Segezia, il capolavoro di Concezio Petrucci (qui l’articolo), rappresenta un caposaldo delle realizzazioni dell’Opera Nazionale Combattenti (O.N.C.). La logica insediativa urbana, sottesa dallo schema planimetrico, con gli assi viari principali ortogonali e sfalsati tra loro, in modo da inquadrare gli edifici rappresentativi che definiscono lo spazio principale, sarà presa a riferimento, in differenti varianti, da altri progettisti, per quasi tutti i borghi successivamente costruiti. Infatti, nei sei nuovi insediamenti previsti dal Piano del Tavoliere, redatto dallo stesso Petrucci, distinti nei tre centri comunali di Segezia, Incoronata e Daunilia, e nei tre borghi rurali di Cervaro, Giardinetto e Arpi, la si riscontra in diversi piani per le borgate.
Anche dal punto di vista strettamente funzionale, viene replicata l’organizzazione di Borgo Segezia, anticipata per certi versi già a Borgo Mezzanone, unica vera testimonianza tra le opere compiute dal Consorzio Generale di Bonifica della Capitanata (qui l’articolo). Il programma funzionale, che ricalca anche quello delle città di fondazione dell’Agro Pontino, riproduce i caratteri essenziali della vita urbana, quindi contiene: il Palazzo Comunale, la chiesa, la Casa del Fascio, la caserma dei Carabinieri, le scuole, l’Ufficio Postale, la sede e i magazzini dell’azienda agraria dell’Opera Nazionale Combattenti, il dopolavoro, il cinema, la locanda e qualche bottega.
Grande enfasi viene data alla Casa del Fascio, presente in tutte le borgate, come simbolo autocelebrativo del potere dittatoriale vigente e monito per i coloni da parte di chi ha eseguito l’opera. Inoltre, in tutti i piani per i borghi oltre agli edifici rappresentativi menzionati, sono previste anche le residenze, che purtroppo come successo per Borgo Segezia, non saranno mai edificate, in nessun centro rurale.
Una storia intricata segna la nascita del centro comunale dell’Incoronata. Nonostante sia tra i primi interventi di bonifica del Tavoliere di Puglia ad essere pianificato, la sua realizzazione avviene in contemporanea agli altri borghi dell’Opera Nazionale Combattenti. Già nel 1934, infatti, l’amministrazione di Foggia aveva pensato ai terreni di proprietà comunale presso l’Incoronata, come ad uno dei possibili siti dove trasferire ed insediare braccianti e lavoratori giornalieri erranti, destinati a divenire “terrazzani”: contadini addetti nelle colture messe a grano e nel maggese o impegnati nei lavori agricoli estivi. Il borgo, invece, effettivamente costruito, progettato dall’architetto Giorgio Calza Bini in collaborazione con l’architetto Roberto Nicolini, risale al 1939.
Dei due Giorgio Calza Bini aveva alle spalle già l’esperienza di un’altra città di fondazione, Guidonia (1935), centro oggi appartenente alla città metropolitana di Roma. Non solo, ma era pure docente universitario, oltre che figlio del più celebre architetto Alberto Calza Bini. Anch’egli professore universitario e, soprattutto, figura autorevolissima del Partito Nazionale Fascista, nonché segretario nazionale del sindacato fascista degli architetti, membro del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, Senatore del Regno nel 1943 e Presidente dell’Istituto Autonomo Case Popolari. Autore fra l’altro dell’Albergo delle Nazioni di Bari e del Piano Regolatore Generale del 1952 della città, in collaborazione proprio con il figlio e l’architetto Marcello Piacentini. Il fratello di Alberto, Gino Calza Bini, quindi lo zio di Giorgio, inoltre, era uno squadrista e membro del consiglio del Partito Nazionale Fascista. Vien da sé che questi rapporti di parentela avranno influenzato e non poco Araldo di Crollalanza, presidente dell’O.N.C., nell’assegnare l’incarico fiduciario di progettazione di Borgo Incoronata, proprio a Giorgio Calza Bini.
Il piano per il nuovo centro comunale è concepito con uno sviluppo parallelo all’adiacente strada statale 16 e recepisce la logica dello schema planimetrico di Segezia, contestualizzandola in modo davvero interessante. L’organizzazione è dettata, quindi, dalla vicinanza dell’importante arteria viaria e dalla strada di collegamento per il Santuario dell’Incoronata, ad essa ortogonale. Questa viene sfalsata proprio nella confluenza della piazza, in modo da inquadrare la Casa del Fascio, per chi arriva dal santuario, e la chiesa, per chi giunge dal verso opposto. Nelle previsioni di piano viene ipotizzata anche una strada, mai realizzata, parallela alla statale 16 e perpendicolare a quella per il santuario, di servizio ad un’area residenziale composta da un sistema differenziato di tipologie abitative.
