Il gas è “la benzina” di tutte le guerre

Con il nuovo accordo per l'acquisto di gnl dal Qatar, il maggior finanziatore di Hamas, l'Italia rafforza il ruolo dei regimi illiberali e fiancheggiatori del terrorismo

In molti lo avevano denunciato a suo tempo. Ma oggi, con la nuova, ennesima fiammata di un conflitto infinito come quello israelo-palestinese, si è resa finalmente evidente l’ipocrisia che, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, spinse il nostro governo a tirare in ballo evanescenti “motivazioni etiche” che giustificassero la progressiva riduzione delle importazioni di gas russo, da sostituire con quello proveniente da altri, non più teneri e meno sanguinari, regimi.

In un mondo occidentale che, al di là delle diverse sfumature e gradi di condanna, ha unanimemente giudicato come “male assoluto” la carneficina compiuta da Hamas lo scorso 7 ottobre, l’Eni, multinazionale a controllo statale, ha firmato nei mesi scorsi un accordo che aumenterà l’acquisto di gas naturale liquefatto (Gnl) dal Qatar per 1,5 miliardi di metri cubi l’anno (bcma), che si aggiungeranno così ai 2,9 che il Cane a sei zampe ha già incassato dalla monarchia assoluta araba sin dal 2007.

Il Qatar, è bene ricordarlo, è uno dei principali finanziatori di Hamas, che sovvenziona con una cifra che oscilla tra i 360 e i 480 milioni di dollari l’anno. Con un terzo di quel denaro, il Qatar compra il carburante egiziano che il Cairo spedisce poi a Gaza, dove Hamas lo vende per le sue entrate. Un altro terzo va alle famiglie più povere di Gaza e infine l’ultimo terzo serve a pagare gli “stipendi” dell’apparato burocratico di Hamas. Doha, negli anni, ha anche finanziato la rete sul territorio che aiuta Hamas a mantenere il sostegno tra i palestinesi, nella Striscia così come in Cisgiordania e a Gerusalemme. Non è così assurdo affermare che, senza i soldi del Qatar, la popolarità del governatorato di Hamas a Gaza sarebbe probabilmente crollata, o comunque non sarebbe così salda come lo è adesso. Proprio in Qatar, tra l’altro, si trovano, al sicuro, i principali leader di Hamas.

La strategia di Doha, che ufficialmente puntava a sostenere questi movimenti (Hamas, ma anche i talebani in Afghanistan) per favorire una loro “de-radicalizzazione”, si può dire drasticamente fallita alla luce dei recenti avvenimenti, che, come sottolineato da alcune autorevoli firme israeliane di Haaretz, rendono evidente anche il fallimento di una politica, quella di Netanyahu, che in più di un’occasione ha trattato Hamas come unico interlocutore credibile con lo scopo di indebolire l’Autorità Palestinese.

Ma l’ipocrisia del gas, nella convinzione di poter combattere un dittatore (Putin) arricchendone altri, non si limita al Qatar e arriva fino alle coste di Melendugno, in Puglia. Con i gasdotti Scp, Tanap e Tap, nel 2022 è arrivato da noi più del 10% del fabbisogno annuo italiano di gas proveniente dall’Azerbaigian, che detiene il 20% del totale delle riserve mondiali. Con 491 voti favorevoli, 9 contrari e 36 astensioni, il Parlamento europeo ha condannato «fermamente l’attacco militare programmato e ingiustificato dell’Azerbaigian contro il Nagorno-Karabakh» dello scorso 19 settembre, definendolo «una grave violazione del diritto internazionale e dei diritti umani, oltre a una chiara violazione dei precedenti tentativi di raggiungere un cessate il fuoco». Oltre 100.000 armeni sono stati costretti a fuggire dall’enclave in seguito all’ultima offensiva azera e gli eurodeputati hanno denunciato l’attuale situazione paragonandola a una vera e propria «pulizia etnica».

Per questo, il Parlamento europeo ha invitato gli stati membri a procedere a una revisione globale delle loro relazioni con Baku, affermando che «sviluppare un partenariato strategico con un paese come l’Azerbaigian, che viola gravemente il diritto internazionale, gli impegni internazionali e che inoltre ha una situazione allarmante in materia di diritti umani, è incompatibile con gli obiettivi della politica estera dell’Ue». I deputati europei hanno quindi auspicato che si possa «ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas azero» e, in caso di aggressione militare o di attacchi ibridi significativi contro l’Armenia si sono detti «a favore di una sospensione completa delle importazioni da parte dell’Ue di petrolio e gas azeri».

In Italia, fra l’ottobre 2022 e il marzo 2023, il 34% del gas è arrivato dall’Algeria (25% Gnl), il 16% dall’Azerbaigian, l’11% del Nord Europa e il 5% dalla Libia. E non stupisce, anche in questo caso, che tra i primi ad aver pubblicamente appoggiato le azioni Hamas ci sia proprio il regime algerino, uno dei gangli principali della strategia dell’hub del gas riconfermata ad ogni piè sospinto da Giorgia Meloni che in questo periglioso percorso tra Paesi in guerra e dittature amiche e nemiche viene amorevolmente accompagnata da Eni. L’Algeria è inoltre un alleato di ferro – anche militarmente – della Russia che si vorrebbe boicottare ed è sospettata di triangolazioni per rivendere gas e petrolio russi “proibiti” agli stessi Paesi occidentali che fanno la fila per comprare gas e petrolio algerino.

È la maledizione dei combustibili fossili, causa di infinite guerre e ingiustizie. Una maledizione dalla quale un paese democratico dovrebbe rifuggire perché i dittatori “amici” spesso se ne infischiano di apparire “presentabili”, in Azerbaigian come in Tunisia, in Algeria come in Libia e in Egitto, con cui si continuano a mantenere cordialissime relazioni nonostante il trattamento disumano riservato agli oppositori politici. Se la crisi israelo-palestinese dovesse malauguratamente allargarsi anche ai paesi vicini, l’Italia si dimostrerà ancora una volta indifesa e in ritardo perché, invece di investire su un rapido affrancamento dalla dipendenza dai combustibili fossili, si è baloccata con vetusti “hub del gas” e con l’improbabile e costosa favola del rinascimento nucleare.