I disturbi alimentari costituiscono un problema estremamente vicino ed attuale. In Italia sono più di tre milioni le persone che ne soffrono, sia uomini sia donne e delle più svariate fasce d’età. Quella compresa tra i 15 e i 19 anni è la più a rischio, ma negli ultimi anni si assiste ad un’insorgenza precoce, già intorno agli 8-9 anni.
“Vorrei chiarire subito che ho raggiunto il mio equilibrio psicofisico solo ora, in un’età più matura e adulta”, spiega Cristina. “Soltanto la vita e la consapevolezza ti fanno comprendere che non sei quello che mangi. Ho avuto la fortuna di capirlo solo dopo anni in cui vedevo il cibo come un nemico e, di riflesso, nello stesso modo il mio corpo. Attingendo alla mia personale vicenda posso dire che il capitolo disturbi alimentari è fortemente sottovalutato: bisogna capire che il cibo non è un antagonista e che mangiare bene fa stare bene, respingendo l’dea che per essere accettati dalla società serve un fisico come quello imposto dalla pubblicità o dai social. Ora finalmente se mangio un gelato o una pizza, non lo vedo come uno sgarro ma come qualcosa di assolutamente normale e che mi deve far stare serena.” Parte così, con questa riflessione su quanto occorre ancora lavorare per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento, la nostra conversazione con due ragazze barlettane, che hanno deciso di raccontare la propria esperienza perchè possa valere di esempio a tante altre coetanee. Non c’è dubbio, infatti, che solo ascoltando la voce di chi è sprofondato nel gorgo dell’anoressia, riuscendo successivamente a rialzarsi, tante altre giovani, ma anche i loro “colleghi” maschi, possano trovare argomenti sufficienti e risorse interiori per invertire la rotta e intraprendere il faticoso percorso per vivere la vita nella sua pienezza, lontano dagli schemi e dalle contraddizioni dei modelli dominanti nella società.
“Concordo con la tesi che questo sia un tema di cui si parla poco e male o, comunque, nei contesti e nei modi sbagliati”, osserva Beatrice, molto più piccola di Cristina e, forse per questo, più vulnerabile ed esposta alle influenze esterne. Ma cosa condiziona e determina maggiormente l’insorgere del disturbo? Una società che propone sempre di più il modello di una bellezza corrispondente necessariamente alla magrezza, oppure possono essere molte altre le motivazioni?
“Credo che i disturbi alimentari scaturiscano per diverse ragioni, tra cui – risponde Beatrice – gli inarrivabili standard di bellezza. L’esempio più lampante è TikTok, un social strapieno di video e trend che mostrano ragazze con fisici apparentemente perfetti, ma in realtà ottenuti tramite pose particolari o le famose ring light. Ci sono persone, tuttavia, com’è successo a me in passato, che finiscono vittime di questi disturbi non per diventare magre come le modelle di Instagram e TikTok, ma per una voglia di sparire, se così si può dire. L’anoressia nel mio caso è nata da una depressione e da un forte malessere esistenziale. Non mi volevo bene, volevo annientarmi e, come dicevo prima, sparire sia fisicamente che moralmente. Potrei definirlo autolesionismo, ma non se sia il termine più giusto.” Anche Cristina ritiene che sia davvero forte l’impatto della società, sia a livello pubblicitario sia attraverso i social: “C’è da sottolineare però che negli ultimi anni sono sorti movimenti che si battono per la normalizzazione della diversità dei corpi. Progetti assolutamente costruttivi, che aiutano molti giovani a riconoscersi anche in altri fisici che non siano quelli imposti dalla tv e dai social.”
Che peso hanno famiglia, amici scuola? Che ruolo hanno avuto nel vostro caso?, chiedo alle due ragazze. “La mia famiglia fortunatamente è intervenuta subito, offrendomi appoggio emotivo e affidandosi all’aiuto di specialisti come psicologi e nutrizionisti. Da parte degli amici, invece, non c’è stato un grande sostegno, ma – precisa Beatrice – non per loro scelta: sono stata io a volermi isolare da tutti, andando incontro alla depressione e in seguito all’anoressia. Per quanto riguarda l’ambiente scolastico, nonostante la situazione fosse abbastanza evidente anche a livello fisico, solo i docenti più attenti hanno voluto confrontarsi con i miei genitori e stabilito colloqui in cui ho potuto esprimere il mio disagio. La scuola dunque è molto importante, ma sono ancora pochi gli insegnanti realmente informati, che cercano di interessarsi più da vicino agli studenti.”
