Il 22 novembre 1963, il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy rimase mortalmente ferito mentre attraversava la strada in corteo a Dallas in Texas. In quel periodo, il democratico quarantaseienne era in piena campagna elettorale per ottenere il secondo mandato da presidente nelle elezioni del 1964. Ciò avveniva sessant’anni fa. E nuove elezioni sono in procinto di arrivare. Sebbene oggi i candidati siano sotto la protezione dei servizi segreti statunitensi, tuttavia le richieste degli elettori vanno sempre tenute sott’occhio.
A sessant’anni di distanza – per l’esattezza il 22 novembre 1963 – l’assassinio del presidente JFK rimane attorniato da una nuvola di punti interrogativi, destinati a trascinarsi nel tempo, senza ottenere risposte convincenti. Eppure, in occasione del 60° anniversario dall’episodio, già si annunciava una pirotecnica ripresa di scoop e contro-scoop, o pretese tali, incentrate sulle controverse dinamiche dell’attentato che fu fatale all’uomo dei “mille giorni alla Casa Bianca” – per citare il fortunatissimo testo dello storico Arthur Shlesinger – e, più ancora, sull’identità di coloro che ne furono i mandanti.
CECCHINO ISOLATO: L’IPOTESI OSWALD
Subito dopo l’assassinio, il killer di Kennedy fu rapidamente arrestato, pur senza subire un processo. Le indagini portarono immediatamente a Lee Harvey Oswald. Profilo poco rassicurante: un passato fra i marines, la passione per le armi e con alle spalle una malattia psichiatrica; per un periodo aveva disertato l’esercito americano rifugiandosi in Unione Sovietica dove militò fra i comunisti al punto da chiedere la cittadinanza sovietica che gli venne negata; fu colpito mortalmente alcuni giorni dopo dai proiettili di Jack Ruby, proprietario di un nightclub dai noti legami con la mafia americana.
Nel settembre 1964, il nuovo presidente Usa Lyndon B. Johnson istituì una commissione d’inchiesta affidata al senatore Earl Warren per indagare sull’uccisione di Kennedy. Quest’ultima, per la necessità di rispondere rapidamente, concluse indicando in Oswald l’unico colpevole e quindi, implicitamente, l’esecutore-mandante. Fu esclusa la possibilità che avesse preso parte a un complotto per assassinare colui che aveva avviato il clima di distensione con l’Urss per evitare il rischio di una terza guerra mondiale.
INDISCREZIONI
Fin da subito, tuttavia, presero a circolare voci di un presunto complotto per uccidere il presidente. Le più diffuse fra queste teorie erano sostanzialmente tre. Si è parlato di un secondo cecchino che da questa o quella collinetta erbosa costeggiante la strada di Dallas su cui viaggiava la limousine presidenziale avrebbe aggiunto uno o due colpi di fucile ad Oswald. Si è ritenuto che un uomo avesse segnalato al killer la presenza di Kennedy con un ombrello. Il governo degli Stati Uniti, la mafia e i servizi segreti sovietici (KGB) – siamo al terzo grado di ipotesi – avrebbero cooperato alla realizzazione di un disegno infinitamente più grande di quel “buono a nulla dalla personalità instabile” – come un rapporto dell’FBI aveva lapidariamente classificato qualche tempo prima Oswald.
Secondo Jakie Kennedy Onassis ad architettare l’attentato di Dallas sarebbe stato nientemeno che il vice di suo marito alla Casa Bianca, Lyndon B. Johnson essenzialmente per ottenere i seguenti scopi: togliere di mezzo un presidente deciso a contenere, se non addirittura a disinnescare il già avviato impegno militare in Vietnam, con ciò evidentemente vanificando prospettive di guadagni miliardari per la strapotente lobby dei guerrafondai; succedergli alla guida degli Stati Uniti avvalendosi dei servigi della Cia e dello stesso Pentagono – o, quanto meno, di “corpi separati” dell’Agenzia di spionaggio e dell’esercito.