La piazza, di forma rettangolare, è il cuore del borgo. Essa contiene, in posizione eccentrica, il Palazzo del Municipio che domina gli edifici circostanti per le sue dimensioni e si estranea dal resto del contesto per la sua massa materica in tufo scuro. L’edificio poggia a terra, attraverso un portico ad archi parabolici, con tre aperture sui lati corti, gli unici ad essere visibili ad una certa distanza, che sembrano simulare la “m” di Mussolini.
Intorno alla piazza sono dislocati, secondo il programma funzionale dei nuovi centri comunali, gli altri edifici pubblici, nella seguente sequenza: la caserma dei carabinieri, la Casa del Fascio, la scuola, la chiesa e la canonica, l’ufficio postale inserito tra alcune residenze, la locanda, gli uffici dell’Azienda O.N.C., lo spaccio e l’ambulatorio medico. Anche la Casa del Fascio, con il suo rivestimento in travertino scuro ed un’altezza pari a quella del Palazzo del Municipio, si distacca dall’architettura più semplice dei fabbricati limitrofi. In cima all’edificio, ancora oggi campeggia il più noto dei tanti slogan fascisti coniati dal Duce, riportato persino nell’art. 4 dello Statuto del Partito Nazionale Fascista: “CREDERE, OBBEDIRE, COMBATTERE”.
Interessante, anche se posto a margine del borgo per la sua funzione, dislocato parallelamente alla statale 16, è il fabbricato adibito a rimessa per l’Azienda Agricola dell’O.N.C., per la sequenza dei vani con fronte a capanna ed il volume di testata, che recupera i caratteri tipici dell’architettura rurale della Capitanata.
La chiesa, sebbene inclusa nel progetto originario del borgo, viene costruita solo nel 1962, secondo un progetto diverso. Dedicata a Cristo Re è collocata, comunque, nella posizione definita dal piano: come fondale della prospettiva per chi proviene dalla statale 16. In tempi più recenti è stata realizzata, con una struttura metallica, anche la torre piezometrica.
Oltre Segezia e l’Incoronata, il centro comunale di Daunilia è il terzo grande insediamento tra gli interventi previsti dall’Opera Nazionale Combattenti, che purtroppo rimarrà solo sulla carta. Il progetto del piano dell’ingegnere Dagoberto Ortensi, marchigiano, laureatosi al Politecnico di Torino, autore insieme ad altri dello Stadio Mussolini di Torino, segue un’impostazione diversa. Lo schema è un po’ più rigido rispetto a quello delle altre borgate e particolarmente divergente da quello di Segezia. Il sito sul quale doveva erigersi è quello dove oggi sorge il Villaggio Amendola, sulla Strada Statale 89, nota come Garganica, la via che collega Foggia a Manfredonia.
Il centro del borgo, che si attesta proprio sulla strada, è organizzato mediante una serie di corti, definite dalla posizione dei vari corpi di fabbrica e dai porticati che li collegano. Gli edifici più rappresentativi gerarchicamente sono disposti in modo da creare tre corti principali: in quella centrale, aperta verso la statale, vi è sul lato opposto il Palazzo del Municipio, e nelle altre due, poste di traverso e quasi chiuse, a cui si accede attraverso dei portici, sono collocati la Casa del Fascio, in quella di sinistra, e la chiesa a destra. L’impianto si articola in modo tale da formare altre corti pure sui margini delle strade secondarie. Le dimensioni del centro del borgo, inoltre, determinano, sui tre lati dove non scorre la strada principale, una trama, suddivisa con blocchi edilizi residenziali di diversa tipologia.
Nel 1940 viene progettato Borgo Cervaro, centro rurale che prende il nome dal torrente che attraversa quella zona agricola, ad opera dell’ingegnere barese Vincenzo Chiaia, padre del più noto architetto Vittorio Chiaia, che con il suo socio e collega Massimo Napolitano ha contribuito a disegnare notevolmente la Bari moderna. Il borgo è strutturato intorno ad una piazza quadrata, di circa 50 metri per lato, in cui confluiscono tre assi viari. Due di questi sono opposti e sfalsati, e tangenti ai corpi di fabbrica. Uno è centrato sul campanile, l’altro sull’edifico degli uffici comunali. Un terzo, ad essi ortogonale, invece, taglia a metà un lato della piazza, inquadrando la Casa del Fascio. In posizione decentrata alla piazza vi è un giardino alberato di forma rettangolare, il cui lato corto corrisponde alla facciata della chiesa, mentre quello lungo riprende la dimensione della Casa del Fascio.
