L’arte di scendere e risalire dagli abissi dell’anima

Una nuova tappa della raffinata e poetica analisi introspettiva di Angela Rapio nelle opere esposte in questi giorni al Cenacolo di Bitonto

Diciamo la verità: in teoria, tutti amano l’arte ma in pochi la frequentano con assiduità. Se a questo si aggiungono cinque gradi centigradi e un vento serale infausto, lo stupore sale ancora di più. I visitatori della mostra “Abissi”, di Angela Rapio, certo non si son fatti intimorire dalle condizioni meteo avverse e hanno affollato, a Bitonto, prima gli spazi del Convivium, scelto per la presentazione, e poi il Cenacolo, location dell’allestimento, gustando appieno gli ultimi lavori dell’artista bitontina.

Angela Rapio

Il lavoro di Angela è un percorso. Attraverso se stessi, attraverso l’altro, in una interazione sommessa, delicata, poetica quasi, tra gli spazi inesplorati e spesso volutamente soffocati dell’inconscio e tutte quelle urgenze esterne che producono uno straniamento, uno stordimento, che un animo sensibile non può ignorare.

Angela Rapio

Abissi rappresenta i meandri più bui della nostra anima, i desideri, le angosce, quell’urgenza di riappropriarsi di se stessi attraverso una fuga, da chi, da cosa, non è dato sapere. O magari strilla un bisogno malcelato di raggiungere un approdo.

Angela Rapio

Tutto è concesso, donato laicamente alla coscienza dell’altro, che prende parte ad una esperienza pluri-sensoriale, tra istinto, sguardo, sonorità multiple, in una percezione condivisa sottile, impalpabile, dove tutto vibra, solo se ci si pone in ascolto.

Un ascolto coraggioso, doloroso. Perché dar voce e forma a quegli spettri che serpeggiano negli anfratti estremi del nostro essere fa tremare anche gli impavidi. Quelle stesse pulsioni, che difficilmente sono assecondate, qui trovano alloggio, tra i rami scarni di questi boschi oscuri, in cui e attraverso cui l’artista ci conduce per mano, lì dove il silenzio è rotto dallo sgomento, dove le ombre sono in agguato…

Angela Rapio

Eppur all’orizzonte qualcosa s’intravede… Un piccolo timido lampo di luce che balugina, per poi fuggir via. Una scia, un passaggio, un miraggio. Per trovare la via la mente necessita l’inganno. Perdersi, per poi ritrovarsi. I boschi di Angela sono i nostri boschi, i suoi dedali le nostre ambizioni.

Angela Rapio

All’artista non interessa il racconto privato, rifugge il ripiegamento intimo, piuttosto ambisce ad una universalizzazione della condizione umana.

Angela pone sempre in discussione la prassi, in un turbine di sperimentazione continua, a tratti ossessiva. Imbastisce una tenue biografia dell’essere e lo fa partendo dalle fondamenta, scardinando ogni certezza, parte da una riduzione per poi procedere all’accumulo. Così come le parole, vergate con cura antica, dimenticano la sintassi e leggere si librano come segni, passaggi, tracce di infinito, in un rapporto epidermico, quasi sensuale con l’opera in divenire. Fossilizzate nella loro primigenia purezza, le carte della Rapio manifestano un legame tattile e vigoroso che conduce ad una scarnificazione della realtà, emblematicamente esaltata nel lavoro sul Mediterraneo.

In apparente distonia con i labirinti aggrovigliati che affondano in terreni ignoti, le teste mozzate dei pesci di Angela Rapio sono allegoria del massacro esistenziale, apice di quella sedimentazione dell’io che galleggia spaurito tra le onde dell’indifferenza, testimoni scomodi di una realtà in disfacimento, che spolpa ogni speranza di sopravvivenza. E poi troviamo sospese nell’ignoto crisalidi incompiute, creature mai nate, vite spezzate con le teste strozzate, infilzate in lische irsute e drammaticamente fiere.

Tutto tace. Forse questi bozzoli schermati in corazze amorevolmente sedimentate sono silenziosamente avviluppati in un dolore troppo grande, per volerne approfondire la conoscenza.

Nelle immagini, alcune opere di Angela Rapio in mostra al Cenacolo di Bitonto