Le luci dei negozi brillano. Nelle piazze e nelle strade del capoluogo regna un’incontenibile frenesia. La corsa ai regali ha il sopravvento sulle iniziative caritatevoli promosse da enti e associazioni.
Eppure, i numerosi volontari non demordono: così, dopo le scatole della solidarietà regalate ai bambini sotto l’albero di Natale, il cenone e il pranzo degli abbracci, organizzato dall’associazione InConTra, l’epifania è stato il momento per donare centinaia di calze piene di dolci ai bambini dell’ospedale Giovanni XXIII, alle case comunità e ai condomini sociali, come ha fatto l’associazione Help.
Le festività costituiscono uno dei momenti più significativi per quanti sono impegnati gratuitamente a favore di chi vive in condizioni di disagio, a cominciare da quello causato dalla solitudine. Un fenomeno, quest’ultimo, che si nutre di quella triste abitudine all’indifferenza, di cui ha parlato con dolore papa Francesco nella settima Giornata mondiale del povero, intitolata Non distogliere lo sguardo dal povero.
“La povertà ormai si riproduce in forme differenti; è diventata un fenomeno complesso, multiproblematico. Il rischio maggiore in cui ci si sta incastrando è l’indifferenza”, ha spiegato don Lino Modesto, direttore della Caritas della diocesi Bari-Bitonto nel corso dell’incontro per presentare il Rapporto sulla povertà (leggi qui), pubblicato dall’organismo della Conferenza episcopale italiana.
L’analisi sulla povertà nelle parrocchie della diocesi di Bari-Bitonto
L’arcidiocesi del capoluogo pugliese, composta da 125 parrocchie, ha analizzato il panorama della povertà locale grazie ad un questionario a cui ha risposto il 60% delle realtà ecclesiali.
Il rapporto della Caritas di Bari-Bitonto, in linea con i dati nazionali, analizzando il 2022 e il primo semestre del 2023 conferma l’aumento della povertà. Due famiglie su tre non arrivano a fine mese. Nel corso del 2022 si sono presentate nei centri d’ascolto parrocchiali 11.844 persone e, solo nel territorio del comune di Bari, sono stati registrati 6.278 nuovi accessi di gente in cerca di aiuto. Don Lino pone l’accento sullo stile caritatevole che a volte i numeri tendono a far dimenticare: “I poveri possono commuovere, ma quando si incontra un bisognoso per strada è facile cadere in un atteggiamento infastidito. Presi dalla fretta quotidiana, non ci si prende cura di chi chiede aiuto oppure si delega con facilità ad altri un gesto di benevolenza o ci si limita all’elemosina, all’aiuto in denaro. Eppure coinvolgersi è la vocazione di ogni cristiano”.
La povertà non è solo economica
Le vulnerabilità impongono un’analisi dettagliata della povertà non limitata solo all’ambito economico, ma anche come fenomeno sociale e culturale. Nell’immaginario collettivo predomina il concetto che il ricco sia una persona meritevole, mentre lo stato di vita del povero viene visto come una colpa.
Si è portati ad etichettare troppo facilmente la povertà con dinamiche sociali che attengono al merito, conseguenza del sistema sociale ed economico che camuffa il concetto di merito. Eppure il contesto post-pandemico, i venti di guerra, il costo della vita in continuo aumento stanno creando ulteriori difficoltà per molte persone e per le loro famiglie.
Ma a dilagare è anche la povertà dei diritti, come sottolinea don Lino: “Dal rapporto si evince un problema ricorrente: quello della piaga del lavoro. Un’altra povertà, su cui è necessario riflettere, è quella legata all’ambito familiare: tra le mura domestiche si incappa in gravi conflittualità di coppia, che sfociano in maltrattamenti e violenze di ogni tipo. Per troppe persone poi, sta mancando l’accesso alle cure”.
