La lezione di “Ciccillo” dagli albori della storia

L'anniversario della scoperta dell’Uomo di Altamura, trent'anni fa, offre l'occasione per riflettere sulla sacralità della morte vissuta oggi come un tabù da rimuovere

Mi sono sempre chiesta che cosa deve aver pensato Ciccillo (come simpaticamente è soprannominato l’Uomo di Altamura, scoperto intorno al giorno di San Francesco), rannicchiato in quella straordinaria cavità carsica, la grotta di Lamalunga, sull’altopiano delle Murge, a qualche centinaia di metri dalla città, una volta compreso che da lì non sarebbe più uscito.

Un uomo di Neanderthal, quale fu Ciccillo (in realtà, l’individuo della specie con lo scheletro più completo mai rinvenuto), deve aver avuto certamente una cassa di risonanza emotiva fortemente sintonizzata su quei sentimenti che ancora noi sentiamo partire dallo stomaco: paura, rabbia, senso del pericolo e una forma di angoscia che possiamo solo immaginare ben più intensa di quella che può assalire noi, gente del ventunesimo secolo, tra le strade e il cemento delle città.

Ma la domanda sorge spontanea: Ciccillo era in grado di avere consapevolezza di quanto succedeva? Che tipo di atteggiamento ha adottato di fronte alla morte inevitabile? È utile notare che, in quanto appartenente alla specie neanderthalensis, non era intelligente quanto l’homo sapiens. E per intelligente intendiamo più capace di prevedere il pericolo o empaticamente o in modo “sistematizzante”, come direbbe lo psicologo Simon Baron-Cohen che si è a lungo occupato dello sviluppo del cervello umano e delle sue diverse intelligenze.

Ma forse l’esser meno intelligente dei sapiens non avrà impedito al nostro Ciccillo di accettare di aver perso la battaglia contro la sorte. Anche gli animali dimostrano di comprendere prima di avere certezza visiva del pericolo, che la morte è prossima: pensiamo allo sguardo e all’atteggiamento arreso, spento e consapevole che assumono alla fine del viaggio verso il mattatoio, quando ancora non hanno varcato le porte verso l’estremo supplizio, ma sembra che sappiano benissimo ciò che li attende.

In questi giorni in cui si torna a parlare dell’uomo di Altamura, a trent’anni dalla sua scoperta, appare interessante provare a riflettere  sull’idea che il nostro Ciccillo deve aver ben capito, ad un certo punto, che nulla lo avrebbe tirato fuori dalla grotta e che certamente da solo non sarebbe riuscito a venirne fuori.

Ciò che proverebbe come una sfera assolutamente razionale della nostra mente, in realtà, appartenga ad un’area del cervello del tutto irrazionale, cioè basata sull’istinto, che ci permette di intuire la realtà e che ha permesso alla nostra specie di evolversi fino alla creazione dell’intelligenza artificiale.

E’ giusto chiedersi, a questo punto, se un cacciatore e raccoglitore esperto come Ciccillo sia potuto cadere accidentalmente nella grotta. La domanda sorge spontanea se consideriamo che all’interno della grotta dov’è stato trovato il suo scheletro, conservato in condizioni straordinarie e che purtuttavia si trova ancora incastonato nella grotta stessa, sono state rilevate tracce di frequentazione umana e non solo animale. Diverse carcasse di animali giovani ritrovate nella grotta, fanno pensare ad animali cacciati e destinati al nutrimento dei nostri antenati. Ma anche la presenza di stalattiti spezzate ad altezza d’uomo delle quali non è stata ritrovata la parte mancante sul pavimento in corrispondenza della rottura, ci fa pensare che gli stessi ominidi le avessero o accidentalmente o volutamente spezzate per facilitare il passaggio.

Come anche le colate calcidiche della grotta che non presentano le schegge mancanti alla base fanno pensare all’accumulo volontario in punti diversi delle schegge operato dagli homini, probabilmente in cerca di acqua. Dunque si può ipotizzare uno scenario differente: Ciccillo non sarà caduto inavvertitamente nella grotta senza più riuscire a trovare l’uscita, dato che probabilmente quella grotta era per lui e per i suoi compagni un luogo di riparo, di conservazione di carcasse o fonte d’acqua, ma, piuttosto, deve esservi entrato volontariamente per poi essere impossibilitato ad uscire per cause che possiamo ipotizzare.