Dopo il fallimento dell’operazione Baia dei Porci e, soprattutto, dopo aver toccato con mano il rischio di una guerra nucleare nell’ottobre 1962 – la crisi Usa-Urss durò in tutto tredici interminabili giorni -, il presidente Usa mise realisticamente una pietra sopra a ogni ulteriore ipotesi di recuperare Cuba all’Occidente con la forza. Per la mafia, Kennedy era diventato, paradossalmente, un protettore di Castro, un ostacolo della sua rimozione da “padrone” di Cuba. Resta però il fatto che delle innumerevoli ipotesi alternative che in seguito sono state avanzate, nessuna è approdata a risultati certi, incontestabili sul piano documentale e, quindi, effettivamente probatori a livello giudiziario: indizi tantissimi, insomma, ma neppure l’ombra di una prova davvero inattaccabile.
L’INCHIESTA
Furono necessari gli approfondimenti di altre due commissioni per riesaminare il caso: una, presieduta dal giudice federale Ramsey Clark e l’altra – la House Select Commitee of Assassination – dal senatore Louis Stokes. Dopo aver realizzato circa 25 mila interviste e inseguito decine di migliaia di piste, tutti i sospetti che si trattasse di un complotto sono stati respinti. Ciò non ha impedito, tuttavia, alle voci di continuare a diffondersi. Poi, negli anni Novanta, il film JFK del regista Oliver Stone favorito dall’espansione di Internet ha aiutato vecchie teorie a tornare in auge e a radicarsi ancor di più nell’opinione pubblica.
COSPIRAZIONE
Il fatto stesso che, nei decenni a seguire, siano proliferate a valanga ipotesi alternative riguardo ai veri mandanti dell’“omicidio del secolo” dimostra la scarsa attendibilità del verdetto Warren, che infatti la maggior parte degli americani non ha mai preso per veritiero. Una conseguenza immediata dell’assassinio del 1963 è che l’87 % degli americani intervistati ha dichiarato di credere che il tiratore fosse solo uno. Oggi, circa il 60% è convinto che più di una persona sia stata coinvolta nell’omicidio. Nel 2022, il presidente Usa Joe Biden ha ordinato la divulgazione di tutti i documenti (circa 3600 articoli) sull’assassinio. A giugno 2023, il 99 % dei sono stati resi pubblici – ma non ci sono state nuove rivelazioni.
2024: COMPLOTTISTI CANDIDATI ALLA PRESIDENZA
Nel 2016 è sorta una teoria del tutto nuova sull’assassinio di JFK. Il candidato alla presidenza Donald Trump ha presupposto che Rafael, padre cubano del suo concorrente repubblicano Ted Cruz, fosse un aiutante di Lee Harvey Oswald. Pur non essendoci prove, tale affermazione ha tuttavia riacceso l’interesse per un omicidio, quello di Kennedy per l’appunto, rimasto a lungo celato.
Arrivando ad oggi, nel momento in cui scrivo, Trump è tra i favoriti che potrebbero vincere le elezioni presidenziali USA 2024, nonostante siano molte e gravi le accuse penali che ricadono su di lui. E poi c’è Robert Kennedy Jr., nipote di JFK, candidato per la nomination presidenziale democratica. Per quanto sia improbabile che riesca a farsi strada, Kennedy Jr. è un sostenitore di teorie del complotto di tutti i tipi. Ha (col)legato i vaccini all’autismo, ha definito il Covid-19 una sorta di “razzismo selettivo”, ha sostenuto che le sparatorie nelle scuole sono colpa dell’assunzione di antidepressivi, e ha affermato che le elezioni del 2004 gli sono state letteralmente “rubate”. Ha dichiarato perfino che la CIA avrebbe ordito un complotto per far fuori suo zio.
UN DECENNIO DI MORTE
In un conteso di lotte per i diritti civili, gli anni Sessanta sono stati un decennio particolarmente turbolento negli Stati Uniti. Ripercorriamo, dunque, gli episodi più significativi di violenza politica. Per capire il presente occorre volgere lo sguardo all’indietro in quel decennio traumatico contrassegnato dagli omicidi di importanti personaggi dell’epoca, che ha fomentato un’ansia e una paura generalizzate. Segnato anche da un boom di teorie del complotto, armi politiche di manipolazione di massa. A parte l’assassinio di JFK, alcune tra le morti più importanti e misteriose degli anni ’60 furono i seguenti.