Intorno alla piazza sono distribuiti i diversi edifici pubblici che, ad esclusione delle interruzioni create dalle strade, sono collegati tra loro attraverso dei portici ad arcate, in modo da restituire una continuità volumetrica. Questi corpi di fabbrica si susseguono in senso orario nella seguente sequenza: l’edificio per gli uffici e la direzione aziendale dell’O.N.C.,con gli alloggi, l’unico ad essere del tutto isolato; staccata da esso la scuola, legata con i portici al campanile e alla chiesa; a seguire lo spaccio e locanda, collegati da portici alla Casa del Fascio e al volume in cui trovano posto l’ambulatorio, la delegazione comunale, l’ufficio postale e la caserma dei carabinieri. Quasi tutti gli edifici sono rifiniti ad intonaco, ad eccezione dell’intero blocco della scuola, dei portici arcuati di collegamento e del basamento della Casa del Fascio, che invece sono rivestiti in mattoni rossi.
La Casa del Fascio, in particolar modo, si contraddistingue soprattutto per il suo balcone-arengario, su cui sono scolpiti a bassorilievo gli eventi che hanno portato alla nascita dell’Opera Nazionale Combattenti (O.N.C.): al centro una donna, che simboleggia la Patria, separa i soldati, i reduci e i caduti della grande guerra, posti a destra, dalle famiglie contadine interessate dalle politiche attuate per l’urbanizzazione rurale, collocati a sinistra. Immagini narranti che sembrano pagine di una versione moderna della storia, qui raccontata e celebrata, come avveniva lungo le fasce delle colonne istoriate e degli archi di trionfo dell’antica Roma.
Il bassorilievo della Casa del Fascio trova il proprio corrispettivo nel graffito murale realizzato sulla facciata della chiesa di San Giuseppe, dove in otto riquadri sono raffigurati i valori e il messaggio da trasferire ai cittadini del borgo. Tra le diverse scene rappresentate spiccano, intorno alla porta d’ingresso, una veduta della stessa chiesa del borgo, l’originaria chiesa del Santuario della Madonna dell’Incoronata e la figura dell’Arcangelo Michele. Intorno sono presenti ancora allegorie del Buon Pastore ed un’immagine di guerra affiancata ed assimilata a quella della Pietà.
Nel 1939 viene redatto il progetto urbanistico ed architettonico di Borgo Giardinetto, dall’architetto barese Marino Lopopolo. Altra personalità favorita dal regime fascista, non a caso nel 1934 a soli due anni dalla laurea, avrà il piacere di disegnare, per quell’edizione della Fiera del Levante, ben quattro padiglioni, oltre al palco innalzato sugli scogli, di fronte all’ingresso monumentale, sul quale salirà il Duce per il discorso inaugurale. Il borgo inizia ad essere costruito nel 1941e si conclude nel 1943 in occasione degli eventi bellici, quando viene utilizzato persino come accampamento dai soldati Americani. Il sito della borgata si trova nelle immediate vicinanze di quella che era la stazione ferroviaria di Troia, tra la Strada Statale 90 e la linea Foggia-Napoli, in una zona pianeggiante, alle pendici del sistema collinare del preappennino dauno; perciò l’originario nome del centro rurale comprendeva una volta pure il toponimo “Stazione di Troia”. In realtà l’area sulla quale sorge il borgo appartiene al territorio del comune di Orsara di Puglia.
L’impianto planimetrico è quello consolidato delle borgate già realizzate. Il centro del borgo qui, però, appare più come una corte urbana, definita attraverso la sistemazione articolata di corpi edilizi, che in modo fittizio formano due blocchi a “L”. Un primo ottenuto dall’aggregazione del Palazzo del Comune e l’annesso ufficio postale, legati tramite un arco alla Casa del Fascio, più il corpo della chiesa, seppur separato da una strada di accesso secondaria. Un altro ad esso opposto è la somma di un’addizione di volumi isolati, composta dall’edificio dell’Opera Nazionale Combattenti, un edificio per abitazioni e la scuola. Quest’ultima e la chiesa sono collegati tra loro, attraverso un porticato ad arcate, che divide la grande corte in due spazi, uno più grande e rappresentativo, l’altro più piccolo e di servizio alla scuola.
