Sembrava un progetto ormai irrealizzabile. Uno di quei sogni che quasi ogni grande regista serba nel cassetto. E, invece, dopo quasi vent’anni di attesa e false partenze il tanto agognato Ferrari del regista Micheal Mann è finalmente divenuto realtà. Al cinema da poche settimane. Un film che entrerà in pista anche alla gara per gli Oscar? Difficile dirlo.
Perché se è vero che sulla carta il film di Mann avrebbe tutte le caratteristiche per piacere all’Accademy, tra cui il suo protagonista, interpretato da un attore molto talentuoso, amato e reso irriconoscibile dal trucco, chi scrive questa recensione nutre qualche dubbio a riguardo. Da un regista come Mann e da un progetto così chiacchierato e atteso era lecito aspettarsi molto di più; un qualcosa di unico nel suo genere come la più lussuosa delle Ferrari.
FERRARI
Possedere una di queste iconiche auto di lusso e potenza è possibile ma solo per pochi eletti. E non è solo una questione di soldi. Sinonimo di fascino e prestazioni sportive, Ferrari definisce l’eccellenza automobilistica. Nella storia dell’automobile, pochi nomi evocano contemporaneamente una dedizione per l’eccellenza nelle prestazioni e un glamour raffinato tanto quanto Ferrari. Fondata nella città italiana di Maranello (Modena) nel 1939, questa iconica casa automobilistica si è affermata come simbolo di stile e successo. Nel corso degli anni, le auto Ferrari sono diventate più di semplici veicoli, ovvero capolavori di ingegneria, arte e manifattura.
ESTETICA INCONFONDIBILE
Tra i tratti più riconoscibili di una Ferrari ci sono le sue sfumature di rosso. Questa tonalità cremisi non è frutto di una scelta arbitraria, ma è profondamente radicata nella tradizione storica del marchio. All’epoca, le auto da corsa italiane dovevano essere verniciate di rosso. Sebbene tale regola sia stata abolita, Ferrari ha scelto di onorare daccapo questa tradizione rendendo ‘Ferrari Red’ un pilastro dell’identità del marchio.
Il logo Cavallino rampante, anch’esso emblematico, ha una storia a sé stante. Ispirato al leggendario pilota italiano della prima guerra mondiale, il conte Francesco Baracca, lo stallone nero su uno sfondo dorato rappresenta la forza, il coraggio e la velocità delle vetture Ferrari. Enzo Ferrari, lui stesso un militare, ha adattato questo simbolo dall’aereo di Baracca, cambiando il colore dal rosso al nero per adattarsi al logo del marchio.
UN’AUTOMOBILE NON “PER TUTTI”
Il processo di produzione di una Ferrari è un esercizio di precisione e abilità artistica. Ci vogliono all’incirca tre settimane per realizzarne uno, con la garanzia che ogni dettaglio soddisfi gli standard del marchio. Per chi cerca la personalizzazione, la pazienza è una virtù, poiché i modelli personalizzati possono richiedere fino a cinque anni per la consegna. Il marchio di punta della società, la Ferrari 812 Superfast, ha una velocità massima di oltre 211 mph e può andare da 0 a 60 mph in soli 2,9 secondi.
PIÙ CHE UN PUGNO DI DOLLARI
Possedere una Ferrari, però, non significa solo avere i soldi e la volontà di spenderli: è un privilegio esclusivo. I potenziali acquirenti devono soddisfare determinati criteri, quali la storia della proprietà precedente o una raccomandazione da un concessionario rispettabile. L’età può anche essere un fattore discriminante, se si considera che Ferrari guarda a clienti che hanno superato i quarant’anni.
ENZO FERRARI
Conosciuto in Italia come “Il Commendatore” (il Cavaliere Commendatore), Enzo Ferrari è uno dei personaggi più eccezionali della recente storia italiana. Nato nella città italiana di Modena nel 1898, fu un pilota automobilistico e imprenditore. Entrato a far parte del reparto corse dell’Alfa Romeo come pilota, vinse una gara automobilistica per la prima volta nel 1923. Dopo la nascita del suo primo figlio, continuò a concentrarsi sulla produzione di auto da corsa per Alfa Romeo, per poi diventare l’imprenditore dietro uno dei team di motori da corsa più di successo, seducenti e noti della storia.
