La rivincita di Marilù, da freelance sotto scorta a giurata Unesco

La nomina a componente del Guillermo Cano World Press Freedom Prize, premia la giornalista Mastrogiovanni per le sue battaglie in difesa della libertà di stampa

Era il 2008 quando Giuliana Sgrena, inviata di guerra del Manifesto, veniva nominata componente di giuria del Guillermo Cano World Press Freedom Prize, il premio mondiale per la libertà di stampa istituito nel 1997 dall’Unesco. Non era mai successo prima che questa nomina coinvolgesse il nostro Paese. Oggi, a dieci anni di distanza, un’altra italiana è chiamata a ricoprire questo prestigioso incarico. Si tratta della giornalista salentina (ma barese d’adozione) Marilù Mastrogiovanni, direttora (come le piace essere chiamata) del giornale d’inchiesta iltaccoditalia.info e pluripremiata autrice di numerosi libri e alcuni documentari, nonché collaboratrice di Sole24Ore, Manifesto, Left e Narcomafie.

“Ero molto spaventata dopo la nomina e ho provato un grande senso di responsabilità”, confida la cronista, che continua: “Ho pensato fosse uno scherzo e non ho risposto subito. Solo quando ho verificato tutto – nomi, carta intestata, indirizzo di provenienza – ho dato riscontro, accettando, ovviamente. Non ci ho creduto davvero fin quando non ho visto il mio nome sul sito dell’Unesco”.

La mail, spedita direttamente dalla direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, che, motu proprio, sceglie i componenti della giuria, era eloquente: incarico sino al 2021 “in riconoscimento del Suo profondo impegno per i principi della libertà di stampa, nonché del considerevole contributo che avete già dato a questi ideali”.

“Mi sento piccola piccola – ci confida Marilù – ma voglio portare il mio bagaglio di valori e di ideali, la mia esperienza, il mio osservatorio periferico. È proprio sulle periferie dell’informazione che concentrerò la mia osservazione e la mia riflessione. Credo sia questo il senso del premio: dare una marcia in più e un giusto riconoscimento a chi, nelle estreme periferie del mondo, continua a credere nella libertà d’informazione come base della democrazia, mettendo a rischio tutto, anche la propria vita. Io, dal mio punto di vista – promette la giornalista – cercherò di dare voce a chi non ce l’ha. Ma la mia osservazione sarà rivolta, in particolare, alle donne giornaliste e alle organizzazioni che si occupano di loro”.

Sì, perché per una donna fare la giornalista oggi è davvero difficile. Lo sa bene Marilù, donna, giornalista e meridionale nonchè componente del consiglio direttivo di Giulia Giornaliste: “Le giornaliste-donna sono purtroppo oggetto di tutta una serie di minacce, di discriminazioni, di mobbing e atteggiamenti sessisti nelle redazioni. Le giornaliste vengono oggi denigrate e ricoperte di fango sui social. Le future colleghe devono prepararsi anche a respingere questo tipo di muri, muri che si frappongono tra la realizzazione di sé e quello che vogliono fare. Devono essere ancora più forti e determinate, devono stare attente a riconoscere questi atteggiamenti che spesso si manifestano in modo subdolo”.

 

Marilù Mastrogiovanni

La scrittrice non ha dubbi: “Dedico questa nomina a tutte le persone che han voglia di leggere e che credono nell’informazione come ‘bene comune’ perché l’informazione è questo. E la democrazia si fonda sulla libertà d’informazione, quindi dedico questo incarico a tutte le teste libere e pensanti”.

Il World Press Freedom Prize viene conferito ogni anno ad una persona, un’organizzazione o un’istituzione che nella sua vita ha dato un notevole contributo alla libertà di stampa (“Uno dei pilastri della democrazia”). La giuria, composta da 6 giornalisti indipendenti, uno per ogni Continente, dovrà anche assistere Unesco su questioni etiche relative alla legislazione dei media e a tutto ciò che può compromettere la libertà di espressione nei paesi e nei continenti d’origine.

