“In fegato veritas!”

In questa intervista del novembre 2020, l'ultimo libro del prof. Antonio Moschetta, premiato ieri per il valore della ricerca dal Circolo Unione di Bitonto

“Il fegato è lo specchio dell’anima. Ci dice come stiamo, se abbiamo un problema e come risolverlo. L’anima, però, come la intendevano gli antichi: l’insieme di mente e di corpo, non due entità separate, come la scienza moderna ci ha abituati a credere”. Attacca così Antonio Moschetta, il professor Moschetta, ordinario di Medicina interna all’università di Bari, quando ci accoglie nel suo studio al Policlinico. E’ appena rientrato da un tour de force tra televisioni, giornali e librerie per presentare il suo ultimo volume, già in cima alla classifica delle novità editoriali.

Un interessante e dettagliato saggio sul ruolo del fegato, il vero laboratorio del nostro organismo – come a Moschetta piace definirlo – allo studio del quale si dedica ormai da alcuni decenni. Laurea all’ateneo “Aldo Moro” nell’ormai lontano 1997, dottorato di ricerca in epatologia all’università di Utrecht, allievo del nobel Al Gilman allo Howard Hughes Medical Institute di Dallas, con una serie di riconoscimenti internazionali da Chicago a Vienna a Göteborg, il bitontino Moschetta si è imposto nell’ambito del dibattito scientifico di settore come una voce tra le più originali e genuine. Ne sono prova tutta una serie di studi pubblicati su riviste del settore insieme ad alcuni saggi destinati al grande pubblico.

“Gli antichi erano talmente convinti che il fegato fosse l’organo principale, la centralina del corpo umano, che l’avevano elevato a paradigma non solo dello stato di benessere del singolo individuo ma della salute e, quindi, della sorte di un intero popolo o di tutta una classe dirigente, magari alla vigilia di una guerra contro un nemico davvero insidioso o di una nuova legge da far ingurgitare a un senato particolarmente riottoso. Parliamo dell’aruspicina, l’arte di predire il futuro, esaminando il fegato degli animali”, spiega Moschetta.

Ci vuole fegato, la sua ultima fatica editoriale, non solo, dunque, come allusione a un’auspicabile condizione di benessere della più grande ghiandola dell’uomo (circa 1,5 kg, in alto a destra nella cavità addominale) ma anche alla capacità degli individui di proiettarsi con fiducia e coraggio verso il futuro, determinati a ritagliarsi un posto nella storia senza piegarsi alle insidie del destino.

Il volume conclude una trilogia con Il tuo metabolismo e L’intestino in testadedicata alla funzionalità dell’apparato digerente, che ha riscosso un vivo successo da parte del pubblico. In realtà, il dibattito e l’informazione sui temi relativi alla salute, con particolare riferimento agli organi e ai meccanismi deputati alla complessa e delicata funzione di metabolizzare i nutrienti necessari al mantenimento della salute, grazie soprattutto a un’alimentazione di qualità, sono oggi di grande attualità. A testimoniarlo gli scaffali delle librerie, i dorsi tematici dei giornali, i programmi televisivi che affollano ogni palinsesto. Siamo passati dall’accettazione passiva di un verdetto siglato dal medico su una ricetta con i nomi di farmaci “salvifici” alla consapevolezza che la salute si difende prima di tutto osservando stili di vita appropriati, a cominciare da un’alimentazione sana e diversificata.

Antonio Moschetta

Ma basta davvero seguire una dieta che vieti di assumere carboidrati o preveda la dissociazione di alcune categorie di alimenti, o che si basi sull’equilibrio tra blocchi di macronutrienti o privilegi i colori di vitamine, sali minerali e antiossidanti presenti in frutta e verdura, per ottenere un fisico in salute e, magari, una forma smagliante e atletica? “Certo che no!”, obbietta Moschetta, con evidente fastidio verso tutta una retorica commerciale del viver sano, con corpi perfettamente scolpiti, grazie ai rapidi miracoli promessi dall’ultimo guru del jet set internazionale o dalla nuova moda, che intreccia imprecisate tecniche di rilassamento a menu rigidamente monotematici.

“L’idea che si possa prescrivere un insieme di regole comportamentali e alimentari, un prontuario del benessere in grado di produrre risultati significativamente positivi per tutti, alla stessa maniera e in breve tempo, è assolutamente folle”, sentenzia il professore.

