La notizia che La ragazza eterna, il bellissimo libro di Andrea Piva, non sia stato incluso nella rosa dei dodici finalisti del Premio Strega, non toglie nulla al valore di un romanzo che s’impone all’attenzione dei lettori per l’originalità della trama e la scrittura davvero accattivante. La storia, pubblicata da Bompiani, è incentrata sul personaggio di Renata, una donna avvenente ed estremamente intelligente, che scopre di essere affetta da una malattia terribile e che cerca l’aiuto di uno psichiatra, che in verità è molto più di una semplice figura professionale. Questi deciderà di sperimentare una nuova terapia, anche se ancora illegale; una terapia basata sull’uso di droghe e che, chissà, magari darà buoni frutti. Il romanzo è, dunque, un viaggio attraverso l’ignoto a cui fa da sfondo la città di Bari, con il suo fascino e i suoi misteri, che si alimentano di inimmaginabili giri di droga, alcol, gioco d’azzardo e sesso. Per spiegare la trama del romanzo, costruita fuori dai luoghi comuni e ricca di imprevedibili sviluppi narrativi ma anche sorretta da una certa vis comica, nonostante l’argomento, abbiamo intervistato Andrea Piva.
Con questo romanzo lei torna a parlare di Bari, dopo la sceneggiatura de Lacapagira, il film girato nel 1999 da suo fratello Alessandro. Cosa la spinge ad ambientare i suoi testi in questa città?
Innanzitutto il fatto che ci sono cresciuto. Io sono nato a Salerno ma quando avevo sei o sette anni la mia famiglia si è trasferita a Bari. E poi negli anni ho sempre considerato questa la mia città, anche se Salerno mi è rimasta nel cuore: e ogni volta che ci vado, sarà la suggestione sarà che ho ancora tutti i parenti lì, sento che una luce d’amore m’investe.
Tra i temi sviluppati nelle sue opere, che siano letterarie o cinematografiche, vi sono il consumo di droghe e il gioco d’azzardo. Si ispira a vicende o a persone che conosce?
Tutto quello che scrivo deriva dalla mia esperienza di vita. Del resto la droga e il gioco d’azzardo sono realtà molto più diffuse di quanto si pensi. Fanno parte integrante del mondo che ci circonda. L’alcol, che è tra le droghe più impattanti e pericolose in assoluto, ha una diffusione capillare nella società. Quanto al gioco d’azzardo, non conosco una persona che non ne sia in qualche modo coinvolto: il pokerino con gli amici, il gratta e vinci, le slot machine, la borsa, le lotterie…
La protagonista del suo ultimo romanzo, Renata, è una fuoriclasse: per questo, forse, lo psichiatra Boccia si è convinto che con lei sia impossibile una relazione. Ma quando Renata suona alla porta del suo studio, rivelando di essere affetta da un male senza speranza, Boccia pensa di doverla aiutare, sperimentando la terapia psichedelica, illegale in Italia ma della cui efficacia è convinto…
Questo romanzo è un viaggio dentro la psiche umana, le sue sofferenze ma anche le sue possibilità di miglioramento e di ripresa. Esiste ormai una vasta letteratura scientifica che dice chiaramente di come un’esperienza psichedelica in ambiente controllato, sotto la supervisione di uno psicoterapeuta, possa mutare in meglio l’atteggiamento dei malati terminali (e non solo) nei confronti della morte. Le esperienze più riuscite riducono l’ansia e aiutano a elaborare più serenamente la tragicità di una condizione così difficile. Si tratta di un approccio che in Svizzera, Canada e Australia sta diventano legale. Da noi ci vorrà un po’ di più, soprattutto per questioni politiche, ma i risultati ci sono e prima o poi diverrà pacifico in tutto il mondo che gli psichedelici sono una grande risorsa per la nostra specie. Faccio notare comunque che nella mia storia è uno psichiatra, esperto della materia, che si propone di usarne nella terapia con una persona a cui tiene tantissimo, come atto di disobbedienza civile per motivi compassionevoli. Non un uso scriteriato di queste sostanze potenzialmente pericolose oltre che illegali.
Quali caratteristiche dovrebbe avere nella vita reale chi si trova ad affiancare una persona costretta ad affrontare un momento così doloroso della propria vita?
Empatia, soprattutto. Si deve essere in grado di proiettarsi nella condizione di chi sta male per riuscire a essere d’aiuto. Poi non è detto che chi sta male sia disposto a farsi aiutare; ma questo rientra nelle normali dinamiche di gestione personale del dolore.
Quando e come nasce l’idea del romanzo?
Quando mio padre stava morendo chiesi aiuto a diversi medici per sapere come preparare la nostra famiglia all’evento, e soprattutto come preparare lui all’idea di doverci lasciare, e venne fuori che a parte qualche illuminata e compassionevole iniziativa privata questo è un argomento tabù. La verità è che le persone vengono lasciate da sole. Mi sembrava una cosa tanto assurda che ho pensato di fare ricerca sul tema e provare a scriverne.
Quali riscontri ha suscitato il romanzo?
Spero che induca la gente a riflettere sul fatto che la morte è un grande rimosso nella nostra cultura. Viviamo come se dovessimo vivere per sempre, e questo secondo me genera numerosi malfunzionamenti psichici. Soprattutto, spero che aiuti a combattere il pregiudizio che ancora resiste, anche in ambiente medico, nei confronti di sostanze come l’LSD o la psilocibina. La scienza ci sta dicendo che sono una risorsa, e noi abbiamo il dovere di ascoltare la scienza piuttosto che i nostri pregiudizi, spesso del tutto insensati.
I temi affrontati nella sua opera sono “sdoganati” in libreria ma tutt’altro che normalizzati nella società in cui viviamo. Lo stesso si può dire del romanzo “Una vita come tante” di Hanya Yanagihara, il cui protagonista deve affrontare molti eventi dolorosi, come la morte del proprio compagno o il tema dell’abuso su minori. Come portare il dibattito all’interno della società?
Parlandone il più possibile nelle nostre opere, nei nostri libri, nei film, negli spettacoli teatrali. Non sarà magari oggi, ma lentamente il discorso prima o poi si innescherà. Siamo meno stupidi di quanto sembra.
La ragazza eterna è definita una commedia, sebbene le tematiche affrontate siano complesse...
Io personalmente non definirei il romanzo una commedia. Però, come sa, il termine è ambiguo nella percezione dell’uomo comune forse già dai tempi della grande opera Dantesca. Alla fine tutto è commedia, soprattutto nella postmodernità. Però quando oggi ci si riferisce al mio libro parlando di commedia credo si guardi al fatto che sebbene tratti temi molto seri e molto seriamente, si tratti anche di un libro allegro, in un suo modo strano.
Se le proponessero di realizzare un film, saprebbe già a quali attori affidarsi per i personaggi principali?
Ci sto pensando in questi giorni ma devo dire che no, al momento non ho ancora individuato i volti che mi piacerebbe vedere nei ruoli dei due protagonisti. Ma certo una nuova esperienza cinematografica mi farebbe davvero molto piacere.