Sfogliando e leggendo opere di ricostruzione storica e storiografica, alcune considerazioni sorgono naturali. Prendiamo, ad esempio, la cosiddetta storia locale. Maree di produzioni e biblioteche intere, eppure, a voler essere drastici ed assertivi, non esiste, non può esistere una storia “locale” e solo locale, che possa cioè esaurirsi esclusivamente in un perimetro circoscritto: ogni evento, in ogni età, anche se apparentemente accaduto in una realtà definita e limitata, risente delle circostanze più universali.
Il nostro attacco deciso dopo la lettura di un agile volume di Gianvito Armenise, valido ed appassionato studioso di storia, cittadino di Modugno, ricercatore identitario e coriaceo nella difesa delle proprie posizioni culturali e ideali.
ll libro contribuisce incisivamente alla diffusione della conoscenza di una figura, quella dell’abile diplomatico Giuseppe Mario Arpino (1804-1855), anch’egli modugnese, mai passata al setaccio biografico. Un uomo la cui vita fu stroncata improvvisamente. Episodio su cui non poco si sofferma lo studio.
Giuseppe Mario Arpino, il diplomatico di Ferdinando II di Borbone, questo il titolo del volume, si avvale di uno stile di scrittura diretto e tecnico insieme, capace di giungere allo scopo con istintività quasi narrativa, pur senza perdere l’approccio metodologico e filologico, segno di una ricerca seria e ponderata.
Apparso qualche tempo fa per i tipi di Solfanelli di Chieti, il libro è spesso all’onore delle cronache per i diversi riconoscimenti e premi tributati all’autore. Il saggio ha ricevuto la menzione d’onore della giuria del concorso letterario La Ginestra di Firenze, e si è classificato tra i prefinalisti del premio Carlo d’Asburgo. A settembre dello scorso anno è stato premiato a Mottola, nell’ambito della manifestazione internazionale Omaggio alla Vita.
Tornando al tema di partenza, una storia, forse, localistica può semmai esistere: esclusivamente, però, nelle intenzioni mentalmente ristrette di chi la fa. Può esserci, ancora, la storia tronfiamente municipalista ma essa non sarà mai seria storia e storiografia. Così, vera storia di un luogo è quella che ammetta l’oltre rispetto alle sue immediate frontiere, lasciandosi attraversare da eventi che molto spesso non conoscono angustie di sorta e penetrano in spazi altrimenti ritenuti lontani dai più grandi contesti.
Proprio la vita del modugnese Arpino dimostra appieno tutto ciò. Un’illustre gemma del territorio e della storia del borgo di Modugno che abbraccia non solo le vicende meridionali ed italiche ma, addirittura, quelle europee e mondiali, grazie ai prestigiosi uffici ricoperti in un’esistenza spentasi all’improvviso dopo diversi onerosi incarichi. Dal particolare all’universale, insomma.
Armenise realizza un saggio frutto del suo lavoro di archivio, che presenta ipotesi nuove circa alcuni momenti della vita di Giuseppe Mario Arpino, anche relativamente a passaggi dirimenti per la storia del Regno di Napoli del tempo, con conseguenze che avvertiamo ancora oggi a livello nazionale, specie ovviamente al Sud.
Una biografia che consente, dunque, una necessaria rivisitazione storica di alcune visioni per molto e troppo tempo considerate come inviolabili ed ideologicamente protette, sganciate così semplicemente dalla storia stessa, che é sempre in formazione, regno del relativo e della falsificabilità e che permette ritorni, cambiamenti, smentite.
Si pensi al tema del presunto isolamento internazionale del Regno delle Due Sicilie negli anni più vicini all’unificazione italiana, momento come noto perseguito non di rado con strumenti violenti e coercitivi. Armenise, sulla scorta dei diretti impegni diplomatici del rinomato pugliese al centro del suo libro e successivi ai danni causati nelle relazioni con gli Stati Uniti dal sempre ipercelebrato Gioacchino Murat, non può che contraddire categoricamente questo assunto, sostenuto da tempo da parte di una storiografia politica, interessata, non aggiornata e faziosa. Murat aveva reciso quel che Arpino andrà con fatica a ricostruire.
Idem dicasi quanto all’argomento delle rilevanti azioni del governo borbonico contro gli ultimi e rantolanti poteri del baronaggio, nei cui residui godimenti feudali non appare proibitivo scorgere i caratteri germinali e persino “psicologici” di una certa protomafiosità.
Il libro – che su quest’ultima tematica si sofferma – è davvero scritto con efficace e completo metodo di ricerca, figlio della competenza sul periodo storico da parte dell’autore. Ecco spiegata anche la presenza di molti particolari biografici su Arpino, sul padre, sulla moglie: figure considerevoli e significative nella sua vita e nella vicenda civile e letteraria dell’epoca.
