L’Italia vuole andare a tutto gas. Per alleviare il caro bollette, fonte di preoccupazione per milioni di famiglie, occorre raddoppiare l’estrazione di gas sul territorio nazionale nei prossimi due anni. Ne sono convinti i ministri della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, e dello Sviluppo Economico (Mise), Giancarlo Giorgetti, che puntano a rimuovere gli ostacoli burocratici, politici e finanziari che bloccano gli investimenti delle compagnie petrolifere.
OCCORRONO 1,5 MLD DI EURO PER ESTRARRE ALTRO GAS SUL TERRITORIO NAZIONALE
Sarebbe pari a 1,15 miliardi di euro l’investimento per aumentare la quota dell’estrazione di gas dagli attuali 3,5 a 7/8 miliardi di metri cubi l’anno. Ma il gioco vale la candela? Stando ai dati dello stesso Ministero dello Sviluppo Economico, le riserve di gas in Italia, tra terra e mare, ammontano a circa 46 miliardi di metri cubi. Un numero poco significativo, se si considera che attualmente l’Italia consuma, per il proprio fabbisogno energetico, circa 70 miliardi di metri cubi l’anno.
Difficile quindi sostenere la tesi che una maggiore disponibilità di “gas italiano” possa avere un impatto determinante sulle bollette (il prezzo del gas, com’è ovvio, è stabilito dal mercato globale). Numeri diversi da quelli del progetto governativo fatto trapelare sul Sole 24 Ore, che prevede l’estrazione di “una dozzina di miliardi di metri cubi di gas l’anno per una decina di anni”, stimando una riserva di 92 miliardi di metri cubi di gas che tiene conto, tuttavia, anche delle risorse “probabili” (quindi non certe) stimate dal Mise.
COME SI CONCILIA IL PROGETTO DEL GOVERNO CON L’ADESIONE DELL’ITALIA AL GASDOTTO EASTMED?
Ma è anche poco chiaro come questa operazione possa conciliarsi con la recente adesione dell’Italia al gasdotto Eastmed, che si pensava non dovesse servire più dopo l’entrata in funzione del Tap. È infatti passata sotto silenzio nei mesi scorsi la decisione del governo di prorogare i termini per l’avvio dei lavori del tratto ionico dell’infrastruttura – il metanodotto Igi Poseidon, joint venture tra la greca Depa, e la Edison Italia del gruppo francese Edf – che farà approdare ad Otranto il gas dei giacimenti israeliani e ciprioti del Mar di Levante, via Cipro e Grecia con 1.300 chilometri di condotte sottomarine. La redditività commerciale di Eastmed, però, dipenderà molto dalla domanda di gas dell’Italia.
Nel frattempo la Regione Puglia, insieme a tutte le altre regioni, si è espressa favorevolmente alla proposta del ministero della Transizione Ecologica di cercare aree in cui estrarre il gas per incrementare l’autonomia nazionale. Un iter complesso che prevede comunque successive autorizzazioni ma che ha ricevuto l’iniziale lasciapassare dell’assessora regionale all’Ambiente, Anna Grazia Maraschio, che ha commentato: “La Commissione Ambiente ed Energia dello Stato-Regioni si è espressa favorevolmente all’adozione del Pitesai (il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee, ndr) a condizione che, nelle aree idonee definite nel piano, siano possibili le attività connesse ai permessi di ricerca del solo gas e non di petrolio, sia per i permessi rilasciati, oggetto di moratoria, sia per nuove istanze”.
IL RINCARO DEL GAS NON C’ENTRA CON LA TRANSIZIONE ECOLOGICA MA CON LA CRISI DEL GAS NATURALE
Negli ultimi mesi, i prezzi del gas naturale e dell’elettricità hanno raggiunto livelli record in tutta Europa e in alcuni dei principali mercati asiatici, contribuendo ad una più ampia inflazione che sta colpendo molte economie in tutto il mondo, tra cui quella nazionale. Non sono stati pochi gli osservatori e i politici che, in Italia, proprio in queste settimane, hanno cercato di attribuire la volatilità nei mercati del gas e dell’elettricità al processo di transizione (appena, timidamente, avviato) verso l’energia pulita. È bene chiarire una volta per tutte, come ha recentemente fatto Fatih Birol, capo della Agenzia internazionale dell’energia, che quella a cui stiamo assistendo non è una crisi delle energie rinnovabili e non è il “conto salato” della transizione ecologica: “È una crisi del gas naturale”.
Sebbene le spedizioni di gas naturale liquefatto (Gnl) stiano garantendo una fornitura aggiuntiva ai mercati europei, la loro tempestività è limitata da tempi di trasporto più lunghi rispetto ai gasdotti. Lo stoccaggio sotterraneo rimane, quindi, la principale fonte di flessibilità a breve termine per i mercati del gas in Europa. E’ il motivo per cui l‘incertezza sui prezzi e sull’offerta è rimasta elevata anche agli inizi di gennaio, con la maggior parte della stagione più fredda che deve ancora arrivare. Ma c’è ovviamente anche una questione geopolitica. A differenza di altri gestori di gasdotti – come Algeria, Azerbaigian e Norvegia – la Russia ha ridotto le sue esportazioni verso l’Europa del 25% nel quarto trimestre del 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020 e del 22% rispetto ai livelli del 2019, nonostante i prezzi di mercato eccezionalmente elevati del gas naturale che abbiamo visto negli ultimi mesi.
LA DIPENDENZA DAL GAS SI BATTE PUNTANDO SULLE RINNOVABILI E SU UNA STRATEGIA A LUNGO TERMINE
Una soluzione a questa crisi, che sembra andare in una direzione diversa da quella promossa da Cingolani e Giorgetti, prova a darla Francesco Starace, amministratore delegato e direttore generale di Enel, suggerendo di ridurre la dipendenza italiana dal gas, orientando gli investimenti sempre più verso le rinnovabili e ammortizzando la volatilità intrinseca del gas facendo contratti su tempi più lunghi. “In molte parti del mondo si fa, mentre in Europa dal 2003 si è scelto di privilegiare un mercato a breve termine, pensando che favorisse i consumatori. Ma oggi non è più il caso di comprare energia giorno per giorno. I primi nostri grandi clienti lo hanno capito e stanno cambiando la loro strategia di acquisto proprio in questa direzione”, spiega Starace in una recente intervista a Repubblica.
Ma, al di là dei dati e dei numeri, la questione forse andrebbe ricondotta sul piano squisitamente semantico. “Transizione” vuol dire “passare da una condizione o situazione a una nuova e diversa” (vedi Treccani). Già oggi l’Italia dipende principalmente dal gas e il phase-out del carbone è previsto per il 2025. Attualmente poco più del 6% dell’elettricità usata in Italia è prodotto col carbone, molto meno di altri Paesi europei come la Polonia (dove la quota di carbone è al 70%) e la Germania (24%). Chiuse o riconvertite le rimanenti centrali a carbone (una delle quali a Brindisi), l’unico combustibile fossile nel mix energetico italiano rimarrà il gas. Dovrebbe essere banale, quindi, affermare che una “transizione” da gas a gas avrebbe poco senso. A meno che non si voglia riscrivere il celebre passo della Genesi per adattarlo ai tempi che corrono: “Gas siamo e gas ritorneremo”.
La foto in alto è tratta dal sito di Waillant