“Lavoro povero = Povero paese” è l’equazione proposta dalla direzione nazionale delle Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) per sostenere che con il lavoro povero si impoverisce anche la democrazia. Una riflessione fatta a margine dei dati sui salari e sulle tutele contrattuali in Italia, che cristallizzano l’immagine di un paese che cresce in modo diseguale. È al sud, infatti, che c’è una maggiore concentrazione di lavoro povero e precario che frena i consumi e che, a fronte dell’inflazione che ha eroso redditi da lavoro e pensioni, spinge sempre più persone nella fascia di povertà relativa.
A mettere in evidenza la gravità della situazione è, in particolare, la segreteria generale di Cgil Puglia, retta da Gigia Bucci, basandosi sul rapporto della Svimez, l’agenzia per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno, che spiega come a fronte di un milione 128mila attivazioni di rapporti di lavoro in Puglia registrati nel 2022, solo 79mila erano a tempo indeterminato, 920mila a tempo determinato, il resto in forme atipiche. Quanto all’intermittenza occupazionale, sostiene Bucci: “le cessazioni di rapporti di lavoro sempre nel 2022 sono state un milione 100mila. E se si guarda nel dettaglio, 386mila rapporti di lavoro hanno avuto durata inferiore ai 30 giorni, 275mila tra 31 e 90 giorni, 191mila tra 91 e 180 giorni”.
La sindacalista spiega inoltre che “al Sud crescono soprattutto turismo e costruzioni, mentre industria, ricerca e sviluppo sono indietro”. Il settore con maggior numero di rapporti è l’agricoltura, con oltre 400mila attivazioni. “Serve investire bene e velocemente le risorse del Pnrr – conclude Bucci – e dei fondi comunitari, indirizzando scelte strategiche che dovrebbero competere alla politica, alle istituzioni e non lasciando mano libera ai privati, ai grandi gruppi, anche a quelli a partecipazione statale”.
In tema di precarietà del lavoro, nella ripresa post-Covid, dopo il “rimbalzo” occupazionale, il fenomeno è tornato a inasprirsi. Dalla seconda metà del 2021 è cresciuta l’occupazione più stabile, ma la vulnerabilità nel mercato del lavoro meridionale resta a livelli patologici. Quasi quattro lavoratori su dieci (22,9%) nel mezzogiorno hanno un’occupazione a termine, contro il 14% nel centro-nord. Il 23% dei lavoratori a temine al sud lo è da almeno cinque anni (l’8,4% nel centro-nord). Tra il 2020 e il 2022 è calata la quota involontaria sul totale dei contratti part time in tutto il paese, ma il divario tra mezzogiorno e centronord resta ancora molto pronunciato: il 75,1% dei rapporti di lavoro part time al sud sono involontari contro il 49,4% del resto d’Italia.
L’incremento dell’occupazione non è in grado di alleviare il disagio sociale in un contesto di diffusa precarietà e bassi salari. Nonostante la crescita dell’occupazione, nel 2022 la povertà assoluta è aumentata in tutto il paese, raggiungendo livelli inediti. I numeri, insomma, bisogna saperli contestualizzare. Nel 2022, erano 2,5 milioni le persone che vivevano in famiglie in povertà assoluta nelle regioni del sud: +250.000 in più rispetto al 2020 (–170.000 al centro-nord). La crescita della povertà tra gli occupati conferma che il lavoro, se precario e mal retribuito, non garantisce la fuoriuscita dal disagio sociale. Nel mezzogiorno, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022 (dal 7,6 al 9,3%). Un incremento si osserva tra le famiglie di operai e assimilati: +3,3 punti percentuali. Questi incrementi sono addirittura superiori a quello osservato per il totale delle famiglie in condizioni di povertà assoluta.
La situazione, in Puglia come nel resto d’Italia, è drammatica. Siamo diventati testimoni di un “lavoro povero” che oltre a rendere più difficile la vita dei cittadini, la pianificazione del futuro, impoverisce anche il paese, la sua economia, il suo welfare. L’Italia è l’unica nazione in Europa dove, tra il 1990 e il 2020, i salari reali sono calati, quando, contemporaneamente, altrove sono cresciuti del 30% e anche di più. I dati aggregati raccolti dal Caf Acli sulle dichiarazioni dei redditi confermano la stima Ocse di una perdita del 7% del potere d’acquisto degli italiani dal 2020. E il divario di occupazione e di reddito tra uomini e donne resta una ferita ancora da rimarginare, anche tra i dipendenti a tempo indeterminato.
Una situazione che, come spesso accade, colpisce soprattutto le nuove generazioni. Otre 100mila, tra ragazze e ragazzi, di età compresa fra i 15 e i 16 anni, vivono in condizioni di povertà, ci dice Save the Children. Si tratta di uno su 10, cioè il 9,4%. Mentre il 67,4% di loro teme che il futuro non gli permetterà di uscirne, contro il 25,9% di adolescenti che non vive condizioni di deprivazione. Non solo. Uno su quattro pensa che non concluderà la scuola a fronte dell’8,9% dei coetanei. L’analisi rileva “un drammatico divario nelle aspettative per il futuro tra i ragazzi in condizioni di povertà rispetto ai loro coetanei più abbienti“, commenta Save the Children. Indispensabile, dunque, “un piano strategico di lungo periodo e investimenti certi per contrastare la povertà minorile e restituire fiducia e aspirazioni ai giovani”
Infine le migrazioni interne e verso l’estero hanno ampliato gli squilibri demografici. Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il centro-nord (81%). Al netto dei rientri, le regioni meridionali hanno perso 1,1 milioni di residenti. Le migrazioni interne hanno interessato soprattutto i più giovani: tra il 2002 e il 2021 il sud ha subìto un deflusso netto di 808mila under 35, di cui 263mila laureati. Tra spopolamento e gelo demografico, al 2080 si stima una perdita nel meridione di oltre otto milioni di residenti. Grandi speranze vengono riposte nel Pnrr ma, forse, come ci dicono dallo Svimez, la priorità dovrebbe essere una politica attiva di conciliazione dei tempi di vita e lavoro e di rafforzamento dei servizi di welfare. Anche per invertire la tendenza pluridecennale al calo delle nascite. Cosa che questo governo dice, almeno a parole, di voler fare.