Monte Sant’Angelo un mito di suoni, immagini e corpo

Il trittico di Agnese Purgatorio, in mostra al Kursaal di Bari nella collettiva "Ospitalità dello sguardo", ribalta la lettura del famoso centro sul Gargano

Camminare in silenzio, tra le rupi, a piedi scalzi, scrutando luoghi, carezzando germogli. E macigni. E’ questa l’esperienza sensoriale da cui trae linfa l’arte di Agnese Purgatorio.

Ogni suo progetto artistico è rispettoso ribaltamento, ardita evoluzione, orizzonte di luce. Senza tradire, peraltro, le aspettative di quanti (come chi scrive) seguono la sua ricerca da anni. Ne è prova ulteriore il suo ultimo lavoro, presentato assieme a quello di altri autorevoli artisti (Francesco Arena, Rossella Biscotti, Silvia Camporesi, Luigi Presicce, Massimo Uberti, Bianco Valente) nelle raffinate sale del Teatro Kursaal di Bari.

Un racconto muto, da percepire, rivedere più e più volte, con paziente predisposizione armonica, concettualmente sopraffino, di quelli che fanno sempre la differenza.

Agnese, artista barese assai talentuosa, imbastisce una storia – la sua storia – intrisa di passione laica e misticismo trascendente, attraverso un progetto che nasce come residenza d’artista. Ospitalità dello sguardo il titolo della collettiva, evento articolato in tre sezioni connesse tra loro: On the road, Focus, Workshop/Lectiones Magistrales a cura  di Isabella Battista, Carmelo Cipriani e Alexander Larrarte per la Fondazione Pino Pascali, con la realizzazione di opere site specific.

Demolendo gli stereotipi, l’artista rielabora empaticamente il mito, rovesciando la convenzione in possibilità. Un’esperienza visiva e sensoriale in cui bellezza e audacia non conoscono sbarramenti. Ogni frontiera decade, in peregrinazioni scevre da formalismi e forzature tradizionali. Agnese evade dal vincolo per avviare un’inedita esperienza etica ed estetica, in cui in parte riaffiorano cenni di cicli privati ed intimi, fusi in una dimensione universale di auto-generazione. Pur essendo pienamente strutturato, il suo pensiero scivola tra le rocce come prolungamento del sé. Antropomorfizzazione suprema di un dialogo senza lettere, solo pause e attese. Ogni luogo, sentiero, presenza, animale, leggenda con Agnese Purgatorio è proposto in una dinamica descrittiva che filtra il linguaggio come pratica, riducendo al grado zero ogni tensione o ambiguità. La purezza accompagna l’anima dell’artista da sempre, un soffio leggero come quello che allevia i piedi del pellegrino tra i morbidi rovi del passato e attraverso esso persevera nella mutevolezza.

Nulla è imbrigliato tra i lacci della memoria collettiva. Agnese sgrana ogni rassicurante certezza, in una commovente e osmotica intersezione che annienta le barriere sensibili, creando dal nulla una doppia visione, senza forzatura, del tempo e dello spazio. Nulla c’era, tutto avviene, in una genesi senza dissenso ma naturalmente nomade nel suo perdersi ed evolversi. Riduzione ed espansione nella sua performance, così equilibrata, sincronica e al contempo sconnessa.

Purgatorio accorda un’esperienza polisensoriale – light box, incisione, video – in una simultaneità percettiva che dal privato si espande, contravvenendo ad ogni patto, dove il linguaggio procedurale è sublimato in un’osservazione potenzialmente infinita, senza  peso, senza polvere. Abbiamo incontrato l’artista per approfondire le ragioni di questo nuovo progetto.

Come nasce questa interessante esperienza artistica?

