Un prezioso volumetto in cui si concentra tutto il senso di incanto e di inquietudine espresso dal maestro nella silloge di graziosi epigrammi e incantevoli nudini, acquerelli dipinti in punta di pennello. Retouches (edito da Progedit), con la prefazione di Raffaele Nigro e la postfazione di Chiara Cannito, è l’ultima fatica editoriale di Michele Damiani. Logico e coerente corollario di un lavoro sempre orientato alla provocazione, alimentata da mordace acume: “Il mio incerto cammino nella terra difficile della creatività dura da così tanto tempo che unica via di fuga è la rassegnazione”, come spiega l’artista.
Protagonista del muralismo negli anni ottanta, autore di numerose personali in Italia e all’estero (Giappone 1987, Miami 2000, Reims 2009) nonchè di poesie, racconti e libri d’arte, attraverso il segno e la forma, Damiani s’interroga sulla figura dell’artista: “Abbi pazienza/collezionista/ogni artista/ altro non è/che un patetico illusionista”, leggiamo tra le righe.
I libri d’arte, quelli veri, quelli belli, non hanno molto bisogno di essere spiegati. Semplicemente si offrono, in tutte le loro, più o meno, celate riflessioni etiche ed estetiche. Chi fa parte di quel complesso e intricato sistema dell’arte spesso si pone interrogativi. Sicuramente tutte le costrizioni strozzano l’arte, quella pura, autentica. Perché l’arte è fatta di respiro, di intuizioni, di accurata sregolatezza.
L’artista chi è? Si chiede il maestro, facendo sagace ironia e amare considerazioni. Certamente è colui che ricerca, che non si dà freni; che persegue una strenua curiosità intellettuale e bambina, e sperimenta. Senza posa. Spesso l’artista deve essere artista dentro e fuori. Creare connessioni, farsi pubblicità. Sviluppare sforzi inauditi per la propria arte. Non basta essere bravi, avere talento; serve riuscire a sostenere la propria arte. Il maestro Damiani ha questa grande capacità, vivere nutrendosi di quella incertezza che ne fa la spinta motrice per continuare a sognare.
In questi deliziosi acquerelli si percepisce un’affascinante incompiutezza che sussurra ardore, vibrazioni e quella delicata fragilità che nasce da pensieri affastellati che si annidano nell’animo di un poeta inquieto e gentile. Tratteggio rapido, quasi distratto, timoroso, intenso, spasmodico. I disegni di Damiani sono una lirica stratigrafia dell’essere, perdutamente necessaria. Tutto si riconnette ad una suprema melodia atavica, che sconfina lo spazio, solletica la memoria, ammalia il presente.
Nei suoi tratteggi c’è una sorta di sconnessione equilibrata, nella nudità accennata a volte più esaltata, nello sbieco alluso, nel non finito o forse nella totale compiutezza. Nello sguardo che non c’è. In quel desiderio appassionato che respira quasi. E non ti chiedi più se sia la parola a indirizzare il segno o viceversa, se la forma dà lustro al pensiero o all’assenza. Sembra a volte di leggere dei grovigli, curve senza regola; quasi di ascoltare battiti frugali, rapidi amplessi, in un bianco nero raffinato che mai scolora o nella pozza cromatica che discioglie e tinteggia di passione anche solo una movenza. Intuita, accennata. A volte sfacciata.
Queste creature quasi eteree si presentano in tutta la loro dignitosa indipendenza, galleggiano in un tempo incerto. Pur nella loro imprecisa profondità si riconosce un’anima, mutevole, inespugnabile, inquieta. Il segno è spesso inchiostrato da tracce cromatiche essenziali e ritroviamo frammenti di luci e ombre, quel carattere quasi allucinatorio del mondo, quelle perplessità che attanagliano l’uomo di sempre, in un trionfo di inesorabile illusione. Dipingere l’allegria è facile – scrive il maestro nei suoi versi – un poco di rosso e il gioco è fatto. Difficile è dipingere la malinconia, non esiste il giusto colore né in cielo né in terra.