E chiarisce: “Le ricerche di questi ultimi anni dimostrano con sempre maggior evidenza che la nuova frontiera è la medicina personalizzata. Quella costruita come un abito sartoriale su ogni individuo. Ognuno di noi presenta caratteristiche fisiche e organiche particolari, le une diverse dalle altre. Solo un’accurata diagnosi personale, l’analisi dei singoli parametri chimici e biologici può descrivere con precisione la fisionomia di un paziente e fornire le indicazioni per una terapia in grado di ristabilire condizioni stabili di salute”“L’individuo va osservato nella sua interezza -prosegue- comprese le interazioni tra i livelli fisico ed emotivo, se vogliamo offrire percorsi riabilitativi davvero efficaci”.

Ma allora perché concentrare tutta l’attenzione sul fegato? Non c’è qualcosa di “personale” nella sua propensione a considerare dominante l’attività di un singolo pezzo dell’organismo nello stato di salute complessivo di un individuo?

“Il rischio di riduzionismo esiste. Riportare la soluzione di ogni problema alla funzionalità di un singolo organo, magari quello a cui siamo più ‘affezionati’ perché rappresenta l’oggetto quotidiano dei nostri studi, della nostra attività, delle nostre fatiche, può essere fuorviante”, si giustifica Moschetta. “Il fatto è che davvero il fegato è il laboratorio centrale, la ghiandola in grado sin dalla nascita di riconoscere e correggere con le sue cellule gli errori degli altri organi, stimolando le reazioni necessarie a evitare l’innesco di processi degenerativi, che possono produrre, nei casi estremi, esiti fatali”, chiarisce.

“Un fegato grasso, ad esempio, è il sintomo, soprattutto nelle donne, di un grave rischio diabetico. L’alterazione della sua normale fisiologia può produrre gravi disturbi cardiovascolari. Il fegato rappresenta lo snodo essenziale tra sistema digestivo e circolazione sanguigna. È la spia che s’accende per segnalare ipertensione, iperglicemia, basso colesterolo buono, trigliceridi alti. Tutti difetti che occorre correggere per evitare di andare incontro a patologie molto gravi quando non irreversibili”, sottolinea il professore.

Possiamo dirci d’accordo. Ma oggi, a fronte di tante maggiori conoscenze in campo scientifico, della consapevolezza più o meno generalizzata di dover mettere in pratica comportamenti virtuosi per mantenerci in buona salute e prevenire le patologie, a cominciare da un’accurata attività di profilassi e prevenzione, non si corre comunque il rischio che per un certo modo di condurre la sanità pubblica nel nostro paese tutto ciò possa rivelarsi inutile? Mi riferisco, ad esempio, alle lunghe liste d’attesa per questo o quell’esame o per interventi destinati a evitare l’aggravio di situazioni già compromesse?

“Non direi che le cose stiano proprio così. Negli ultimi venti anni -illustra Moschetta- abbiamo fatto passi da gigante anche in questa direzione. Riusciamo a mappare tutte le positività e negatività di un paziente in pochi minuti. Oggi, solo per fare un esempio, nella lotta all’obesità infantile siamo al secondo posto in Europa quando sino a una decina d’anni fa eravamo fanalino di coda. Ciò significa che con gli attuali strumenti a disposizione, i protocolli sanitari, le scoperte e, vorrei dire, un miglior funzionamento complessivo della macchina sanitaria, grazie anche all’intelligenza, al coraggio e alla determinazione di tanti giovani professionisti e scienziati, molti passi in avanti sono stati compiuti, con il nostro paese che può vantare un’assoluta eccellenza nella lotta a tante gravi patologie”.

Nel disegno in rosso il fegato

E prosegue: “Il coraggio e l’abnegazione di quanti sono impegnati sul fronte del bene collettivo, in campo sanitario come in ogni altro ambito, è fondamentale. Non ci possono essere risultati se non si ha il coraggio di sperimentare, di sacrificarsi, di lottare. I risultati di una ricerca scientifica sono frutto di un lavoro duro, di un lungo e incessante impegno a cui bisogna essere disposti, senza piegarsi o lasciarsi travolgere dalle difficoltà. Vorrei aggiungere che spesso si tratta di un lavoro solitario, silenzioso, portato avanti senza particolari incoraggiamenti da parte del mondo che c’è intorno e della politica, da cui ci si aspetterebbe un’opera di affiancamento e di sostegno delle risorse più preziose e dei progetti più convincenti”. E qui il discorso si fa politico.

