Se oggi sono “emozionato nero” è merito di quei bimbi in Africa

La scoperta di un'umanità più sincera e più profonda, attraverso cui ripensare il senso stesso della vita, nel libro di Luigi Laguaragnella presentato da Primo piano al Torrione di Bitonto

Fedor Dostoevskij aveva la capacità di creare dei personaggi così realistici da sembrare veri. Attribuiva ad ognuno un linguaggio tutto suo, un modo di pensare unico e impossibile da replicare, al punto che ciascuna delle figure, venuta fuori dalla sua penna, era ed è un universo a sé, un mondo a parte. 

Non posso non pensare a Raskol’nikov di Delitto e castigo, a Aleksej Ivanovic de Il giocatore, a Stavrogin dei Demoni e a tutti quei personaggi, anche di opere meno famose, che sembrano essere dotati di spirito proprio e che, in virtù della loro diversità, non riuscono a farsi capire da nessun altro e a comunicare con nessun altro. E patiscono, nell’unicità del loro punto di vista, una solitudine insostenibile. Non a caso il protagonista di Memorie del sottosuolo dirà una frase che può essere messa in bocca a ciascun eroe di Dostoevskij, perfino al principe Myskin dell’Idiota, il solo personaggio di questo genio russo ad essere interamente positivo: “Io sono solo e loro sono tutti”.

Dostoevskij ha, insomma, compreso che ciascuno di noi ha una propria storia, una propria vita, il proprio modo di vedere il mondo e che quello che vediamo è unico, proprio perché siamo noi ad essere unici. E non ho potuto che pensare a tutto questo, ai tanti punti di vista, alla confusione di personalità e a quanto ciascuno di noi sia diverso, mentre leggevo l’inizio di Emozionato nero di Luigi Laguaragnella.

Questo mio caro collega e amico, che collabora da tanti anni con Primo piano, ha rappresentato personaggi diversi tra loro, stipati in un pullman, accomunati solo dal viaggio che stavano compiendo, verso Chibumagwa, in Tanzania. Viaggio cui ha partecipato lo stesso Luigi, come volontario insieme ai Missionari del Preziosissimo Sangue nel 2017, e di cui ha annotato tutto per non dimenticare niente. Il tempo, poi, che queste emozioni si sedimentassero in lui e ne avrebbe scritto, come in effetti ha fatto.

Eppure, non si è incluso in questo libro di viaggio, né ha raccontato tutto in prima persona. Si è eclissato e ha inserito i suoi compagni di viaggio, personaggi che appaiono subito molto diversi, e ha deciso di mescolarsi tra loro e in loro, fino a sparire del tutto, fino a confondere i propri pensieri con i loro. All’inizio del libro, assistiamo a questa tenera brigata mentre è in pullman e osserva il cielo africano di notte. C’è chi è deluso perché si aspettava più stelle, c’è chi dorme, c’è chi semplicemente aspetta di arrivare a destinazione. E, poi, c’è un bambino, Chicco, che è l’anima di questa storia, che urla e scalpita dalla gioia perché ha visto lì, in alto, nel cielo scuro, una luna gigantesca, di un colore quasi vicino all’arancione. Uno spettacolo così bello che voleva assolutamente condividerlo con gli altri passeggeri.

Luigi, in quanto educatore, sa bene che i bambini vedono decisamente più lontano e, allora, al di là dell’evoluzione di ogni singolo personaggio, oltre ciò che succede e vede e descrive, non può fare a meno di prestare sempre attenzione a Chicco, nella speranza di essere contagiato dal suo spirito, dalla sua felicità. E, come lui, ogni personaggio, a modo suo, cerca di vedere il villaggio, la natura, tutto ciò che lo circonda, con lo stesso sguardo di quel bambino, come se tutti quanti avessero inteso che l’unico che può capire quella realtà e saperla apprezzare è proprio lui. È solo lui.

Solo così, Luigi stesso ha potuto afferrare e trasferire su carta lo spirito di un popolo tanto lontano e diverso da noi. Un popolo che ha con la natura e con la terra un legame totalmente diverso dal nostro, con una vita che coincide col sorgere e col tramontare del sole. Una popolazione che ha un modo tutto suo e festoso di celebrare Dio. Un Dio che percepiscono in tutto ciò che li circonda, come fosse uno spirito che attornia e anime tutte le cose.

Questo viaggio, questa esperienza preziosa, ha cambiato la mia prospettiva su tante cose. Ha cambiato il mio modo di rapportarmi alla vita“, ha spiegato Luigi alla presentazione del suo libro organizzata da Primo piano al Torrione di Bitonto. E l’ho immaginato mentre prendeva appunti su tutto ciò che accadeva e vedeva lì, e ho compreso quanta forza e quanto tempo ci voglia a raccontare una storia così vera, così sentita. A raccogliere le idee e a dare loro una forma, a disperdere il proprio io, a frammentarlo nei tanti personaggi di questo racconto. E così, dal 2017, è riuscito a parlare di questa esperienza solo quattro anni dopo.

Luigi ha pubblicato sino ad oggi tre libri, ognuno diverso dall’altro: App PugliaStoria di Donato e di uno smartphone che gli insegnò a viaggiare (2018), Abbracci (2019), Il barattolo blu (2022). Ma con Emozionato nero si è cimentato con un genere diverso dai precedenti, a cavallo tra la letteratura di viaggio e il romanzo introspettivo. Da una parte, infatti, ha raccontato la sua esperienza, concentrandosi su una popolazione assai lontana da noi, ma dall’altra ci ha portati con lui, in un viaggio che è innanzitutto dentro di sé. Le due cose vanno per forza di pari passo.

Luigi Laguaragnella con il piccolo Chicco, protagonista del suo libro

Ci ritroveremo come un personaggio, Ermanno, alla disperata ricerca di un cielo stellato, per poi ritrovarlo solo alla fine, dopo aver terminato un viaggio dentro di noi, il nostro modo di pensare, di vivere e di concepire la vita. Questo perché solo così, solo dopo un viaggio nel nostro io, potremo tornar a riveder le stelle, come direbbe Dante. Potremo far pace con noi stessi, con i nostri ritmi, con le nostre sciocche preoccupazioni. Daremo a tutto il giusto spazio e la giusta importanza. Ad essere cambiati, alla fine, sono i nostri occhi e ci sentiremo anche noi “emozionati neri” dinnanzi ad una bellezza poetica e incontaminata, come quella dell’Africa più profonda.