MALCOM X
Nato come Malcom “il Piccolo” a Nebraska (Omaha) nel 1931, Malcom X fu un ministro afro-americano di fede musulmana e figura di rilievo nel movimento dei diritti civili; la ‘X’ rimanda al suo originale nome tribale, poi perso, ‘Il Piccolo’ che gli fu imposto ai suoi antenati dal loro padrone schiavo. Portavoce del gruppo nazionalista dei Neri la ‘Nazione dell’Islam’, ricevette minacce di morte una volta uscito dall’organizzazione. Durante un evento pubblico a New York il 21 febbraio del 1965 accusò ventuno colpi di pistola. Nel 2021, due uomini all’epoca dei fatti condannati furono scagionati dopo aver passato decenni di carcere.
MARTIN LUTHER KING JR.
Pastore Battista afroamericano, attivista e filosofo politico, Martin Luther King fu ucciso da un solo colpo in un hotel di Memphis nel Tennessee. Un latitante chiamato James Early Ray confesserà in seguito di aver commesso il crimine ma poi smentirà la sua dichiarazione, affermando che responsabile era stato un cubano, Raul. La famiglia di King da quel momento ha manifestato il proprio supporto a quest’ultimo. La sua idea è che l’amministrazione Usa, la mafia e la polizia di Memphis siano stati coinvolti nel delitto.
ROBERT F. KENNEDY
Il fratello più giovane di JFK ricevette tre colpi il 5 giugno 1968 mentre era in campagna elettorale per le presidenziali di quell’anno. L’assassino fu Sirhan Sirhan, un immigrato ventiquattrenne palestiniano di religione cristiana. Testimoni e studiosi che non solo la posizione di Sirhan era sbagliata, ma i proiettili non corrispondevano alla pistola e almeno tredici colpi erano stati sparati da una pistola a otto spari. Da aprile 2023, a Sirhan è stata negata la libertà condizionata per ben diciassette anni.
MARILYN MONROE
Nata come Norma Jeane Mortenson in Los Angeles in 1926, Marilyn Monroe morì in casa sua di overdose il 4 agosto 1962. Giravano, tuttavia, affermazioni che sia John che suo fratello Robert Kennedy intrattenessero relazioni con l’attrice e tali informazioni sensibili erano state registrate. Un documentario Netfilx del 2022 sostiene che l’FBI abbia ripulito la stanza di Merilyn da eventuali prove di un con Kennedy mentre l’attrice hollywoodiana giaceva morta, e prima che la loro morte fosse segnalata loro.
L’UCCISIONE DI UN PRESIDENTE NEGLI STATI UNITI
In inglese, il termine ‘assassinio’ si riferisce all’uccisione deliberata di un individuo di alto profilo o comunque influente dovuto spesso a rivendicazioni personali o legato a ragioni politiche e religiose. Mentre l’assassinio del presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy rappresenta un momento decisivo nella storia del XX secolo, ben altri quattro presidenti sono morti assassinati.
Nel 1865, pochi giorni dopo la fine della guerra civile americana, il presidente Abrham Lincoln fu assassinato. John Wilkies Booth, un simpatizzante confederato, gli sparò alla testa durante uno spettacolo teatrale a Washington. Nel 1881, a James A. Garfield, ventesimo presidente Usa, è toccato un destino analogo. Il suo assassino, Charles J. Guiteu, nutriva un forte risentimento verso il presidente perché non era stato nominato per un incarico diplomatico che pensava gli spettasse. Quando sparò dalla pistola alla stazione ferroviaria di Baltimora e Potomac presso Washington un proiettile colpì il braccio di Garfield e l’altro gli trafisse la schiena. Garfield morì mesi dopo per le ferite riportate.
Nel 1901 il presidente William McKilney fu ucciso da Leon Czolgosz, un anarchico mosso dal desiderio di eliminare quelle che considerava figure di governo oppressive. Czolgosz sparò due volte all’addome di McKilney durante un evento pubblico a Buffalo (New York). Altri presidenti sono sopravvissuti a tentativi di assassinio; tra questi, Andrew Jackson nel 1835, Theodore Roosvelt e Ronald Reagan, il quale sopravvisse ad un tentativo di assassinio da parte di John Hinckley Jr. nel marzo 1981, pochi mesi dopo essere stato eletto al suo primo mandato. La presunta ragione di Hinckley era impressionare l’attore Jodie Foster; sparò sei colpi colpendo Reagan e molti altri: il presidente repubblicano fu colpito al petto e si vide perforato un polmone, ma riuscì a sopravvivere in seguito ad un intervento chirurgico. E ha continuato a servire la sua nazione per altri otto anni.
