Siamo al terzo giorno di rassegna e, nonostante sia lunedì, Bari è ancora in festa. Tutte le persone che incontro in centro hanno sulla bocca un film appena visto o quello che vedranno a breve. E con i libri presentati al Margherita sotto il braccio, vanno in giro con occhi sognanti.
“Quanti bei film quest’anno. Non avevamo da un po’ di tempo un’edizione così bella, così ricca di film e di ospiti“, confessato una signora incontrata in treno che non vede l’ora di assistere alla proiezione de Il sol dell’avvenire, in programma giovedì al Petruzzelli. “Ci sarà anche Nanni Moretti, ma spero che non legga il suo diario come fece qualche anno fa” mi sussurra, ridendo. Mi ricordo bene di quando il regista venne a Bari per Caro Diario e, alla fine del film, invece della consueta intervista ci fu la lettura interminabile degli appunti relativi alla sceneggiatura, mentre il pubblico – e tra questo anch’io – mostrava segni di insofferenza.
Sono emozioni che non si possono dimenticare; che rimangono in circolo anche dopo parecchi anni. Oggi, per esempio, è stato proiettato al Petruzzelli un film che non credo avrei mai visto in altre circostanze e che ha davvero commosso il pubblico, sparso tra la platea e i primi ordini. Una pellicola storica, ambientata nel ’39, all’inizio della seconda guerra mondiale. Ma racconta qualcosa di profondamente diverso dal solito.
Lubo (l’attore Franz Rogowski), il protagonista che dà il nome alla pellicola, è un artista di strada che nel 1939 viene reclutato dall’esercito elvetico per difendere i confini nazionali dal rischio dell’invasione tedesca. “Il momento di svolta, potremmo dire – commenta il regista Giorgio Diritti, subito dopo la proiezione del film e gli applausi scroscianti – è quando questo bravissimo artista, così poliedrico e sensibile, scopre che mentre è al fronte a combattere, sua moglie muore nel tentativo di salvare i suoi tre figli. Una vicenda che non ha confini temporali e che riguarda un popolo a cui non viene mai dato il giusto peso nelle cronache e nelle scuole“.
Il regista si riferisce al popolo Jenisch, chiamato anche Yenishe, la terza maggiore popolazione nomade europea, dopo Rom e Sinti. Un popolo perseguitato per tantissimi anni perché ritenuto inferiore e non solo dai tedeschi. “La tragedia di questo popolo è legata alla Svizzera che, come tutti sappiamo, si rese neutrale durante le due guerre mondiali, salvando molte vite durante la seconda. Al tempo fu uno scandalo che quel paese torturasse un popolo inerme“, spiega Fredo Valla, sceneggiatore della pellicola che si è occupato nel corso della sua carriera soprattutto di documentari.
In Svizzera sono avvenute le più gravi persecuzioni ai danni di quell’etnia. E’ la quarta nazione al mondo con il maggior numero di Jenisch: circa 35 mila individui, di cui 5.000 nomadi. “Il governo, già da prima che scoppiasse la guerra, voleva che questo popolo si estinguesse. Così furono sottratti i figli con l’intenzione di disintegrare il nucleo familiare e contrastare la cultura, la lingua e i modi di vivere. Tutto ciò in nome dell’eugenetica, che non era una velleità esclusiva dei nazisti, ma un disegno ben preciso che interessava i popoli bianchi dell’Europa” spiega Diritti. Lubo è un uomo estremamente forte e fiero delle proprie origini. Non appena viene a conoscenza della sorte della moglie, si mette alla ricerca dei figli, in un viaggio interminabile, che terminerà solamente quando avrà ottenuto giustizia, per sé, per il suo popolo e per tutti coloro che vengono uccisi in quanto diversi.
“Lubo è un vero eroe – commenta il regista – non si piega mai, non si arrende, non desiste, rivuole i figli ad ogni costo. Soprattutto, non capisce perché si vuole cancellare la sua razza. Si ritiene un abitante del mondo. Non ha idea che il mondo possa essere tanto crudele con i più deboli“. Nel 1926, in Svizzera furono avviati dei programmi statali, di cui era responsabile Alfred Siegfried, per ridurre il popolo Jenisch. Venivano sterilizzate le madri, vietato il matrimonio, presi i bambini che giravano per le strade e fatte perdere le loro tracce per sempre. Venivano definiti “vagabondi” dal popolo svizzero e considerati una piaga sociale. “Come accadde in Germania con gli ebrei – spiega Valla – un popolo inerme venne accusato di tutti i problemi della Svizzera. Fu costretto a migrare o, peggio, a morire, in nome di un ideale folle come quello della purezza della razza. Sono certo che questo film possa contribuire a fare chiarezza su quanto è accaduto e su quanto ignoriamo del passato. Quello che viene sintetizzato nei libri di scuola è ben poca cosa rispetto alla realtà“.
“Quella che ho raccontato è una storia a lieto fine. Ma tante altre hanno avuto un finale tragico. Saperlo ci aiuta a capire quanto sia importante restare uniti e non farci abbindolare dai politici che inneggiano all’odio. Il Federico Fellini Platinum Award for Cinematic Excellence assegnato a ‘Io capitano’ è un premio meritatissimo. Garrone non ha diretto che capolavori, ma con questo film ha raccontato il presente e il dolore di chi soffre a pochi chilometri da noi. Non dobbiamo mai tradire il nostro senso di umanità. Non c’è nulla di più prezioso” conclude Diritti.
Nella foto in alto, Franz Rogowski interprete di “Lubo”