L’UOMO E LA MACCHINA
Nel 1929, Ferrari fondò quello che sarebbe poi diventato il team di Formula 1 di maggior successo di sempre, la Scuderia Ferrari, che ha vinto più di cinquemila volte dal suo debutto al Gran Premio di Monaco 1950, appena un anno dopo la fondazione del torneo.
Un thriller sportivo diretto da Michael Mann racconta la vita dell’icona italiana sul grande schermo. Basato sulla biografia del 1991 ‘Enzo Ferrari: L’uomo e la macchina’ scritta dal giornalista americano Brock Yates, il film è tutto ambientato nel 1957, una data importante per l’imprenditore ed ex pilota modenese Enzo Ferrari. Quest’ultimo si trova ad affrontare un lutto recente, la crisi dell’azienda omonima e anche del suo matrimonio; inoltre vuole vincere ad ogni costo la Mille Miglia, gara automobilistica prestigiosa ma ardua, così da accrescere la notorietà del suo marchio.
La pellicola di Mann non è un biopic in quanto non ripercorre né l’intera vita né la carriera del ‘Commendadore’. Piuttosto, sceglie di mostrarci un uomo quasi sessantenne incapace di perdere il suo amore per le corse e che intende mandare avanti la propria azienda animato da una passione sempre viva. La storia di Enzo Ferrari esige, dunque, di essere raccontata.
UN CARATTERE DINAMICO
In una conferenza stampa della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il regista Michael Mann sottolinea come la storia personale di Ferrari sia di per sé un tema interessante per lo svolgimento della pellicola, e spiega in che modo essa permette di raccontare esperienze umane universali.
Michael Mann: “Quando incontri un personaggio così dinamico e instancabile come Ferrari, quanto più ti cali nei panni di quest’uomo tanto più la sua vicenda diventa universale. Intuendo in che modo alcuni tratti del suo carattere si oppongono fra loro, ho sentito, tramite la sua vicenda, risuonare in me la vera essenza della vita. Vale a dire: o melodrammatica e profonda, o un po’ oppositiva come quela di Enzo”.
Ferrari – lo capiamo fin dall’inizio del film – non vende macchine per arricchirsi ma solo per poter continuare a gareggiare e primeggiare per diventare il numero uno. Non è mica un caso che il film inizi proprio con finte immagini di repertorio in cui vediamo un uomo sfrecciare al volante: esattamente come agli inizi della sua carriera è lui, Enzo Ferrari, il pilota capace di essere un uomo d’affari geniale con una visione unica e consapevole dei pericoli che correva.
RIVALITÀ IN SITUAZIONE
Il conflitto tra Ferrari e il marchio rivale Maserati fa parte della storia che illumina il contesto a cui Ferrari e la sua carriera appartenevano.
“Entrambi erano sull’orlo della bancarotta, ma per ragioni molto diverse. Enzo è un pilota automobilistico. Tutto ciò che gli interessa è gareggiare; è andato lì come pilota nel 1920 e ha ottenuto qualche piccolo successo. È la sua priorità, è il suo imperativo, e tutto ciò che riguarda il business è solo per sostenere la gara. Quella di Maserati è una storia completamente diversa; in quel periodo gli Orsis avevano preso il posto dei fratelli Maserati e stavano cercando di gestire il business. Ma l’Italia era ancora questa nel 1957, la ripresa economica non partì prima del biennio 1962-63. Quindi la vita era difficile e tutto avvieniva alla giornata. Ma quello che ho trovato affascinante di questo conflitto è che non era solo uno scontro Maserati vs Ferrari. Avevano anche due squadre di calcio e due aziende d’opera proprio a Modena. Così sembrava una città nella quale tutti gravitavano per dualità e competizione”, prosegue Michael Mann.