“Nel mio caso il disturbo è nato proprio a causa della mia famiglia – afferma Cristina – e in secondo luogo perché ho frequentato per otto anni una scuola di danza. Quel luogo mi ha costretto ad un continuo contatto con lo specchio, che ho odiato profondamente e con il quale ho vissuto un continuo dissidio. Per quanto riguarda la famiglia, io sono secondogenita con un fratello e una sorella. A differenza mia, loro sono sempre stati molto magri e con un metabolismo veloce. Mio padre ha sempre sottolineato la mia diversità. A tavola io non potevo mangiare ciò che mangiavano i miei fratelli e, spesso, mi vedevo costretta a mangiare di nascosto e piangendo. Non mi sentivo accettata come figlia; un disagio che mi ha causato enormi complessi. Tutto è peggiorato nel momento in cui a danza mi è stato detto che se non fossi dimagrita, non avrei potuto continuare il corso e mettere le punte. È così cominciato un periodo frenetico in cui mi allenavo tantissime ore al giorno e andavo a correre ogni mattina presto. In un anno ho perso 25 chili, ciò che ha determinato tanti problemi, tra cui uno molto grave alla schiena. La mia famiglia, dunque, ha contribuito all’insorgere del mio stato di malessere. Solo mia madre mi ha sempre supportata, riuscendo a farmi risollevare.”
È ancora tanto difficile chiedere aiuto per i giovani di oggi in queste situazioni? Nel vostro caso è stata problematica la richiesta, se c’è stata?, cerco di approfondire. “Io non ho chiesto aiuto perché non volevo essere aiutata – risponde Beatrice -; ero triste, scoraggiata, mi sono chiusa in me stessa ed ero pronta a respingere chiunque volesse sostenermi o cercare di risolvere i miei problemi. Forse non ero neppure consapevole di ciò che mi stava accadendo; ma nello stesso tempo ero molto determinata a restare in quel circolo vizioso”. E l’esperienza di Cristina converge, in questo caso, con quella di Beatrice: “E’ difficile per i giovani chiedere aiuto perché spesso non si sa nemmeno come fare, da dove cominciare, avendo paura di ammettere a sé stessi di essere un problema. Io non ho chiesto aiuto; è stato mio padre a preoccuparsi quando mi ha visto in quella condizione fisica”.
Cosa diresti ad una persona che si ritrova a dover fronteggiare una questione così delicata? “Fate sempre tanta autocoscienza – l’invito di Beatrice – perché solo riflettendo e rendendosi conto davvero di ciò che si sta vivendo, si può uscire dal disagio. Quando si è presi da amici, scuola, famiglia, il tempo che resta per fare introspezione si riduce. Ponetevi sempre queste domande: come mi sento in questo periodo? Sto veramente bene o c’è qualcosa che non va? E cercate di risponder a voi stessi in maniera sincera. In secondo luogo, se utilizzate i social, fatelo con senso critico. Io per esempio ho smesso di seguire tantissime persone che costituivano un modello assolutamente negativo, esasperando canoni di bellezza assurdi. Tra i miei ‘seguiti’ di Instagram ho lasciato solo le celebrità che utilizzano la loro popolarità per veicolare messaggi interessanti e costruttivi. È una politica di tutela di se stessi, che consiglio fortemente”.
L’appello di Cristina si può riassumere in una sola battuta: impegnarsi ad aprirsi. “Io non l’ho fatto quando dovevo e se potessi tornare indietro parlerei immediatamente con uno specialista. È importante il riferimento a persone competenti. Ma prima ancora è fondamentale trovare una persona con cui potersi sfogare. Non importa se sia un genitore, un amico, la persona amata. L’importante è trovarla, perché solo in questo modo ci si può vedere con occhi diversi, e provare a rientrare in possesso di un’immagine che sia più fedele a se stessa. Faccio un esempio a me molto caro: io ho una compagnia teatrale e i miei ragazzi nel momento in cui affrontano determinati ruoli, si dimenticano per un attimo di ciò che sono per appropriarsi della vita del personaggio che interpretano. Il processo viene concluso tornando in sé stessi e apprezzandosi per quello che si è davvero. Fate questo esercizio e vivete l’esperienza del cibo con grande serenità”.
Nelle immagini, la campagna contro l’anoressia lanciata da Star Models, agenzia di modelle brasiliane che attraverso il confronto tra i figurini e le foto delle modelle, rigorosamente modificate con photoshop, ci mostra come sarebbero queste ultime se rispettassero le “misure” dei figurini.