo scienziato bitontino che sogna di cambiare il pianeta

In questo articolo dell'ottobre 2018, il ruolo del prof. Francesco Stellacci, ospite fisso di Piazza Pulita, a capo del Laboratorio di NanoMaterials al politecnico di Losanna

Il sogno di cambiare il mondo in meglio e la convinzione di poterlo fare attraverso la scienza sono cose che il prof. Francesco Stellacci ha cominciato a capire attraverso l’insegnamento di alcuni docenti speciali, meglio ancora di alcuni educatori, di Bitonto, la città in cui è nato e si è formato.

Prima di diventare uno scienziato di fama internazionale, protagonista di una carriera luminosissima per la quale la sua città – attraverso l’Accademia Vitale Giordano – esprime ora riconoscenza, premiandolo come “cittadino di Bitonto nel mondo”, Stellacci aveva già fissato la sua stella polare e stabilito il mezzo per raggiungerla. Non l’ennesima ambizione sterilmente, egoisticamente personale, ma un orizzonte più ampio in cui più che al proprio si è al servizio degli altri, uno slancio umanitario che trova nella scienza una speranza concreta di compimento.

Francesco Stellacci cittadino di Bitonto nel mondo
Il prof. Leonardo Degennaro, docente dell’Università degli Studi di Bari e coordinatore del comitato scientifico dell’Accademia legge le motivazioni del premio a Stellacci

Lo sapeva prima ancora, dunque, di partire per il Politecnico di Milano per studiare scienze dei materiali e della tesi sui polimeri fotocromici con Giuseppe Zerbi e Mariacarla Gallazzi, maturata sugli stessi banchi su cui si era preparato il premio nobel Giulio Natta, che ai polimeri dedicò la sua intera vita.

Prima del post-dottorato all’Università dell’Arizona con Joe Perry e Seth Marder, allievi di altri due premi nobel; prima di diventare assistente e poi professore associato al MIT, vero e proprio tempio sacro della scienza mondiale, e di lavorare sul molecular stamping, tecnica per stampare il Dna, su cui per qualche anno ha anche provato a costruire una startup.

È quel sogno di lasciare il pianeta migliore di come l’ha trovato che faceva capolino e prendeva consistenza mentre, assieme ad uno studente cinese che si era lasciato ispirare dalle capacità autopulenti dei fiori di loto, inventava una “carta” fatta di nanofibre in grado di assorbire idrocarburi liquidi in modo selettivo. Cioè di ripulire ad esempio il mare dal petrolio sversato a seguito di grandi disastri ambientali.

Ed è sempre quella ideale aspirazione a muovere i passi di Stellacci ora che è a Losanna, all’Ecole Polytechinque Fédèrale, dove dirige il Laboratorio di NanoMaterials and Interfaces Supramolecular (SuNMiL).

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Una veduta panoramica del Politecnico di Losanna, con il lago Lemano sullo sfondo

Da quando è in Svizzera, infatti, si sta dedicando in particolare all’analisi e alla possibile risoluzione di alcune problematiche che attanagliano i paesi africani. A partire da una questione cruciale come quella delle malattie infettive, che in Africa mietono milioni di vittime, e dei relativi vaccini, prodotti nei continenti più avanzati e trasportati lì, con evidenti complicazioni e costi esorbitanti imputabili al mantenimento della catena del freddo, necessario per la loro corretta conservazione.

I prodotti a base proteica come vaccini, anticorpi ed enzimi tendono infatti a degradarsi nel tempo quando sono a temperatura ambiente perché le proteine ​​si “denaturano”. Per ovviare ad una tale, naturale instabilità, Francesco Stellacci ha messo a punto una formula che si basa sull’utilizzo di una sostanza semplicissima: lo zucchero, elemento in grado di ridurre la mobilità e, quindi, di stabilizzare il vaccino. E le evidenze sono assolutamente incoraggianti.

Con il suo team sta anche lavorando per arginare il flagello della dissenteria, che ogni giorno provoca la morte di 3mila bambini sotto i cinque anni. E, come se non bastasse, sta facendo ricerca su un materiale che dovrebbe agire sui virus, deattivandoli, alla stregua di come si comporta un antibiotico ad ampio spettro nel caso di batteri. Un altro proposito mozzafiato, che un domani potrebbe salvarci dalle conseguenze di una pandemia causata da virus per cui non esistono vaccini né farmaci, rischio tutt’altro che peregrino, soprattutto se si pensa alla comparsa di nuovi agenti patogeni sempre più aggressivi e alla facilità con cui questi potrebbero diffondersi per via della crescente densità della popolazione globale.

Chi, se non la scienza, può offrirci un riparo effettivo da queste minacce? Eppure se Stati Uniti e Svizzera, per restare ai Paesi in cui il professor Stellacci ha avuto modo di lavorare, continuano ad investire nella ricerca, consci delle potenzialità anche solo meramente economiche del progresso tecnologico, come insegnato da Vannevar Bush più di mezzo secolo fa, l’Italia non dà segno di voler invertire la tendenza, ormai atavica, a destinare alla scienza soltanto pochi spiccioli.

Nell’immagine in alto, il prof. Francesco Stellacci (foto Massimiliano Robles)