La strada principale che conduce al borgo e alla corte, segnata da alberi di eucalipto, inquadra la Casa del Fascio mettendo in evidenza il balconcino- arengario, su cui l’architetto Lopopolo aveva previsto la scritta “DUX”. L’edificio è ritmato da una serie di aperture sui due livelli, la cui scansione è rimarcata nella fascia intermedia da lame lapidee littorie. Tutti gli edifici sono molto semplici ed hanno una propria unità formale. Il disegno del piano per il borgo comprendeva cinque grandi lotti su cui insediare i fabbricati residenziali, ovviamente mai realizzati.
Nel paesaggio pianeggiante e sul profilo dell’Appennino dauno risalta la solitaria torre piezometrica, costituita da due solidi sovrapposti: quello inferiore in mattoni rossi con gli spigoli scarpati, assume una conformazione tronco-piramidale, che sembra recuperare gli elementi delle fortificazioni della tradizione locale, mentre quello superiore, un cilindro in cemento, rende l’opera più contemporanea.
Nel 1941 viene elaborato il piano del Borgo Arpi, che prende il nome dal toponimo di una piccola stazione della Dogana delle Pecore. Il progettista è l’architetto Pasquale Carbonara, nativo di Triggiano, nonché autore della nota “Architettura Pratica“: il famoso manuale organizzato secondo un criterio strettamente tipologico. L’impianto del borgo progettato si basava su di una strada principale rettilinea, su cui si attestavano, ortogonalmente ad essa, due strade secondarie che inquadravano la scuola e il volume isolato del battistero della chiesa. Al progetto purtroppo non seguì la realizzazione, a cui fu data attuazione solo dopo la guerra, nel 1952, ad opera del Consorzio di Bonifica della Capitanata, che però modificò il nome originario in Borgo Duanera-La Rocca.
Il borgo, costruito in modo completamente diverso rispetto al progetto del Carbonara, non è stato strutturato come i centri rurali del ventennio fascista, ovviamente privo della Casa del Fascio e di altri servizi, manca soprattutto di uno spazio rappresentativo. La borgata, infatti, è composta da una semplice strada con una serie di residenze sui lati, e la Chiesa, intitolata a San Isidoro Agricoltore e ridotta quasi ad un rudere, che gli fa da fondale. Tra gli edifici anonimi si distingue la torre piezometrica, perfettamente identica a quella di Borgo Tavernola.
Anche se si è scritto tanto e molte sono le pubblicazioni o le dissertazioni sull’argomento, la realtà dei “borghi della fossa” purtroppo non è molto conosciuta. Ne ha parlato molto, ad esempio, lo scrittore Antonio Pennacchi attraverso alcuni suoi libri come “Fascio e Martello“, in cui descrive le città del Duce: città di fondazioni del ventennio fascista, realizzate nell’Agro Pontino, nelle Puglie e persino in Libia. La copertina del libro difatti riporta la facciata della chiesa di Borgo Cervaro.
Alcuni di essi è possibile rivederli perfino nel film “Mio fratello è figlio unico” che, sebbene prende in prestito il titolo di una canzone del cantautore Rino Gaetano, trae la trama dal romanzo “Il fasciocomunista” sempre dello stesso Pennacchi. La storia ambientata a Latina, l’originaria “Littoria”, è girata anche in alcuni “borghi rurali della Fossa”: Giardinetto, Segezia e Cervaro. Nella pellicola cinematografica le riprese esterne della casa dei protagonisti, ad esempio, sono effettuate proprio fuori dalla Casa del Fascio di Borgo Giardinetto, mentre la chiesa e la scuola sono di Borgo Segezia, infine la scena della vendita ambulante è ambientata a Borgo Cervaro .
Lo stato di abbandono e di degrado in cui versano questi borghi è abbastanza evidente: una condizione davvero desolante. Un vero peccato. Un patrimonio che costituisce una vera e propria ricchezza del territorio della Capitanata, che merita molta più attenzione, non solo con semplici forme di tutela, ma con interventi più mirati ed incisivi, possibilmente con l’attuazione di un programma di valorizzazione e l’individuazione di un riuso funzionale alternativo.
Nell’immagine in alto, una veduta della piazza di Borgo Cervaro dalla strada di accesso, con la scuola, il campanile e la chiesa. Le foto sono di Mimmo Fioriello