Vi è un episodio del Purgatorio di Dante cui ripenso spesso ultimamente. Indizio di un periodo piuttosto tranquillo in cui la mente può seguire in pace le sue traiettorie. Un episodio che si sposa felicemente con le attuali circostanze e con la ricorrenza che si festeggia oggi, che ha origine da un episodio tristissimo: l’incendio nel 1908 dell’industria tessile Cotton di New York, nel quale persero la vita moltissime donne, tra cui due bitontine, le sorelle Saracino. Un episodio tra i più tristi, che ha ispirato moltissime lotte per i diritti e l’istituzione di una giornata per rendere omaggio alla donna, nella sua femminilità, e le sue rivincite.
L’8 marzo è una ricorrenza diversa da quella del 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne: oggi si celebra piuttosto la rinascita, la rivincita delle donne che, con difficoltà, si sono risollevate da una situazione complicata, nonché di tutte quelle che purtroppo non ce l’hanno fatta ma il cui ricordo continua ad ispirarci oggi.
Ma perché l’episodio tratto da un’opera scritta nel Trecento dovrebbe inserirsi in tale ricorrenza? Perché è più attuale che mai e ci mostra come la letteratura sia lo specchio dell’epoca in cui nasce. E non solo di quell’epoca, perché spesso getta una luce sui secoli avvenire. Diceva Stendhal, ne Il rosso e il nero, che il romanzo (ma possiamo benissimo parlare di letteratura) è uno specchio, appunto, che ora riprende l’azzurro del cielo, ora il fango dei pantani, rappresentando con dovizia e accuratezza il bello e il brutto dell’esistenza. La letteratura è il più preciso e accurato testimone dell’epoca e dei pensieri che circolano in un’epoca, nonché della società che agisce e che vive in quella data epoca. Non dobbiamo mai sottovalutare la letteratura. Ci dice di noi più di quanto possiamo immaginare.
Nell’VIII canto del Purgatorio, Dante – in compagnia del suo maestro e della sua guida, il poeta Virgilio – incontra un’anima che conosce e il cui nome a noi non dice granché. Si tratta di Ugolino Visconti, detto Nino, un politico assai noto ai tempi di Dante. Nino si rende conto che il poeta non è morto, non è un’anima, ma ha avuto il privilegio di poter visitare i tre regni da vivo per poterne parlare in seguito a suoi contemporanei e a noi posteri. E, allora, chiede a Dante di esortare la figlia Giovanna a pregare per lui (dì a Giovanna mia che per me chiami / là dove a li ‘nnocenti si risponde, vv.71-72) perché così potrà più velocemente accedere al Paradiso. Non gli chiede di rivolgersi a sua moglie, Beatrice d’Este, che risposata con Galeazzo Visconti l’avrà certamente dimenticato. E infatti, osserva “per lei assai di lieve si comprende / quanto in femmina foco d’amor dura“, cioè ritiene che, essendo una donna, i suoi sentimenti siano ormai passati, perché ogni tipo di passione svanisce presto quando si tratta di donne.
Ed eccoci al punto. I versi che Nino rivolge al padre della nostra letteratura appartengono ad uno stereotipo, uno dei tanti, legati all’universo femminile che circola dall’inizio dei tempi nella nostra cultura e nelle culture che ci hanno fatto da madre e da padre, come quella greca e latina. Si tratta di un pensiero talmente radicato che persino una delle arie più famose della lirica italiana lo riporta, sostenendo, per l’appunto, che “la donna è mobile / qual piuma al vento“. A tale stereotipo se ne aggiungono tanti altri, anche più antichi, come per esempio che quando una donna dice di no, in verità, vuol dire sì, come se non fosse in grado di capire se effettivamente vuole o meno qualcosa. Se fugge significa che vuol essere inseguita e se fa la ritrosa è solo per rendere più appagante la caccia per il cacciatore.
A questi cliché ne potremmo associare altri più moderni, come quel famoso detto “donna al volante, pericolo costante”, affermazione assurda visto che statisticamente responsabili degli incidenti sono per la maggior parte uomini. Altro cliché infelice e assai antico è che una donna debba occuparsi delle faccende domestiche e restare in casa, perché la tradizione le ha conferito la massima onorificenza di “angelo del focolare”. Ciò significa che, in quanto regina della casa, alla madre vada deputata la crescita e l’educazione dei figli e che, in nome di questi, debba rinunciare al lavoro e alla carriera, per non essere additata come una cattiva madre. E, purtroppo, prima era prassi (e, ahimè, lo è ancora adesso) che una donna – vittima di violenza fisica, verbale, psicologica e/o economica – non denunciasse gli abusi, sia per vergogna nei confronti dei vicini sia perché gli stessi tutori dell’ordine erano pronti a sottovalutare l’accaduto e, a volte, non accettavano neppure le denunce, specie se ad essere accusati fossero dei colleghi o dei personaggi molto noti.
Certamente, diversi problemi derivano da quel famoso libro, un bestseller tradotto in moltissime lingue, che “spiega” come Eva, la prima donna, sia stata generata dalla costola di Adamo. Per non parlare di quella bella fetta di tradizione cristiana che scriveva come fosse proprio la donna la responsabile del peccato originale. Non è stata fatta, insomma, una buona pubblicità al genere femminile nel corso dei secoli. Eppure, con fatica e con pazienza, qualche cambiamento si è visto grazie a scrittrici come Jane Austin, le sorelle Brontë, Virginia Woolf e come non citare Simone de Beauvoir?
Si è dovuto attendere, tuttavia, molto perché alla narrazione della donna si aggiungessero dei tasselli in più, che rendessero meno fazioso il suo ritratto. E ancora adesso, sarà necessario percorrere parecchia strada perché ogni stereotipo finalmente venga superato e messo al bando. Ma – è il caso di dirlo – finché non si lavorerà sulla società e sull’educazione dei bambini e delle bambine, i cambiamenti saranno lenti e non potranno neppure dirsi incisivi. Ogni discorso (e se ne fanno molti) sarà solo vuota retorica; uno sfoggio di vuote conoscenze, che non porterà nulla di buono e utile né a chi parla né a chi ascolta. A meno che, non si agisca attivamente.
Finché si tratterranno in maniera diversa le bambine e i bambini – ordinando alla prima di restare composta e di vigilare sul fratellino e la sorellina, e lasciando che il secondo possa demolire indisturbato un appartamento – finché si perpetuerà un’educazione basata sulle differenze di genere, con l’affidamento di relativi ruoli e compiti, la società resterà incagliata in queste problematiche. Le donne seguiteranno, quando potranno lavorare, a prendere stipendi più bassi (perché condizionate dal loro sesso biologico a svolgere mansioni di cura, insegnamento alla scuola materna e simili), a vedere in costante pericolo la possibilità di abortire, a vedersi recluse nell’ambiente domestico, a subire episodi di violenza da parte della controparte maschile (un tentativo di riprendersi la costola?), delle stesse donne, che troppo spesso non si uniscono in una sorellanza proattiva, e di un’intera società.
Partiamo dall’educazione, dalle piccole cose, e non vi sarà più bisogno di giornate dedicate alla donna, perché avremo finalmente conquistato la parità di genere. Saremo persone e nessuno sarà la costola di nessuno.