Esiste un luogo, uno dei tanti di confine e di confini al Sud, in cui si incrociano, s’incontrano tre regioni: Puglia, Campania, Molise. Questo vuol dire, cioè, che le tre terre sono affini geomorfologicamente, seppur non a tutti i costi identiche, perché è come se, pur assomigliandosi, cominciano a marcare le differenze. Dire Puglia, Campania e Molise, del resto, che significa? Molto e nulla. Le entità burocratiche e politiche non possono annullare le storie comuni, persino le antropologie. I confini naturali, però, sono lì a segnare i territori, a farci capire come, in effetti, anche nuove dimensioni e nuovi aspetti potranno presto sorprenderci.
La zona di cui vi parliamo, inoltrandoci poi in una di queste tre aree, è quella che vede nel fiume Fortore il suo indiscutibile e principale riferimento. Anzi, il Fortore diremmo che ne sia il re, il dominatore assoluto. Ecco che i toponimi si ripetono: Celenza Valfortore (Foggia), Montefalcone di Valfortore (Benevento, nel cui territorio comunale tra l’altro il fiume nasce), Macchia Valfortore (Campobasso). Come quasi sempre, gli aspetti geografici, paesaggistici, naturalistici donano il nome ai paesi.
È spessissimo così. È così anche a queste latitudini. E, dunque, questa zona avrà poco del foggiano delle parti del capoluogo (siamo a diverse decine di chilometri da Foggia), ancor meno avrà del resto della Campania questa estrema propaggine beneventana, idem dicasi per le varietà dell’enigmatico Molise, una terra ingiustamente ancora fuori dai circuiti turistici, persino dai ritorni d’immagine che altre aree del Sud ricevono ma che il Molise ancora non ha a dovere. Torneremo presto a raccontare questa speciale terra. Restiamo per ora negli spazi e nelle linee tracciate dal fascinoso Fortore.
Addirittura, qualche studio particolarmente coraggioso (fantasioso?) vorrebbe qui la famosa Battaglia di Canne, tra i romani e Annibale, collocandola sul Fortore piuttosto che sull’Ofanto. Mah. Qui –dato certo, questo!- la diga di Occhito, paesaggi dai colori ora tenui ora forti (stupendo l’intenso verdebosco che caratterizza queste lande), borghi minuti, alcuni sempre più in via di spopolamento. Nella parte pugliese, poco prima della diga, anche Volturara Appula, tra i comuni più piccoli e meno abitati della regione, noto per essere il paese d’origine della famiglia del premier Antonio Conte. L’area dello sbarramento del fiume dà allora vita al lago artificiale: da una parte sei ancora in Puglia, con Carlantino e Celenza (tra gli altri); dall’altra sei in Molise, con appunto Macchia e Tufara.
La balconata di Celenza ha un non sappiam che di poetico. Anzi, no: lo sappiamo. Sei come sospeso, terra di nessuno e dunque di tutti. Identità e consapevolezza comunque, c’è da dire, tanto è vero che è la zona che qualcuno avrebbe voluto autonoma: la cosiddetta Moldaunia.
Ma ecco questo ‘primo’ beneventano, se si vuole anche campano tout court, giacché qui insiste l’estremo nord est di tutta la regione che vede Napoli come capoluogo. E così come Bari e le grandi città del barese sono davvero un altro mondo rispetto a questa fetta di Puglia altrettanto ‘estrema’, lo stesso può ben dirsi della siderale distanza che caratterizza le note terre campane più densamente popolate e i contesti interni, che siano irpini o beneventani (storia lunga quella del salernitano, parte della Lucania storica).
Il Molise, no: il Molise –visto che ci torniamo?- è quasi tutto borghi antichi, magari ricostruiti (terremoti e alluvioni lasciano il segno e mutano aspetti e forse anche identità), di sicuro piccoli, spesso arcaicamente costruiti su rupi aspre ed inclinate, si pensi a Ripalimosani (Cb, appunto) ma anche ai due stessi capoluoghi di provincia, Campobasso e Isernia, pure piccoli, specie la seconda, città che in altre regioni, anche confinanti, sarebbero tra le meno abitate.
Ma ecco le cittadine beneventane che possono ammirarsi qui: le prime sono San Bartolomeo in Galdo e Baselice. Parecchio rimaneggiata la prima (comunque non priva di interesse), merita invece un’attenzione maggiore la seconda. Qui però, per prima cosa, capisci come il viaggio sia innanzitutto un fatto umano. Ovverosia, la conoscenza dei luoghi, proprio perché ‘luoghi’, spazi cioè di vita vissuta (i paesi sempre più privi di abitanti) e vivente (quelli che ci credono, resilienti diremmo), presuppone ed include un incontro antropologico. Qui –e non solo qui!- sono completamente paesaggio, un elemento del paesaggio come minimo, due anziani seduti fuori la loro casa in estate, a braccia conserte, ora dando le spalle alla gente che passa (la tv, talvolta, chiama), ora no. Il paesaggio è pure un fatto umano. E a Baselice conosciamo Michele. Ecco, Michele è un fatto umano. Ma nei paesi piccoli l’uomo è il borgo, è il paesaggio: egli non solo fa il paesaggio, lo è. Ne è l’identità.
