S’alza il sipario sul Bif&st ed è subito Felicità

Il film di Micaela Ramazzotti, premiato per la fotografia, è un potente affresco degli affetti e delle contraddizioni della famiglia dei giorni nostri

Con che film straordinario si è aperta la quindicesima edizione del Bif&stFelicità è uno di quei rari capolavori del nostro cinema, passati sotto silenzio, poco chiacchierati, poco discussi. Una di quelle magiche stelle comete, destinate a rischiarare il firmamento della produzione cinematografica.

In realtà, il festival barese sembra essere stato ideato proprio per aprire gli occhi dello spettatore, per spronarlo a vedersi intorno. Lo potremmo definire un momento di apertura al nuovo. Non è un caso, infatti, che il filo conduttore della rassegna sia un famoso motto di Socrate: perché ci sia un cambiamento non bisogna distruggere il vecchio ma costruire il nuovo. Il nuovo ha bisogno di tempo per rafforzarsi, consolidarsi, per assumere una facciata rispettabile. Il film parla proprio di questo: della necessità di rivedere le nostre priorità e le nostre posizioni.

La protagonista, Desirèe, è un personaggio incredibile. Così forte, eppure così fragile, sensibile. “Pensavo da tanto tempo ad un personaggio così, pieno di contraddizioni, eppure fedele a se stessa. Una persona cui non si può non voler bene, ma che viene costantemente sottovalutata e, spesso, maltrattata dai suoi genitori e dal suo fidanzato, che assumono i connotati di aguzzini“, spiega Micaela Ramazzotti, interprete di Desirèe e regista del film. La pellicola, però, proiettata nello scintillante Petruzzelli, in questa prima giornata del festival, si concentra soprattutto sul rapporto tra i due fratelli, Desirèe e Claudio (Matteo Olivetti). Due persone tanto diverse, unite però da un grandissimo affetto. Il loro è il solo rapporto autentico, l’unico che alla fine si salva in questa bolgia di falsità e pregiudizi, in cui tutti badano all’apparenza e a ciò che conviene loro.

I due fratelli si ritrovano spesso soli, anche se – come si comprenderà nel corso del film – la persona più sola e, nonostante tutto, sempre incompresa è proprio Desirèe, che non a caso è la sorella maggiore. E’ abituata a vigilare sul fratello più piccolo, a scorgere ogni più piccolo segnale di malessere e a non sottovalutare mai il suo dolore, cosa che i suoi genitori fanno costantemente. Forse perché temono che quel dolore riveli il loro fallimento educativo.

L’idea era quella di raccontare la storia di un fratello e di una sorella. Il loro rapporto dal punto di vista della sorella maggiore. Racconto una famiglia matta, potremmo dire, disfunzionale, piena di pregiudizi, dove i genitori sono i carnefici dei figli. Vi è una profonda distanza tra loro, una distanza che non si può colmare. I figli vorrebbero, ma non riescono a stabilire un dialogo“, prosegue Micaela. I genitori urlano (specie il padre) e non danno possibilità ai figli di esprimersi. Sono invidiosi della loro giovinezza e di tutte le possibilità che si schiudono davanti a loro.

Temono che possano riuscire lì dove loro hanno fallito e vogliono, sotto sotto, che i figli commettano i loro stessi errori. Eppure, sono anche gelosi, perché vogliono che siano loro riconoscenti, che ogni loro successo sia ascrivibile all’interno della loro sfera di influenza, sia in qualche modo determinato da loro stessi, dal modo impeccabile in cui li hanno educati.  “Due personaggi con tantissimi limiti. Non li si può che detestare. Fa rabbia – osserva l’attrice – perché in loro si vedono alcuni tratti peculiari di tanti adulti, che sacrificano i figli sull’altare del loro ego”. 

Fortunatamente, Claudio ce la fa, riesce a superare la sua grave malattia, che l’aveva indotto a un tentativo di suicidio. Ma Desirèe continua ad essere sola, sempre più sola, sempre più incompresa da chiunque la circondi. Perfino il suo fidanzato (Sergio Rubini) non riesce a capirla, la sottovaluta, la sminuisce. E’ un professore universitario, che dalla cultura non ha tratto alcun insegnamento, se non motivi per ergersi a giudice.

“Il personaggio di quest’uomo mi è uscito così bene proprio perché non mi assomiglia affatto. Un egoista, un pusillanime. Non vuole davvero scorgere l’interiorità della donna che ama“, spiega Rubini. Gli piace guardarla dall’alto, giudicare la sua famiglia senza rendersi conto di quanto la ragazza sia stata manipolata dai genitori e da quanti l’abbiano circondata. Di come le sia stato insegnato ad adoperare l’arma del sesso per difendersi e farsi benvolere. “Un codardo che, alla fine, preferisce lasciare Desirèe e mettersi con un’altra donna, perché la solitudine implica l’autocritica, e proprio non riesce a mettersi in discussione“, prosegue Ramazzotti.

Il cast di “Felicità”: da sin. Matteo Olivetti, Anna Galiena, Micaela Ramazzotti e Max Tortora

L’attore non è un imitatore, voglio sia chiaro. Cerca al proprio interno il personaggio che deve interpretare. In ogni luogo ci mette un po’ di se stesso. Ogni attore è un autore“, spiega Rubini e la regista racconta di come si sia cucita addosso la donna che ha interpretato, di come sia intimamente connessa al suo essere. “Quello che maggiormente mi colpisce e mi ha fatto innamorare del tuo personaggio – racconta Felice Laudadio, il direttore del festival, vestito di nero e con la sua immancabile sciarpa – è che non si arrende mai. Ha una tenacia incredibile, è un inno alla vita. Continuerà a lottare contro tutto e tutti in nome dell’unico amore che conosce, per inseguire un po’ di felicità. Non poteva esserci titolo più adeguato“.

Il film è stato premiato per la fotografia, ma avrebbe meritato molto di più. Si tratta di un’opera che racconta in maniera incredibile il presente, con una protagonista che è simbolo e icona di questo nostro paese, delle nuove generazioni, della solitudine di chi è diverso, fedele a se stesso, e non ha amici cui raccontare le proprie fragilità, ma che, nonostante tutto, riesce a farcela. Solo che la felicità risulta essere un traguardo ben lontano.

Nella foto in alto, Luca Bigazzi, direttore della fotografia, Micaela Ramazzotti e Sergio Rubini, protagonisti di “Felicità”