Alla domanda su cosa si possa fare nel nostro paese per garantire la libertà di stampa, la giurata non ha dubbi: “In Italia bisogna cambiare le leggi. Per prima cosa bisogna far in modo che le querele temerarie si fermino prima di arrivare dinnanzi al tribunale. Questo si può fare se si costringe il querelante a versare nelle casse dello Stato una quota, ad esempio il 50% della somma che richiede per il danno. Se pensi di essere stato danneggiato e chiedi un milione di euro, devi versarne prima 500 mila allo stato. Il fenomeno delle querele temerarie, spesso usate per bloccare le inchieste e impedire a tanti freelance – la maggior parte dei giornalisti italiani – di fare il proprio lavoro, è un fenomeno in crescita esponenziale. Un fatto inaccettabile. Poi va eliminato il carcere per i giornalisti. Su questo siamo già stati redarguiti dall’Unione Europea: non è possibile che il giornalista debba rischiare il carcere per aver espresso un’opinione”.

Altro problema dei nostri tempi sono le fake news, e la direttora lo sa bene: “Questo fenomeno non ha una declinazione diversa rispetto al passato. Le bufale sono sempre esistite, anche se con i social è cambiata la modalità di diffusione. Il mestiere del giornalista deve semplicemente adeguare la sua cassetta degli attrezzi alle nuove tecnologie, ad iniziare dalla verifica delle fonti, che deve essere portata avanti con strumenti nuovi, a nostra disposizione. Non si dimentichi, inoltre, la formazione dei nuovi cittadini, a partire dai bambini della scuola primaria. Con i social media ci vuole un rapporto responsabile”.

Guillermo Cano Isaza, il direttore del quotidiano El Espectador, assassinato il 17 dicembre 1986 a Bogotà dai sicari del boss del narcotraffico Pablo Escobar

Ma allora i social sono dannazione o valore? “Tra gli apocalittici e gli integrati sono sempre dalla parte dei secondi. Non bisogna guardarsi indietro, ma si deve guardare al passato per costruire un futuro migliore. Vedo i social come valore, anche se poi dipende sempre da come vengono usati…”.

Nella sua vita Marilù Mastrogiovanni, per il suo lavoro, ha fatto scelte difficili, tanto da essere minacciata più volte dalla Sacra Corona Unita ed essere costretta a vivere sotto scorta: “Non mi piace guardare indietro. Vivo nel presente e guardo sempre avanti. Non rinnego nulla di quello che ho fatto in passato. La minaccia della SCU mi ha insegnato ad essere molto più responsabile, più consapevole dei miei doveri e a vivere in maniera molto lucida. A me piace condividere con i lettori/le lettrici la responsabilità di fare un lavoro in prima persona, perché se io continuo a fare questo tipo di mestiere è perché credo profondamente di fare un qualcosa al servizio di. La nostra è una professione che ti dà grande potere, ma deve essere messa al servizio degli altri, per il bene comune”.

Questo incarico ripaga Marilù di tanti sacrifici, la ripaga “di tutte le angosce, le paure, i dubbi” che si è fatta ogni giorno sino ad oggi, soprattutto quando ha pensato “chi me lo fa fare?”. “Sì, me lo chiedo e me lo sono sempre chiesto – dice lei -, ma mi sono sempre risposta che ne valeva la pena per potermi guardare allo specchio, per poter guardare in faccia i miei figli. Questo incarico mi ripaga perché, se a livello mondiale c’è qualcuno che crede nel lavoro che faccio e nel modo in cui ho scelto di farlo, significa che ha un valore. E non solo per me”.

Ride quando la paragoniamo – ironicamente – a Lino Banfi e al presunto incarico dell’attore all’Unesco: “Siamo tutt’e due pugliesi, ci accomuna il sorriso nei confronti della vita. Mi spiace per come è stato trattato. Non sono amante dei suoi film, ma lo apprezzo per la sua semplicità e umiltà, soprattutto quando si è messo a disposizione dell’Unicef. I social sono stati parecchio cattivi”.

La scrittrice ci saluta con un consiglio per i giovani che si approcciano al giornalismo: “Studiate, rifuggite dalla mediocrità e credete in voi stessi. Investite tutte le vostre energie, fisiche e mentali, su di voi e guardate al resto del mondo, non solo all’Italia, perché per scrivere c’è un intero pianeta”.

Nella foto in alto, Marilù Mastrogiovanni (terza da sin.) e i praticanti del master in giornalismo di Bari