È cosa nota che Mann fosse da sempre interessato a questo progetto. Ma vedendo la prima parte del film, verrebbe spontaneo chiedersi: “Perché?”. Diciamo pure che non serve il regista di Collateral o Miami vice per raccontare la crisi famigliare di una coppia di imprenditori italiani. Le cose cambiano in meglio con la seconda parte del film, quella che sembra essere il vero cuore del progetto. E, probabilmente, anche l’aspetto di maggior interesse per il regista americano.
Ovvero quando l’attenzione si concentra sulla famigerata gara delle Mille Miglia che si tenne nel 1957 e che rappresentò anche l’ultima edizione di questo storico e spettacolare match. Una scena sublime: il tragico incidente, ripreso come se Mann al posto della macchina da presa avesse un rasoio, viene quasi accettato da Ferrari come parte di quel mondo e di quella malattia dalla quale non riesca a guarire.
Mann lo sa e indugia su quel dolore. Ed Enzo di fronte alla morte non può che mantenere la sua immagine pubblica sebbene in quella privata la sua anima si sgretoli. È solo qui che il talento visionario di Mann riesce ad emergere e a trovare la sua giusta dimensione, regalando al pubblico quasi un’ora di spettacolo e di emozioni che contribuiscono a ridare linfa vitale al film.
SPORT ESTREMAMENTE RISCHIOSI
Gli sport estremi sono certamente un argomento importante del film. Un altro aspetto consente, in particolare, di riflettere sulla condizione umana. Adam Driver, che veste i panni di Ferrari, ha espresso le sue opinioni sull’argomento in questi termini.
“In un certo senso è l’opposto dell’evasione. È la concentrazione assoluta sull’attimo che sta accadendo in questo momento. Non c’è spazio per sognare ad occhi aperti o perdere la concentrazione e l’attenzione perché è pericoloso, finiresti per schiantarti. Acquisire la mentalità del personaggio è stato utile per interpretarlo al meglio. Ferrari è un tipo istintivo, impulsivo. La sua è pre psicologia – racconta Adam Driver. Ha indossato una corazza per affrontare la morte e soprattutto le persone a cui più tiene, non solo con suo figlio ma anche coi compagni di squadra che sono morti a causa del metallo che lui ha forgiato, come dice espressamente in una scena nel film.
Il punto è che Ferrari si presenta come un personaggio biforcato. Da una parte, la Ferrari, sua ragion di vita. Dall’altra, la sua disastrata famiglia. Nel film lo vediamo all’azione in un momento in cui entrambe le situazioni sono, per l’appunto, tragiche. La Ferrari rischia la chiusura, Enzo vive in casa con sua moglie Laura Ferrari (Penelope Cruz) che non ama più e con la quale ha perso un figlio molto giovane. Al tempo stesso, c’è un’amante che le ha dato un figlio inaspettato che sta crescendo.
“Infinite volte, dall’età dell’adolescenza, mi sono guardato allo specchio chiedendomi chi fossi, che cosa fossi venuto a fare al mondo, con un acuto tormento. Qualcuno mi ha definito un uomo che conosce l’umanità del peccato e la crudeltà del vivere. Aggiungerei che so misurarmi nella dimensione di questo mondo in cui siamo costretti a vivere, prigionieri dell’illusione del successo”. Così Ferrari definisce la propria vita in Le mie gioie terribili. Storia della mia vita (Mondadori, 19802, pp. 298), autobiografia scritta da se medesimo, in edicola in una collana edita da La Gazzetta dello Sport.
Enzo Ferrari, dunque, un geniale uomo d’affari pronto a fare i conti con la morte improvvisa, inaspettata e incidentale di coloro che gli erano vicini. Pronto, nonostante si nascondesse dietro una barriera emotiva, a farsi carico delle responsabilità che gli spettavano. “Indossare quei parapetti per se stesso e far propria la mentalità di assoluta attenzione e presenza – prosegue Driver – è stato per me davvero utile. È difficile non portarla sul filosofico quando sei su un motore; come altrettanto è lavorare nel tempo giusto e al momento esatto. E poi manca l’ingrediente dell’intuizione umana”.