Le tre grandi povertà: lavoro, famiglie e salute
Lavoro, famiglie e salute, gli elementi basilari per la una vita dignitosa, rappresentano le tre grandi falle della povertà, un vero e proprio ostacolo allo sviluppo della persona. Quel diritto fondamentale non garantito: “Ci si dimentica che il pane è sacro per ogni individuo e la casa spetta ad ogni essere umano”, osserva il direttore della Caritas.
Gli effetti negativi delle terribili emergenze sociali, da quelle climatiche a quelle geopolitiche, rischiano di allargare ulteriormente la forbice tra la fascia sociale dei “benestanti” e quella dei poveri, nella quale stanno sprofondando giovani e persone occupate, soffocate dal costo della vita e, in particolare, dall’impennata dei beni di prima necessità.
La rete della solidarietà si sfilaccia
I diversi fattori del progressivo aumento delle povertà sono indicatori poi di una rete che negli ultimi tempi, forse perchè sobbarcata dalle emergenze, si sta sfilacciando. Solo 35 parrocchie dichiarano di lavorare in collaborazione con gli altri enti del territorio. Ricorda don Lino: “Sta vacillando il lavoro di collaborazione tra le varie parti sociali come parrocchie, associazioni, istituzioni. Eppure abbiamo sperimentato senza dubbio che una rete del welfare più fitta diventa prezioso filtro per tamponare i complessi sistemi di povertà; la rete del sociale ha dimostrato di essere un aiuto efficace durante la pandemia. La rete di volontariato è fondamentale perché ci si deve ricordare che non ci si salva da soli, ma esclusivamente insieme.”
Aumenta la difidenza verso il prossimo
Ultimamente, invece, nel contesto sociale viene riflesso il concetto di prevaricazione, di difesa, dalle guerre tra popoli in atto a quelle interpersonali. Si va diffondendo un senso di diffidenza per il prossimo. Conseguenza di tale sentire comune è che la povertà viene relegata al di fuori fuori di ognuno di noi. Mentre, come ben precisa don Lino Modesto: “la povertà fa parte della comunità, non è una realtà esterna. E’ pienamente presente nelle realtà che viviamo: la comunità dovrebbe tornare ad essere protagonista, attuando una programmazione territoriale in cui è chiamata ad operare, sviluppando processi di empowerment, suscitando nel povero il desiderio di riscatto che possa condurlo a riappropriarsi della propria dignità; che lo aiuti a cercare il meglio o il possibile per la propria autoaffermazione.”
La mancanza di relazioni e l’uso eccessivo dei social
Occorre cambiare approccio all’idea di povertà. La propensione a creare contatti, instaurare rapporti di prossimità sono gli ingredienti per fronteggiare un’inclinazione che in modo subdolo sta impoverendo tutti indistintamente: la solitudine di cui soffre in modo trasversale tantissima gente. L’uso spropositato dei social, la proliferazione di uno stato d’animo generale aggressivo e violento in particolar modo nella post-pandemia devono far suonare il campanello d’allarme. La solitudine fa scivolare gli individui in uno stato di costante isolamento e rassegnazione, in cui davvero una persona rischia di essere invisibile e, quindi, indifferente al prossimo.
Alla base di queste riflessioni, Serena Quarta, docente di Sociologie della vita quotidiana e metodologie qualitative all’Università del Salento e ricercatrice sui temi dell’inclusione sociale, delle nuove povertà e dei giovani, non si limita a snocciolare i dati pubblicati dall’osservatorio. “Paradossalmente l’azione caritatevole possiede in sé la capacità di trasmettere il valore dell’unicità della persona da avere a cuore. Un atteggiamento di vita caritatevole – osserva la docente – deve tornare ad essere strumento e obiettivo per cambiare il panorama della libertà, senza dimenticare che per ridurre molti dei sentimenti negativi della popolazione, ognuno deve sentirsi responsabile di sé e degli altri. Nessuno è escluso. Ognuno è chiamato a dare il suo contributo per alleviare ogni tipo di sofferenza, a partire da sé”.