Ma chi fu Arpino? Nacque a Modugno nel 1804 da Agostino e Rachele Alfonsi. Iniziò i suoi studi nella sa città sotto il maestro Bartolomeo Silvestri e, nonostante le limitate risorse della famiglia, i genitori lo sostentarono a Napoli, dove si laureò con grande onore in economia e giurisprudenza. Dopo la laurea, su richiesta del padre, rimase a Napoli, esercitando la sua professione con notevole successo e guadagnandosi la reputazione di dotto giureconsulto. Nel 1829, fu nominato giudice di collegio e successivamente giudice del tribunale civile di Napoli.
Il re Ferdinando II di Borbone, informato della sua competenza, lo inviò a Londra come ambasciatore straordinario per affari di stato. Arpino svolse questo difficile incarico con saggezza e giustizia, restituendo al re gli eventuali fondi non utilizzati. In riconoscimento della sua competenza e onestà, gli furono conferite molte cariche e titoli d’onore. Arpino ricoprì ruoli come consigliere della Corte dei Conti e capo di Dipartimento a Palermo. Nel 1848, tornò a Napoli come direttore di Porto e Dogana e Avvocato generale della Corte dei Conti. Successivamente, assunse le funzioni di capo della Tesoreria del Regno e fu delegato a formulare un ‘famoso’ trattato internazionale tra gli Stati Uniti d’America e il governo delle Due Sicilie. Famoso, già. Vedremo presto il perché.
Nel 1855, a causa della sua ormai riconosciuta eccellenza, fu nominato Ministro degli Affari Esteri. Purtroppo, il decreto per la sua nomina doveva essere pubblicato il 15 ottobre ma il 2 dello stesso mese morì “inaspettatamente”, come subito si disse e pensò.
Agostino Arpino, padre di Giuseppe Mario, era originario di Vico Equense. La sua professione era quella di “venditore di panni minuti”. Sposò la modugnese Rachele Alfonsi, figlia del “magnifico notaio” Giuseppe Alfonsi. Per intenderci, una giovane donna di circa venti anni appartenente a quella ricca borghesia interprete di prestigiose professioni liberali; rampolla, dunque, di buona famiglia di quella società modugnese del Settecento a cui non erano estranee presenze carbonare e settarie. Lo stesso Agostino Arpino diventerà sindaco di Modugno dal 1817 al 1819 ed esponente della cosiddetta Alta Vendita Carbonara modugnese “Santo Spirito”.
Maria Cristina Anselmo, moglie di Giuseppe Mario Arpino, nacque a Palermo nel 1820 da Carmelo Velasquez. Suo padre fu consigliere della Gran Corte dei Conti, sempre a Palermo. Sua madre era figlia del famoso pittore Giuseppe Velasquez (o Velasco), nato a Palermo il 10 dicembre 1750 e tenuto in grande considerazione dai sovrani di Sicilia Ferdinando III, Maria Carolina, Francesco I e Luigi Filippo, re di Francia.
La donna, nel corso della sua breve esistenza, si distinse per la sua spiccata e fresca arte poetica. Giovanissima, a soli quattordici anni, compose in versi le vicende della celebre Disfida di Barletta. Un’opera che ebbe la sua risonanza letteraria e di cronaca mitico-storica. Rimasta vedova del nostro Arpino nel 1855, si trasferì a Firenze dove morì l’11 maggio 1860 e fu sepolta nel cimitero monumentale di San Miniato.
Né manca nello scritto storiografico a cura di Armenise una componente legata all’investigazione storica circa le cause della morte improvvisa del diplomatico Arpino, sin da subito giudicata ‘sospetta’. Argomento spinoso su cui l’autore, pur non prendendo ferma posizione, non sospende il giudizio alla maniera asettica. Di sicuro, Arpino poteva essere diventato scomodo e squilibrante rispetto alle dinamiche geopolitiche dell’epoca e questo va in qualche maniera considerato. Sospettata numero uno, l’Inghilterra, giacché Arpino muore pochissime ore dopo aver firmato un importante trattato di politica economica e commerciale tra il Regno delle Due Sicilie e gli Stati Uniti. E l’Inghilterra non vedeva di buon occhio alcuna politica di crescita o espansione da parte del Regno del Sud, se non in eventuale ed interessata ottica antifrancese. Un interesse che si farà sentire anche più tardi, nelle azioni e negli sconvolgimenti del Risorgimento. Siamo nel 1855 quando il nostro muore. Cosa accadrà appena qualche anno dopo lo sappiamo bene.
In alto, la mappa del Regno di Napoli in copertina al volume di Armenise