UNA PASSIONE IN COMUNE
Patrick Dempsey è Piero Taruffi, il celebre pilota e ingegnere italiano noto per i suoi eccezionali successi negli sport motoristici e la sua stretta collaborazione con Enzo Ferrari. Presentando il suo ritratto, l’attore americano riflette sull’irresistibile fascino che gli sport estremi esercitano su alcuni individui.
Patrick Dempsey: “Se sei consapevole sai di vivere nel presente. Conscio di tutto ciò che sta accadendo davanti a te, accanto a te e dietro di te. E con quel livello di intensità, soprattutto dopo una lunga corsa in una gara di resistenza, assumi un aspetto radicalmente diverso. In un certo senso ti trascendi. E questo è il bello. Ciò da cui dipendi. E che poi ti risulta difficile abbandonare. Dovremmo saper vivere assecondando una calma euforia. È ciò che intendono tutti i libri spirituali quando parlano di vivere interamente la dimensione del “qui ed ora”. E credo sia proprio questa la sensazione che trasmettono le corse o qualsiasi altro sport in cui devi essere concentrato al massimo perché la tua vita dipende da quel momento. Ritengo che sia questo ciò che conta di più. Dipende da voi immergervi e rimanere concentrati. È difficile esprimere a parole la sensazione che si prova. Vorrei che tutti poteste viverla perché è davvero magica” .
Enzo Ferrari è un uomo davvero diviso in due: fa tutto ciò che può per la sua macchina, la sua casa automobilistica e le corse, ma quando torna a casa reca con sé solo brandelli non riuscendo a coltivare né a mantenere i rapporti che intrattiene con chi gli sta intorno. Con sua moglie, in particolare. Questa sua vita si biforca anche nei due figli, quello che ha perso e quello che sta crescendo. Come se volesse tenere sempre assieme i pezzi di una macchina che si sta distruggendo.
E Adam Driver è la figura davvero perfetta per questo ruolo. Mann ci fa capire fin da subito che vedremo un dramma umano con un contorno di corse automobilistiche che fanno parte integrante di questo dramma. Perché Enzo Ferrari è Enzo Ferrari e non può essere altrimenti. Lui vive per il suo mestiere al punto da aver mandato in rovina il rapporto con sua moglie, laddove invece pare solido il rapporto con l’amante Lina Lardi (Shailene Woodley). Perché se quest’ultima e il figlio Piero lo proiettano verso il futuro, Laura lo trafigge con gli occhi del passato.
“Non mi sono mai pentito. Rammaricato molto spesso, pentito mai, perché ripeterei le stesse azioni, comportandomi però in modo del tutto diverso. L’egoismo ci domina e ci isola, ci induce spesso a considerare il prossimo per il male che potrebbe farci piuttosto che per il bene che potremmo fargli”. Si chiude così l’Epilogo della autobiografia di Ferrari.
Rimane il dubbio di cosa sarebbe potuta diventare questa pellicola se il focus si fosse concentrato solo sull’evento empirico della gara delle Mille Miglia. E, invece, il Ferrari che andrete a vedere in sala è un’opera che sa di occasione persa, di un film che vorrebbe raccontarci le contraddizioni e le battaglie di un uomo diffiile ma geniale che, tuttavia, non riesce ad andare sul serio fino in fondo.
In primis, a causa di una sceneggiatura non esemplare. In secundis, per colpa di un regista che non è riuscito (o non ha voluto?) esprimere il suo enorme e indiscutibile talento. A dimostrazione che non basta un ottimo driver, nella doppia accezione di “Adam” e di “pilota regista” per vincere una corsa se non hai una macchina all’altezza delle tue ambizioni.
Insomma, Ferrari si presenta come un film disomogeneo. Ha il gran pregio di una seconda parte appassionante e ben girata che fa dimenticare alcuni scivoloni della prima ora. Ma è comunque lontano dal gran film che sarebbe stato lecito aspettarsi visti i nomi coinvolti o il grande interesse per questa storia da parte di un regista del calibro di Micheal Mann.
In copertina, un primo piano con l’attore Adam Driver, che veste i panni di Enzo Ferrari, protagonista dell’ultimo omonimo film di Micheal Mann (Fonte: Movieplayer)