Secondo la ricostruzione del prof. Delfino Pesce, infatti, Ciccillo sarebbe entrato nella grotta per ripararsi da un temporale che, trasformatosi in alluvione, avrebbe causato l’accumulo di fango, alberi, massi all’uscita della grotta. Così il nostro uomo avrebbe tentato invano di uscire e infine, stremato, sarebbe morto d’inedia nello stesso punto in cui lo scheletro è stato ritrovato, cioè alla fine del cunicolo della grotta di Lamalunga.

Gli spostamenti che le parti dello scheletro hanno subito ci riportano alla posizione in cui Ciccillo si sarebbe adagiato aspettando la morte invitabile: rannicchiata, appunto. Sono state rilevate solo alcune piccole interferenze agli spostamenti delle parti dello scheletro che possono essere state determinate solo dal passaggio di piccoli predatori (che non frequentano più la grotta) o di piccole quantità di acqua.

Quale che sia stata la dinamica che ha portato il nostro “eroe” a restare intrappolato nella grotta, resta il fatto che le circostanze della sua morte non possono che suscitare fascino e “sacro” rispetto. Non è un caso che i cittadini di Altamura nutrano nei confronti di Ciccillo non un senso di campanilistico attaccamento, ma una sorta di devozione e un senso di gratitudine per la fortuna di esser in qualche modo custodi di un tale straordinario patrimonio. Il mistero e la fortuna che ci ha restituito lo scheletro meglio conservato d’Europa di neanderthalensis, suscita partecipazione emotiva in chi si avvicina alla storia e ai luoghi in cui il neanderthalensis si aggirava.

Ma con cosa, in particolare, si è portati a partecipare emotivamente? Proprio con quel senso di consapevolezza provato da Ciccillo al cospetto della morte: ce lo immaginiamo mentre cerca di ritrovare l’uscita sino a quando esausto si è rannicchiato sul pavimento della grotta. Ed anche con un certo senso di dignità e amor proprio che caratterizza l’atto di porsi in posizione rannicchiata.

E dunque il contatto con la dimensione sacra della cavità carsica con i suoi resti ricoperti di formazioni coralloidi, restituisce quella atavica familiarità con la morte che la nostra civiltà ha perduto nei secoli. Diventata per noi un tabù, la morte non è generalmente vissuta con sacralità ma con senso di rifiuto e distacco. Ecco che, invece, l’avere nelle vicinanze una grotta in cui, da 150 mila anni il tempo si è fermato, in cui la consapevolezza e l’attesa dignitosa della morte del nostro Ciccillo sono rimaste incastonate a pochi metri di profondità dal suolo, costituisce per la gente di Altamura una luce, un richiamo all’antico modo di vivere istintivo, intuitivo e in assoluta relazione alla consapevolezza della fine della vita.

Anche se non è possibile visitare il luogo della “sepoltura” di Ciccillo, è possibile e forse necessario, visitare il Museo dell’Uomo di Altamura che restituisce molto bene con filmati in 3D e una straordinaria ricostruzione dello spaccato in cui è stato ritrovato trent’anni fa lo scheletro di Ciccillo, realizzato dai paleoartisti Adrie e Alfons Kennis, la sacralità della grotta. In più, quel senso di gratitudine e sacro rispetto per la vicenda di Ciccillo, viene ben trasmesso dalla passione con cui i custodi del museo accolgono i visitatori. Chissà che ogni nostra visita non costituisca, per noi, un modo per cogliere finalmente il senso del tanto abusato carpe diem, e, invece, per lo sventurato Ciccillo un modo per essere finalmente trovato e portato simbolicamente in salvo.

In alto, una ricostruzione del volto dell’Uomo di Altamura. Nelle altre foto, alcuni interessanti reperti custoditi nel Museo di Palazzo Baldassarra dedicato all’Uomo di Altamura