Sono stata invitata nella sezione On the Road, con Francesco Arena, Rossella Biscotti e Luigi Presicce. Il programma ha interessato i comuni pugliesi coinvolti nel progetto Interreg TheRout_Net. Il luogo dove pensare l’opera era diverso per ognuno dei lavori selezionati; il mio spazio era Monte Sant’Angelo. Le opere site specific realizzate dagli artisti durante i rispettivi percorsi di residenza sono state presentate nella mostra al Teatro Kursaal di Bari.

Potresti spiegare a chi non fa parte del sistema dell’arte in cosa consiste una  residenza d’artista?

Un programma di residenza offre all’artista la possibilità di lavorare in un ambiente  diverso dal luogo tradizionale di vita e di esperienza e rappresenta, quindi, una buona  opportunità per sviluppare nuove idee, produrre nuovi progetti e sperimentare metodi e tecniche differenti. Una pratica molto diffusa nell’arte contemporanea, che può  trasformarsi in una opportunità preziosa di cambiamento, rispetto alla ricerca in studio, se strutturata con cognizione e vissuta con apertura. Un modo per evitare il rischio di cadere nella banale routine o nella convenzionale ripetizione.

Quale legame identitario hai vissuto con il territorio di cui hai parlato nel tuo  lavoro? 

Da sempre con i miei progetti artistici attraverso la storia e la decontestualizzo, ribaltando il “senso ovvio” delle formule patriarcali. Durante la residenza sono entrata nella trame della memoria collettiva e delle narrazioni agiografiche di Monte Sant’Angelo per ribaltarne la visione, de-costruirne il linguaggio e reinventarlo. Ho seguito un percorso intriso di tracce, simboli, documenti non ufficiali, riti arcaici, linguaggi rituali, sperimentando forme e processi in divenire, creando un’esperienza artistica fatta di suoni, immagini e corpo/materia. Ho lavorato a partire dal mio corpo con una visione straniante e onirica, ribaltando il senso di una tradizione completamente maschile, insinuandomi nelle pieghe di quella assenza per dare “peso” e forma al femminile inesistente. Come opera site specific ho presentato un trittico formato da una pietra incisa con la scritta “SENZA PESO SENZA POLVERE”, ispirata da un verso di Mariangela Gualtieri, un light box e un video con alcune azioni performative realizzate durante la residenza.

I tuoi lavori sono sempre profondamente concettuali. Qual è una delle ultime sfide dell’arte contemporanea? 

Pensare arte e farla è già una sfida, perché è sempre più difficile sopravvivere alle mode del momento. E’ necessario avere grandi doti di equilibrismo per continuare a camminare sulla fune tesa nel vuoto. Le sfide del futuro non riguardano soltanto l’artista e il relativismo dei linguaggi, ma anche il mondo museale e, soprattutto, dove e come cercare le opere delle collezioni future. Procedere con una ricerca fuori dalla limitata e convenzionale prospettiva dei circuiti delle arti visive o accontentarsi dell’arte “mainstream” come accade troppo spesso? La risposta potrebbe arrivare ancora una volta da pratiche di adattamento a nuove forme di collaborazione, da artiste e artisti che sperimentano in luoghi geograficamente e politicamente invisibili delle periferie del mondo, perché non esiste un centro, ma il divenire e le sue contraddizioni, il fuggire per poi ritornare dal margine al centro e viceversa.

Vuoi accennare ai progetti in cantiere?

L’artista è un lupo solitario. Ulula tutto solo […] Sa dare alle sue emozioni una forma, uno stile. Fare arte non è una terapia, è un atto di sopravvivenza. Una garanzia di salute mentale”, spiegava Louise Bourgeois, la grande scultrice francese. Senza progetti un’artista scompare. Infatti ne scrivo tanti ma ne svelo pochi. Mi piace vederli crescere in silenzio, potremmo dire “a scritta alta” tralasciando la voce… per  lasciare aperta ogni possibilità di trasformazione. Le mie opere non le penso mai finite, ma in divenire, come progetti aperti verso il futuro, un futuro pieno di scritte di luce.