“Quali sono state in Italia le ultime leggi degne di questo nome? Quand’è che la politica si è fatta carico di interpretare davvero le istanze dei cittadini, sollecitando il generarsi di percorsi virtuosi in grado di produrre risultati incisivi sotto il profilo sociale, dell’interesse reale della comunità?”, tuona Moschetta.

“Le ultime leggi davvero utili nel sociale sono state quelle per il divorzio, l’aborto e la legge che ha riformato il diritto di famiglia, introducendo la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Per il resto non colgo grandi traguardi, ideali o interessi collettivi tutelati. E certamente ciò che la politica produce è, il più delle volte, il riflesso delle professionalità che la compongono: gente, talvolta, reclutata nel corpo della società civile senza un reale approfondimento del background, della cultura, del consenso e persino del magnetismo in grado di infondere nella collettività. Ho l’impressione che La politica sia sempre più arte del compromesso; le capacità, le competenze sembrano cedere il passo alle ‘virtù’ di personalità meno eccellenti, ma fidelizzate a questo o quel personaggio in grado di spostare migliaia di voti”. Il professore non usa giri di parole per chiarire il suo pensiero.

Non le sembra che anche la gestione dell’emergenza sanitaria, spesso confusionaria e contraddittoria, sia rivelatrice di una certa inadeguatezza della classe dirigente?

Non si può pensare di sacrificare l’intero apparato di cui dispone la sanità alla causa, sia pure giusta e grave, di quanti sono affetti dal virus. Non si possono mettere in standby i pazienti che necessitano di cure non meno delicate o i malati oncologici, i cardiopatici, quelli cronici che non hanno alternative alla sanità pubblica. L’attenzione giustissima verso la pandemia non può esimere la classe dirigente a interessarsi delle patologie, parimenti gravi di tutti gli altri pazienti”, chiarisce Moschetta.

Il prof. Antonio Moschetta presidente di una commissione di laurea alla facoltà di medicina dell’università di Bari

Ma qui il discorso rischia di sconfinare. O forse no. “La politica non è esercizio di potere -riprende il professore- ma testimonianza di impegno per gli altri. Si può occupare anche una semplice stanza, senza alcuna insegna all’ingresso, ma svolgere uninsostituibile funzione politica semplicemente mettendosi a disposizione degli altri. Sarebbe auspicabile un impegno teso a proporre leggi utili per il paese da parte di chi si trova nelle condizioni di poter contribuire attivamente all’odierno scenario politico. Oggi, soprattutto, serve la solidarietà, vera e immediata, soprattutto nei confronti di chi per via della pandemia ha perso il sostentamento per la propria famiglia, la propria vita”.

Ma torniamo sul binario principale. All’oggetto della nostra intervista. Il fegato, dunque, come la cartina di tornasole del benessere dell’individuo. Il “test” in grado di rilevare anomalie del nostro apparato fisiologico e sollecitare le reazioni giuste per riportare l’organismo alla sua corretta funzionalità.

“É proprio quanto accade nella realtà, quella sperimentata in laboratorio e nella prassi clinica quotidiana. Il fegato è davvero l’organo rivelatore della maggior parte delle disfunzioni e delle morbilità. Il sensore di tutte le patologie che interessano il corpo umano. Ma è anche un organo generoso, disponibile, previdente. Se qualche ingranaggio nel funzionamento di un altro organo s’inceppa, il fegato produce le cellule per supplire a una simile condizione di insufficienza. E quando alcuni comportamenti errati sono causa, col passar del tempo, di patologie particolarmente serie e invalidanti, il fegato è in grado, una volta messe in atto le giuste terapie riabilitative, di invertire la rotta e aprire la strada della guarigione”, conclude il professore.

Insomma, Ci vuole fegato non è solo una frase ad effetto, un titolo azzeccato per un libro di successo. Piuttosto, un mantra benefico che nasce dalla serietà degli studi, dal lavoro appassionato, dall’autorevolezza di un ricercatore e del team con cui ha scelto di portare avanti ipotesi, progetti e teorie, in perfetta autonomia di giudizio e con l’apertura a ogni contributo che possa rivelarsi fruttuoso. Il fegato è proprio il depositario della nostra salute. Dall’antichità ai giorni nostri. A svelarcene le ragioni, questo bel libro di Antonio Moschetta.

In alto, il prof. Antonio Moschetta