La rassegnazione produce la normalizzazione della povertà
Alcune azioni non possono che partire dal cuore, dall’inclinazione a sapersi sporcare le mani non per ripulire l’anima, solo in un determinato periodo dell’anno, bensì come approccio alla quotidianità laddove si vive. Quel senso di rassegnazione sta creando un malcontento generale che provoca una “normalizzazione della povertà”. Il possesso di una casa e di un lavoro non definiscono più una qualità di vita soddisfacente, considerati i posti pieni di tutte le mense caritatevoli. Addirittura il lavoro non è elemento che determina processi virtuosi, anzi la “categoria” dei lavoratori poveri si sta allargando rispetto a dieci anni fa, in cui l’indice si limitava al 2%. Oggi il numero dei lavoratori poveri si è innalzato fino al 22-23%.
A questi nuovi poveri che frequentano le mense della Caritas, ormai da qualche anno devono aggiungersi i giovani, vittime di numerose problematiche come la dispersione scolastica, un fenomeno che si sta fronteggiando con forza attraverso misure di prevenzione per recuperare l’obbligo scolastico.
La povertà educativa dei giovani
In tale prospettiva diventa sempre più preoccupante l’aspetto della povertà educativa che va ad inficiare gli stili di vita e non consente di realizzare i progetti di vita beneficiando il titolo di studio. Il rapporto Caritas diocesana registra che oltre il 70% dei giovani di cui si prende cura ha solo licenza elementare e media e il 12% non possiede alcun titolo. Il censimento realizzato dalla Caritas, come ricorda la professoressa Quarta, parte proprio dalle persone, quelle che direttamente si affacciano agli sportelli d’ascolto messi a disposizione delle parrocchie e per questo i numeri possono sollecitare proposte concrete per fronteggiare la povertà.
La fragilità dei genitori
I dati definiscono ormai una normalizzazione della povertà: la Caritas aiuta l’11,7% delle persone in povertà assoluta. Non è da trascurare il dato dei genitori fragili, soprattutto quello delle molte donne sole che arriva al 27%. Il supporto della Caritas si pone l’obiettivo di non intervenire soltanto nell’urgenza economica: “pressante e fondamentale è la condizione psicologica degli individui” ricorda Serena Quarta. Oltre alle circa 4.000 famiglie che hanno avuto accesso ai centri d’ascolto parrocchiali, 623 accessi sono da registrare come nuclei monogenitoriali.
Servono nuovi e rinnovati sguardi, un po’ più elevati come recita il titolo del report sulla povertà: Conta il numero delle stelle e chiama ciascuno per nome. Oltre al coordinamento e all’unità della rete che il recente passato ha dimostrato funzionare egregiamente, avere uno sguardo diverso cambia prospettiva: “Guardare le stelle è importante, si punta agli ideali, ma l’umanità incomincia ad essere ripagata in una visione orizzontale fraterna e i poveri sono i veri protagonisti dell’amore”, afferma mons. Giuseppe Satriano, arcivescovo di Bari-Bitonto. “Non occorre dimostrare ciò che facciamo – spiega – ma dovremmo avviare processi applicabili allo stile di vita, come il vangelo testimonia; osservare a partire dalla propria esperienza di povertà”.
Guardare l’altro come una stella chiamata a brillare
La sua riflessione cerca di portare allo stile della soglia, luogo dell’accoglienza: “Qui è possibile abitare il limite e incontrare quello dell’altro e così si inizierà a vincere la paura del diverso. Lo stato di povertà di una persona dipende da vari fattori materiali e affettivi, idee e mentalità e anche riconoscimenti non ricevuti”. Queste sensazioni che tutti viviamo ci ridimensionano, e forse dovrebbero ricordarci che, in fondo, tutti siamo bisognosi e tutti dovremmo guardarci attorno mettendoci all’altezza del povero, guardare l’altro come stella chiamata sempre a brillare.”
Nelle foto, la festa della befana organizzata dall’associazione Help nelle case di comunità di Bari