Una galleria di “caratteri” nell’era dei social

"Il narcisismo digitale" di Agostino Picicco, presentato alla Libreria del teatro di Bitonto, è un'analisi sagace e ironica sul dominio dello smartphone

Ultimamente mi ritrovo a pensare molto a Tolstoj e ad una pagina di Guerra e pace, che lessi frettolosamente quand’ero ragazza e che non mi trasmise poi granché. Un momento capitale della vita di uno dei suoi protagonisti, il principe Andrèj: sta per morire (o almeno così sembra) durante la battaglia di Austerlitz, quella in cui i russi persero contro Napoleone, e fissa il cielo. Si rende conto in quel momento di quanto tempo abbia perso inseguendo la gloria, le medaglie, l’ammirazione dei suoi contemporanei, e di come questo suo barcamenarsi in faccende di poco conto l’abbia distolto dal guardare il cielo. Gli appare immenso e si sente piccolo, impercettibile, ma questo non lo spaventa. Lo rasserena. Per un attimo, in quella sua esistenza vuota, si sente realmente felice. Ripenso a questa scena e mi vengono in mente le tante occasioni che posso aver perso anch’io. A quanti tramonti, a quante giornate spensierate, a quanti sorrisi ho potuto rinunciare. E a quanti rinuncerò ancora, nello sciocco proposito di inseguire i moti dell’animo o, chissà, magari semplicemente per distrazione.

La verità è che questo capita molto spesso a tanti di noi. C’era in treno, qualche tempo fa, una signora che si guardava intorno cercando di incrociare lo sguardo di qualcuno disposto a parlare con lei. Tutti, però, erano impegnati a guardare il telefono o ad ascoltare la musica. Altri ancora leggevano e non facevano caso a questa donna con il cappello lilla e il cappotto in tinta. Che, alla fine, disperata, per attirare la mia attenzione mi ha sfiorato il braccio. Allora, ho sollevato lo sguardo dal libro che stavo leggendo e mi sono messa in ascolto della signora. Lei mi ha detto, tra le tante cose, che è difficile parlare con qualcuno oggigiorno e che, fino a qualche anno fa, si poteva conversare amabilmente con gli sconosciuti. “Sono le conversazioni più belle quelle nate per caso e per sfuggire alla noia“, osservava, togliendosi il cappello e mostrando un gigantesco fiore ricamato sul lato. Certamente aveva ragione, ma io volevo leggere.

In realtà, la signora mi ha offerto l’occasione per farmi lo stesso interrogativo cui mi obbligava Tolstoj. Quanto ci perdiamo stando al telefono? Agostino Picicco – giornalista di Milano, ma nato a Giovinazzo – nel suo libro Il narcisismo digitale: la sfida di non perdere le relazioni, presentato alla Libreria del teatro a Bitonto, si pone in un certo senso lo stesso problema. Si chiede in che modo ci si relaziona in questa era dei social e in quale maniera si possono salvaguardare le relazioni. Siamo animali sociali (o politici, se vogliamo dar fede ad un certo filosofo) e, in quest’età narcisistica, come ci relazioniamo? Cambiando il medium, cambia il modo in cui ci si relaziona. Va da sé, eppure tante di quelle amicizie che stringiamo sui social non sono naturalmente vere e lo sappiamo. Possiamo avere tantissimi amici fu Facebook e molteplici follower su Instagram, ma sentirci soli nella vita di tutti i giorni. Possiamo dialogare tramite il pc e, poi, dal vivo, non sapere che dirci. Magari, non ci si vede da una vita, ma pensiamo bene di sprecare quell’occasione messaggiando con chicchessia su WhatsApp.

Il telefonino dovrebbe servire per comunicare, non per isolarsi” scrive Picicco all’inizio del suo libro. Eppure, il suo non è un trattato moralistico sull’argomento. Semplicemente, parte dal presupposto che qualcosa magari si è perso, ma è inevitabile ogni volta in cui si guadagna qualcosa. Allora, che fa l’autore? Qualcosa di molto intelligente, che fece ai tempi Teofrasto, nella sua opera i Caratteri, per indicare le diverse tipologie di maschere nella commedia greca. Osserva la realtà per quella che è con il suo occhio indagatore (per non ripetere giornalistico) e non manca di mettervi una punta di ironia, che mai come in questo caso è una manna dal cielo (non dimentichiamo che il rischio è sempre quello di elogiare tempi lontani nei quali si mandavano le lettere, si andava a cavallo, si faceva il giro del mondo in ottanta giorni, di incappare in affermazioni prosaiche, retoriche, pensieri appartenenti all’epoca preindustriale).

Il giornalista Agostino Picicco

Nella sua acuta e divertente disamina della realtà, l’autore rileva “i prezzemolini”, “i livorosi”, nota come agiscono i giovani, i nonni, come si approccino ai diversi social, l’attenzione alle richieste di amicizia, alle notifiche, la necessità di restare costantemente connessi, quasi fosse un reato lasciare il telefono a casa o non rispondere ai messaggi che arrivano costantemente. Non c’è processo che non individui e che non passi in rassegna, finendo col fare uno studio preziosissimo su grandi e piccoli, su connessi e non connessi, su persone di ogni ceto e grado, su una realtà che nella sua straordinaria polisemia finisce col riversarsi sui social e mutarli, finendo a sua volta col mutare insieme a loro. Una volta che è cambiato il medium e abbiamo questa sacrosanta connessione internet, abbiamo possibilità infinite. Ma la dipendenza da questi apparecchi è tale da aggiungere agli innumerevoli vantaggi altrettanti svantaggi.

Non è un mistero che adesso, accanto ai semafori, vi siano a terra delle luci in grado di comunicare a chi ha costantemente la testa riversa sui telefonini se può attraversare o meno, a seconda del colore che intravede. Si tratta di una novità che arriva dalla Corea del Sud, dove sono stati tantissimi i casi di pedoni investiti dalle auto o dalle biciclette, perché non guardavano la strada e non prestavano attenzione ai semafori. Come dicevo prima, quando qualcosa si guadagna, altro si perde. Quella cui cerca di spronarci l’autore è una presa di coscienza. Attenti – sembra dirci – a non smarrirci, a non farci assorbire tanto dai telefoni, a non perderci momenti preziosi, a non dimenticare le cose importanti.

Ci troviamo ad essere come tanti principi Andrèj in questo momento storico, distratti da cose futili, rischiamo di renderci conto troppo tardi della bellezza delle cose che ci circondano e che inevitabilmente ci perdiamo. Perciò, ogni tanto, seguiamo i consigli dell’autore e lasciamo il telefono a casa, andiamo sul mare, guardiamo il tramonto, lasciamoci cullare dalla consapevolezza che siamo vivi e che questo è quanto di più bello potesse capitarci.