TANTE IPOTESI E ANCORA TROPPI MANDANTI: QUAL È LA VERITÀ?
Ad aprire il fuoco di fila delle nuove rivelazioni aveva già provveduto, nell’estate del 2011, la stessa figlia maggiore del defunto presidente, Caroline, oggi brillante avvocato sessantaseienne, che non aveva ancora compiuto sei anni il giorno della morte di suo padre. In sede di trattative con l’emittente televisiva Abc per i diritti relativi a un serial dedicato alla sua famiglia, The Kennedys, Caroline sollevò il velo su una privatissima intervista che sua madre Jacqueline Kennedy Onassis concesse, a pochi giorni dalla tragedia, allo storico A. Schlesinger, amico personale del presidente nonché uno degli esponenti più ascoltati del suo staff alla Casa Bianca.
Sebbene registrate su nastro, le rivelazioni di Jackie avrebbero dovuto rimanere, per sua espressa volontà, segrete per cinquant’anni dopo la sua morte, avvenuta com’è noto nel 1994, e quindi avrebbero potuto divenire di dominio pubblico solo nel 2044. Non tenendo fede alla volontà materna, Caroline ha ritenuto tuttavia di anticiparle, rendendo nota nel luglio 2011 la scabrosa sostanza, ovvero l’ipotesi che sia stato davvero Lyndon B., per interposti Pentagono e Cia, ad armare la mano di Oswald. Le rivelazioni di Caroline, per quanto riportate con comprensibile risalto dalla stampa di tutto il mondo, non aggiunsero, tuttavia, nulla di sorprendentemente nuovo, riproponendo di fatto la tesi già esposta nel celebre film di Stone del 1991.
Il classico “The End” che campeggia prima dei titoli di coda dei drammoni cinematografici americani non può con ciò essere ancora definitivamente apposto in calce alla vicenda dell’assassinio di JKF. Ma a questo punto si può anche comprendere un certo fatalismo che ormai, e sempre più spesso, sembra affiorare anche fra i più implacabili contestatori dell’affrettato e semplificatorio verdetto espresso dalla Commissione Warren.
Tant’è che in tempi recenti anche personaggi che in passato hanno intinto con maggior piglio la loro penna nel sangue di Kennedy e della sua fosca fine, come per esempio gli scrittori Norman Mailer e Donald Richard De Lillo, sembrano essersi rassegnati all’idea che l’America sia un Paese, per sua storia e natura, troppo ingenuo e sfrontato per riuscire a mantenere un segreto tanto a lungo. E che, quindi, se una verità alternativa a quella ufficiale davvero esisteva, prima o poi si sarebbe comunque fatta strada.
“È possibile parlare male di Kennedy? Quando un santo viene elevato agli altari dopo un processo di canonizzazione popolare del tipo “santo subito”, fargli le bucce è molto complicato. Kennedy era un uomo bello, intelligente, affascinante. A sessant’anni dalla morte viene considerato nell’immaginario collettivo il miglior Presidente nella storia degli Stati Uniti. Gli americani lo hanno sempre alternato a Washington, Lincoln e Roosevelt. Per il resto del mondo non c’è storia: Kennedy e basta”. Così conclude Bruno Vespa, noto giornalista e conduttore del talk show televisivo Porta a Porta, nel suo ultimo saggio Kennedy. Fu vera gloria? Amori e poteri di un mito (RaiLibri, 2023).
Vada ancora per il verdetto della Commissione Warren, anche se è difficile persuadersi che uno degli uomini più “sfigati” del mondo come Lee Harvey Oswald abbia potuto ordire e mettere in atto, da solo, l’esecuzione capitale dell’uomo più potente del mondo. Fatalismo per fatalismo, è forse il caso di ricordare una preveggente riflessione che il presidente Kennedy confidò a sua moglie Jacqueline la sera prima dell’attentato, dopo aver letto un ciclostilato diffuso a Dallas in cui lo si accusava di essere filocomunista. “Domani andiamo nel paese dei matti”, disse. E aggiunse: “Comunque, Jackie, se qualcuno vuole spararmi da una finestra con un fucile, nessuno può impedirlo. Per cui, perché preoccuparsi?”.
In copertina, Kevin Costner nei panni dell’avvocato Jim Garrison nella scena dell’arringa finale di ‘JFK – Un caso ancora aperto’, celeberrima pellicola del regista Oliver Stone