C’è bisogno di chi crede, quasi sempre contro tutto e talvolta anche contro tutti: è il destino di chi non s’arrende al tempo che, dimentico, deturpa; ad un certo ricorso all’inestetica, ahinoi diffuso, in non rarissimi casi, anche tra i paesi che da lontano diresti pittoreschi. Capita infatti di arrivare in centri che la collocazione sul caratteristico poggio vorrebbe magari più rispettosi di un habitat, meno propensi a distruggere. Esistono paesi che confermano il sapore della vista da lontano, una volta che ci arrivi; altri che sorprendono al contrario, sembrano cioè suggestivi e poi deludono; altri ancora che disorientano al positivo, capita soprattutto a quelli a serpentina sul crinale del monte, appena semmai solo sinuosi alla sommaria scorsa a distanza e invece poi comunque circolari e labirintici insieme nella sommità più antica e primigenia. Ecco, Baselice conferma la bellezza.
E Michele, che ci porta in giro, ama, difende, tende a lottare per conservare questa bellezza. Baselice nel ‘700 fu quasi interamente distrutta da una frana e allora: non che manchino le imperfezioni, esiste anche quel po’ di selvaggio che a suo modo dice proprio un’identità, ferita. È la crepa che racconta.
Non che anche qui non ci siano state ‘superfetazioni’ (chiamiamole impropriamente così) a sconvolgere per un attimo lo sguardo, però è un borgo la cui attenzione alla salvaguardia della propria storia appare più che apprezzabile. In uno sforzo di tutela che si fa insieme storico, artistico, ma anche gastronomico, con una cura dell’aspetto relativo ai saperi e ai sapori di un territorio intero. Questa terra, il Sannio –civiltà che meriterebbe un pezzo a parte-, è non a caso una terra di noti sapori, forti ed aromatici. Una terra anche dai legami con importanti esperienze spirituali e mistiche del passato: qui gli eremi e gli spazi di preghiera del monaco medievale Giovanni da Tufara (il paesino molisano di cui si è detto), precisamente tra Baselice e Foiano di Valfortore, in pieno tratturo della transumanza, dove c’è una notevole chiesa-santuario in sua memoria, con accanto un boschetto ed il laghetto di San Giovanni a Mazzocca.
Ma qui anche una storia di ‘passaggi’, storie note per i paesi, paesi che fluttuano, che quasi rimbalzano tra le appartenenze civico-politiche per in realtà conservare un’identità di paesaggio, un concetto che va oltre tutto. E sì, perché Baselice è stata pugliese ed appartenente all’area foggiana fino ai primi dell’800 per poi approdare, con Foiano, al Molise, diventando capoluogo di circondario e poi, dopo l’Unità d’Italia, definitivamente alla provincia di Benevento e dunque alla Campania.
Cosa c’è da vedere a Baselice? Oltre all’interesse del borgo, qui davvero si segnalano il paesaggio –ancora lui!-, i boschi, le faggete lungo la strada per Foiano, quell’aria di abitata solitudine che vi si respira.
Michele è la nostra guida, appassionata. Il classico cittadino modello, attento al recupero del territorio del suo borgo, realtà che con amore contribuisce da tanto tempo a far conoscere ad appassionati ed esperti dei centri minori, del turismo di prossimità, dei cammini. Michele ha messo su un’associazione culturale, si batte con tutti per difendere strenuamente gli aspetti più caratteristici del paese, per evitarne l’abbruttimento. Sua, per anni, la cura del più importante monumento di Baselice, quel palazzo Lembo che dal 17 novembre del 2011 ha ricevuto il titolo di “Meraviglia italiana” in occasione di un’iniziativa a tema per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia. A Baselice anche il palazzo dei vecchi baroni del posto, i Petrocelli (ma il paese è stato legato anche agli immancabili Carafa). E poi, a livello religioso, da segnalare la chiesa di San Leonardo abate, della Madonna delle Grazie, di Sant’Antonio-Madonna dell’Assunta.
Qui anche un interessante museo di paleontologia, il “Mare nostrum”, proprio a palazzo Lembo. “Non è facile portare avanti il mio impegno, spesso si sperimenta solitudine, ma ci provo. Baselice è detentrice di una bellezza semplice, legata però alle espressioni migliori di questo importante territorio, fetta importante del Mezzogiorno”, spiega Michele. Ci porta ancora in giro. Ecco una costruzione in tufo abitata, come a Matera, fino a non molti decenni fa. Qui l’habitat rupestre e contadino. Qui i lasciti di una civiltà che quasi sembra respirare ancora. Michele incontra, assieme a noi, i suoi concittadini. Si capisce la stima generale verso il suo impegno.
Qualche battuta, gli amabili sfottò di paese: ma Michele è per tutti un simbolo di impegno e dedizione. Starebbe ore a parlare dei briganti del posto, delle leggende sulle streghe e sulle megere del paese, siamo del resto nella terra di Benevento, nota anche per questi aspetti, per così dire, misterici ed esoterici. Michele ti accompagna fino a quando te ne vai, ma non chiude la porta. È già pronta per il prossimo visitatore. E lui tornerà presto a parlare di una bellezza, una bellezza semplice, che viene da lontano.